LIFEED: I 4 SUGGERIMENTI DEI PAPA’ PER SUPERARE IL BIAS DELLA PATERNITA’ INVISIBILE IN AZIENDA

Osservatorio vita-lavoro di Lifeed: più di un papà su due nell’ultimo anno ha sentito di dover scegliere tra vita privata e professionale. Ma 7 padri lavoratori su 10 hanno sviluppato le competenze di ascolto, empatia e gestione del cambiamento proprio grazie al rapporto con i loro figli.

Milano, 14 marzo 2022 – È ancora alta la percentuale di papà che non si considerano “visti in azienda”.

Per il 57% dei padri infatti, il ruolo di genitore non è visibile sul luogo di lavoro. È quanto emerge da un’analisi approfondita dell’Osservatorio Vita-Lavoro di Lifeed, la società di education technology a impatto sociale che dal 2015 attraverso un metodo di apprendimento proprietario, il Life Based Learning, trasforma le transizioni di vita e le relazioni di cura in momenti di apprendimento e di sviluppo delle competenze soft.

Nel 59% dei casi, a ostacolare il riconoscimento del ruolo di padre in ambito professionale è una cultura aziendale che tende a mantenere separata vita privata e lavoro. Infatti più di un papà su due (il 54%) nell’ultimo anno si è sentito nelle condizioni di dover scegliere tra vita privata e professionale. Tra gli ostacoli emersi il 24% riguarda una scarsa attenzione ai ruoli extra lavorativi della persona (e al work life balance) da parte dell’azienda.

Nel 20% dei casi, i lavoratori in aziende di diversi settori e dimensioni (padri tra i 29 e i 58 anni) indicano tra gli ostacoli della paternità sul lavoro la propria capacità di esprimersi nel ruolo di genitore in azienda, legata a stereotipi personali. Sono i papà stessi, in questo caso, a percepirsi come lavoratori esclusivamente in ufficio e papà solo quando sono in famiglia, come se i due ruoli potessero essere nettamente separati.

LE 4 SOLUZIONI PROPOSTE DAI PAPA’

Che cosa, secondo i padri stessi, potrebbe accendere anche sul luogo di lavoro il potenziale della loro paternità?

  • Tra le soluzioni raccolte, il 36% riguarda una cultura aziendale “caring”. Una cultura che mostra attenzione al work-life balance e ai ruoli extra lavorativi delle persone farebbe sentire i padri “riconosciuti” anche sul lavoro;
  • nel 33% dei casi, serve un clima di condivisione, supporto reciproco, apertura al dialogo tra colleghi, manager e collaboratori sul tema della paternità;
  • nel 19% dei casi emerge l’utilità di iniziative ad hoc dedicate ai genitori e supportate dall’azienda (es. bonus, regalo, congedi extra, flessibilità, ecc).
  • Nel 12% dei casi, è un tema di autodeterminazione e spinta individuale: serve la volontà da parte dei singoli di condividere la propria esperienza di papà.

IL ROI DELLA PATERNITA’ SUL LAVORO: DUE DATI SORPRENDENTI

Quando la paternità è riconosciuta e valorizzata anche sul lavoro, i padri si sentono liberi di mostrare in azienda ciò che sono e ciò che hanno imparato grazie a questa esperienza:

  1. l’83% dei papà scopre più delle mamme (78%)  un modo diverso di mettere insieme vita privata e vita lavorativa;
  2. il 71% si sente più capace di usare le competenze allenate con la paternità anche sul lavoro: come l’ascolto (81%), l’empatia e la comunicazione (76%), la collaborazione (72%) e le competenze di gestione del cambiamento (80%).

Consentire ai papà che lavorano di esercitare appieno il diritto e il dovere di genitori è un potente acceleratore, un allenatore di competenze utilissime in azienda – ha commentato Riccarda Zezza, CEO e co-founder di Lifeed – Gli uomini delle nuove generazioni non percepiscono più il ruolo lavorativo come preponderante nella loro vita: si sentono infatti prima padri (71%) e solo dopo professionisti (42%). Questo cambiamento è già intorno a noi, permea la società. Riconoscere queste mutazioni sociali e rappresentarle non è solo utile per migliorare la qualità del nostro lavoro, ma è indispensabile anche per una maggiore integrazione delle donne– sulle cui spalle ricade il maggior peso di cura familiare- nella vita economica e civile del Paese. La strada verso il diritto alla parità nell’esercizio della genitorialità sembra ancora ddrammaticamente lunga, ma il cambiamento è in atto e le imprese che sapranno spingerlo ne trarranno solo benefici– ha concluso Zezza.

Metodologia

L’analisi quantitativa dei dati è riferita ad un campione di oltre 1200 lavoratori a cui è stata poi associata un’analisi  qualitativa su 200 . Si tratta di padri (di età compresa tra 29 e 58 anni, lavoratori in aziende di diversi settori e dimensioni) che hanno partecipato a un percorso Lifeed basato sull’autoconsapevolezza, che ha fatto emergere competenze e risorse allenate grazie alla pratica genitoriale.