L’innovazione di Lifeed raggiunge un altro traguardo: l’EdTech company fondata da Riccarda Zezza è la prima e unica impresa italiana tra le 16 aziende disruptive e innovative in forte crescita selezionate da Unreasonable group per entrare nella community di Unreasonable future, il programma internazionale voluto da Fossil Foundation, Pearson e Accenture per aiutare a co-progettare il futuro del mondo del lavoro.
Le imprese selezionate sono in grado di portare un reale impatto nel futuro del mondo del lavoro, hanno soluzioni innovative, presenti sul mercato e in forte crescita, sono aziende inclusive, capaci di rompere gli schemi e cambiare la società.
Unreasonable future è il programma di fellowship, giunto al suo terzo anno, che riunisce innovatori dirompenti e imprenditori per co-progettare un futuro in cui le persone e la tecnologia lavorano fianco a fianco per creare un futuro più sostenibile ed equo per tutti. Le prime due edizioni hanno coinvolto 30 imprese, raggiunto 17 milioni di beneficiari in 180 Paesi. Le imprese coinvolte in Ureasonable future finora hanno raccolto più di 260 milioni di dollari in finanziamenti e l’iniziativa ha generato oltre 74 milioni di visualizzazioni sui social media.
La formazione di Lifeed, citata da McKinsey & company tra le 10 iniziative più innovative al mondo per il reskilling dei lavoratori, oggi è utilizzata da oltre 20.000 persone in 70 aziende.
“Unreasonable future – ha dichiarato Riccarda Zezza – rappresenta per Lifeed una grande opportunità per diffondere metodi di formazione innovativi e più democratici, in grado di cambiare la vita delle persone e ridefinire i modelli organizzativi. Vogliamo dare il nostro contributo per rendere accessibile la riqualificazione a milioni di lavoratori, costruire un mondo del lavoro in cui tutti possano realizzare il proprio potenziale, trasformando le esperienze di vita in competenze professionali“.
Unreasonable future fornisce una serie di occasioni di confronto e crescita per le imprese più innovative e in fase di crescita. Imprenditori e partner sono coinvolti in workshop guidati da esperti, braintrust, eventi globali e incontri immersivi su misura. Una rete di oltre 1000 mentori e specialisti che supportano le fase di crescita delle imprese. Sfruttando le relazioni con fondi, fondazioni e società di consulenza, Unreasonable Future è in grado di indirizzare investimenti mirati sulle iniziative selezionate tramite raccolte di fondi e impegno diretto.
La cultura delle pari opportunità e dell’inclusione guida la corporate governance di Accenture, tra le principali società della consulenza aziendale con una presenza globale sintetizzata dai numeri: 505mila dipendenti, 6mila clienti in oltre 120 Paesi, 200 sedi e uffici operativi in 51 Paesi, 185 partner, 7.400 brevetti e richieste di brevetto in tutto il mondo. Dal 2001 è quotata alla Borsa di New York.
Accenture aveva l’obiettivo di rafforzare la costruzione di una cultura inclusiva su cui lavora da tempo affinché a tutte le sue persone siano garantite pari opportunità di avanzamento e progressione.
La genitorialità rappresenta una straordinaria occasione di crescita, secondo la visione di Accenture, per sviluppare nuove energie, competenze e abilità indispensabili anche nella vita professionale e costituisce un valore aggiunto per l’individuo, il team e tutta l’organizzazione.
Affiancata da Lifeed e attraverso il progetto Your child your master per neo-genitori, l’azienda ha quindi deciso di supportare chi vive il doppio ruolo di professionista e di genitore.
“Le soluzioni offerte da Lifeed si sono dimostrate in linea con la nostra vision che investe per migliorare il benessere e di conseguenza la produttività delle nostre persone”, spiega Accenture Italia.
La pandemia ha innescato una vera e propria rivoluzione nel sistema-lavoro, scardinando certezze manageriali sedimentate nel corso degli anni. Sono emerse così necessità nuove per i leader di oggi: come gestire questa transizione salvaguardando il business e senza tralasciare, allo stesso tempo, le esigenze delle persone?
A questa e ad altre domande si è cercato di trovare risposte attraverso la tavola rotonda La nuova flessibilità e le ricadute sulla leadership. Come guidare il team in una fase di incertezza e quali priorità per agire il cambiamento? organizzata da HRC, a cui hanno partecipato manager e direttori HR di diverse aziende.
Dopo l’arrivo della pandemia, le aziende si sono ritrovate a vivere un cambiamento forzato nei modi di lavorare e a cercare risposte senza seguire schemi prestabiliti. In questo contesto, secondo quanto emerso dall’osservatorio di Lifeed, i dipendenti hanno sviluppato caratteristiche come autoconsapevolezza, problem solving e altre competenze che riguardavano loro stesse, singolarmente, mentre sono calate le competenze legate al lavoro con gli altri. “All’opposto, però, abbiamo visto che collaborazione, supporto verso gli altri e delega sono le competenze più sviluppate nella vita privata”, spiega Emanuela Vignotti, Chief Revenue Officer di Lifeed. “Questo perché le transizioni di vita, compresa la pandemia, sono protagoniste dello sviluppo delle competenze”.
