8 Aprile 2022
Da marzo 2022, oltre 700 milioni di persone nel mondo hanno guadagnato un diritto: quello all’assenza produttiva. L’unico attore che aveva il potere di farlo succedere così in fretta in tutto il mondo, facendo un’operazione al tempo stesso politica e culturale, era LinkedIn, e lo ha fatto: ha inaugurato infatti l’era dei “career break”, attivando nella propria profilazione la possibilità di riempire i vecchi vuoti con delle definizioni, dotando così la vita lavorativa di un nuovo vocabolario.
Li ha chiamati, appunto, “career break”: pause di carriera, anche se la parola break viene dal verbo rompere, quindi semanticamente sono più delle rotture che degli intervalli. La lingua inglese consente poi miracolosamente di leggerli sia come rotture nella carriera che come rotture “finalizzate alla” carriera, ed è forse per questo che in italiano non sono stati tradotti, mantenendogli il privilegio dell’ambiguità.
Nel fare questa scelta, LinkedIn ne ha fatte anche delle altre, tutte piuttosto significative per la cultura del lavoro. Innanzitutto, ha scelto quali categorie inserire sotto il cappello delle interruzioni lavorative, legittimando così una serie di accadimenti della vita e dovendo al tempo stesso dargli un nome che fosse inclusivo e semi-esaustivo di tutte le possibilità.
La quantità di impegno profuso si evince dal numero delle categorie tra cui è oggi possibile scegliere: la tassonomia delle transizioni di vita inaugurata da LinkedIn si compone di sole 13 opzioni laddove, se chiunque di noi si mettesse a elencare il numero di previsti ed imprevisti che ci possono allontanare dalla carriera (parola che deriva dal termine carro, indicando la strada per esso tracciata), non riuscirebbe a stare sotto le 50 definizioni.
Ed è davvero il segnale di un gran lavoro: le 13 categorie ‘linkediane’ si dividono quasi equamente tra famiglia, lavoro e dimensione personale, in alcuni casi con una certa specificità e in altri con un’apertura che però non ne indebolisce la comprensione. Eccole tradotte in italiano, anche se oggi vengono presentate anche in Italia in inglese:
1. lutto
2. transizione lavorativa
3. caregiving
4. genitorialità full time
5. anno sabbatico
6. licenziamento/posizione eliminata
7. salute e benessere
8. perseguimento di un obiettivo personale
9. sviluppo professionale
10. rilocazione
11. pensione
12. viaggio
13. volontariato
La seconda scelta è stata quella di presentare queste opzioni in modo nuovo: dimostrando sulla base dei dati che periodi di assenza hanno riguardato in passato il 62% dei lavoratori e che un altro 35% sa già oggi che ne avrà in futuro, LinkedIn evidenzia infatti che questo costituisce uno stigma nel momento del reingresso, anche solo perché un manager su cinque dichiara apertamente di rigettare a priori questo tipo di candidati.
Il rifiuto va poi ben oltre questo 20% di manager: la strada del “ritorno” in carreggiata è tortuosa per molti altri motivi, manifesti o meno. Si tratta a tutti gli effetti di un enorme bacino di talenti che finisce in una zona grigia delle valutazioni a causa di uno stereotipo culturale che vede le persone frazionate a seconda dei loro diversi usi: con questa vista, se l’area adibita al lavoro impiegatizio viene “spenta” non c’è altro da vedere, valutare, misurare.
LinkedIn si raccomanda quindi di saper guardare le persone nella loro interezza e rivela che il 51% dei manager riconsidererebbe lo stesso candidato prima rigettato se sapesse “perché” ha quella pausa nel CV.
Vederci quindi, meglio e di più, per rompere lo stereotipo del “qui non c’è niente” attraverso una narrazione più ricca e più vera delle nostre vite. Sembra facile a dirsi. Il problema è che gli stereotipi regnano soprattutto nell’urgenza e nell’incertezza: sono sempre efficaci scorciatoie, producono errori già noti e sono protetti da tutti gli strumenti, procedure e convenzioni che hanno generato negli anni.
L’indicazione di LinkedIn è quindi quella di aguzzare la vista per saper riconoscere le competenze che queste pause hanno generato per il semplice fatto di essere intense esperienza di vita.
L’articolo originale è stato scritto da Riccarda Zezza e pubblicato su AlleyOop, blog de Il Sole 24 Ore. Per leggere l’articolo integrale, clicca qui.