Lo sforzo più grande che dovrà affrontare il leader del futuro sarà quello di “essere flessibile e continuare a far lavorare in maniera produttiva le persone con modalità diverse, puntando proprio sulle competenze soft sviluppate nella vita privata”. Non bisogna infatti dimenticare che il fulcro dell’azienda è sempre la persona: conoscere i dipendenti a 360 gradi e valorizzarne le competenze è la chiave per raggiungere gli obiettivi aziendali nella ‘nuova normalità’.
Un ruolo delicato, quello del leader, soprattutto in questo momento storico. “Empatia, necessità di ascoltare e di costruire rapporti sempre di più basati sulla fiducia, che va oltre la dimensione del controllo” sono le priorità secondo Francesca Fraulini di The Kraft Heinz Company. Quali sono, dunque, le caratteristiche del leader del futuro? La chiave, per Fraulini, è saper ispirare il proprio team e creare connessioni con l’esterno.
Gli HR manager si sono ritrovati ad affrontare una situazione inaspettata a causa della pandemia. La percezione della necessità di come agire sul cambiamento in atto, supportato da un sistema di valori e di cultura aziendale, sono gli spunti offerti da Gianpaolo Corti di The Kraft Heinz Company, che ribadisce come sia “necessario un sistema di soft skills veicolato attraverso network informali per cambiare l’approccio ‘command & control’, con cui spesso le aziende guidano il loro modo di lavorare e che oggi non è il modello più adatto”.
Un cambiamento che deve essere congruente con la propria identità aziendale, secondo Antonio Guarrera di Aboca, che sottolinea come il leader del futuro debba avere tre caratteristiche: competenza (essere tecnicamente preparato), virtù (essere un buon esempio), sollecitudine, ovvero essere al servizio degli altri “perché l’azienda è come un organismo vivente e in quanto tale la fiducia è fondamentale”.
Per Stefania Capelli di Cisco il momento che stiamo vivendo, seppur faticoso, è ricco di opportunità per “riportare in una nuova dimensione la cultura manageriale”. Nuove dimensioni che spingono Capelli a ragionare sul futuro come ‘open source’ in cui il vero leader punterà sull’inclusione per il raggiungimento degli obiettivi, lasciando spazio ad inventiva e iniziativa personale, perché “la carta vincente è la fiducia che si dà”.
Flessibilità e fiducia, concetti alla base di una nuova leadership e di un contesto in cui, secondo Fabio Comba di KPMG, “il network è un punto cardine per un team leader e bisogna creare le condizioni performative anche con il divertimento, perché ogni investimento sul benessere organizzativo è una ricaduta sulla soddisfazione del cliente”.
Dunque una leadership energica e accogliente, non solo per produrre migliori performance, ma anche per far sentire tutti “parte del team, indipendentemente da dove scelgano di lavorare”, sottolinea Massimiliano Sacco di Electronic Arts. Sacco pone l’accento sulla necessità di trovare un equilibrio in una fase ibrida in cui alcuni processi lavorativi, come quelli creativi, necessitano di una presenza e non possono svolgersi da remoto. Il leader dovrà calibrare bene queste fasi per valorizzare e rinforzare il team per centrare gli obiettivi.
Ugo Venier di Snam pone l’accento sulla necessità di creare consapevolezza nei leader su come gestire il team e sulla capacità di ascolto “fondamentale per una leadership in un contesto più incerto, perché se si ascoltano le persone e si capiscono le loro esigenze, si riesce ad essere più efficaci”.
La leadership è stata messa alla prova da un evento inaspettato come la pandemia, da cui però nascono nuove opportunità di cambiamento e di equilibrio vita-lavoro, tassello imprescindibile nella vita delle persone. Lo evidenzia Monica Chiari di Cameo che delinea come la leadership futura si “esplica dentro il cambiamento. Al leader stanno a cuore più le relazioni piuttosto che le performance, la sua è una leadership che mostra la direzione e non è più controllante, nell’indicare la rotta si fa diffusore di fiducia”.
Una leadership della trasformazione per Maurizio Audizi di Ania, che include una ridefinizione dei valori che rispondono a nuovi bisogni “perché il contesto ci ha portato a dare più rilevanza a cose che prima erano meno rilevanti”.
Tante le parole chiave emerse, una tra tutte quella della fiducia, che torna come un mantra per il leader del futuro. Fiducia prima di tutto nei componenti del proprio team, nei valori dell’azienda e nel desiderio di costruire una leadership nuova per un futuro migliore.
Le aziende sono sempre più attive nella promozione di iniziative di Diversity&Inclusion, che hanno benefici sia per le singole persone sia per il business delle imprese stesse. Ma, per una volta, ci si può soffermare sull’etimologia della parola “inclusione” e riflettere su di essa.
“Inclusione” rimanda alla chiusura dentro uno spazio predefinito. Oggi però, soprattutto a causa degli effetti della pandemia sulle nostre vite, è evidente l’ampiezza delle nostre dimensioni identitarie. Questa multidimensionalità ha abbattuto i confini spazio-temporali e i muri di uffici e case nel periodo di lavoro da remoto ed è ormai realtà: per questo motivo, è il momento di provare a sostituire la parola “inclusione” con “apertura”.
Attraverso la scoperta e il racconto agli altri di sé, e rompendo i tabù del passato, le persone diventano più consapevoli delle proprie dimensioni identitarie e tratti caratteriali. Questo le rende più bravi sul lavoro, oltre che ingaggiate e felici. E le aziende possono avere a disposizione mappe più ampie riguardo alle loro persone. Solo allargando lo sguardo a ciò che è diverso e complesso, infatti, le imprese possono beneficiare di questa “apertura” sia a livello individuale sia di performance collettiva.
Lo ha raccontato Riccarda Zezza, CEO di Lifeed, nel corso della tavola rotonda Organizzazioni per le persone o persone per le organizzazioni? nell’ambito del 50esimo Congresso Nazionale di Aidp, a cui hanno partecipato anche Michele Viale, Direttore Generale di Alstom Italia e Svizzera, Marco Piccolo CEO di Reynaldi, Delegato CSR Confindustria Piemonte ed Elena Caffarena Senior Partner di Praxi.
Dal confronto è emerso inoltre come, oggi più che mai, ci sia una forte convergenza di interessi tra persone e aziende. Per questo, non bisognerebbe mettere in antitesi le architetture organizzative e le persone che ne fanno parte. Proprio facendo emergere le differenze delle persone (e cambiando il nostro comportamento in relazione al nostro interlocutore) è possibile ottenere migliori risultati.
D’altra parte, il modello taylorista non ha più senso nella nostra società. Il tempo di lavoro va valorizzato in relazione al tempo di vita e le aziende sono chiamate ad avere una vocazione di responsabilità verso il proprio territorio, supportando le persone e guardandole nella loro interezza, oltre ai ruoli lavorativi. In una parola: con umanità.
Dopo la prima fase della crisi legata al Covid-19, che aveva creato un senso di incertezza e disorientamento nelle persone, oggi si è aperta una nuova fase di ripartenza per le aziende. In questo contesto, i leader sono concentrati sulle strategie adeguate per favorire il rientro graduale in ufficio dei loro dipendenti.
Oggi più che mai, le persone hanno bisogno di credere nel futuro e di contribuirvi direttamente. Nelle transizioni, ciò è possibile attraverso un ascolto attento e innovativo da parte dei manager HR. Un’azione che può diventare una leva per favorire il benessere organizzativo, la produttività e la valorizzazione dei talenti.
Secondo quanto emerge dai master Lifeed, il 62% delle persone dichiara di provare preoccupazione all’idea di “tornare alla normalità”. Il 69% dei dipendenti si aspetta che, per favorire il rientro in ufficio, la propria azienda dia spazio ai pensieri e agli stati d’animo. Infine il 68% dei partecipanti ai master Lifeed ritiene che il manager ideale debba avere la dote dell’ascolto.
In particolare, ci sono 5 comportamenti manageriali che possono facilitare il passaggio dal senso di smarrimento al nuovo inizio.
In Mondelēz International – leader globale nel settore dello snacking – le politiche rivolte ai dipendenti in tema di wellbeing sono sempre state una priorità.
L’azienda punta sul valore della persona a 360 gradi, non solo come professionista, includendo quindi la dimensione di vita privata espressa dalle persone.
A settembre 2020, con la pandemia in corso e il ricorso allo Smart working di emergenza, l’azienda in Italia ha messo in pratica il progetto con Lifeed, aprendolo a tutte le persone che lavorano nelle diverse sedi aziendali come percorso personale e aziendale di riconoscimento e valorizzazione della dimensione identitaria dei caregiver.
L’avvio del progetto nel periodo di emergenza sanitaria ha fatto sì che le persone si sentissero riconosciute nei loro molteplici ruoli, più consapevoli del proprio valore e accolte dall’azienda nella condivisione di esperienze con le altre persone.
“Siamo entrati davvero in osmosi con Lifeed, soprattutto sul concetto di considerare la persona a 360 gradi, non solo come dipendente”, spiega Olga Lo Conte People Lead, Labor Relations Italy di Mondelēz International. “Oggi parlare di caregiver è un tema cardine della nostra politica di inclusione”.
Ogni viaggiatore sa che la diversità è una ricchezza. Lo sanno anche i genitori, che nel loro ‘viaggio’ quotidiano colgono i diversi tratti caratteriali dei figli. Lo sa chi ha fratelli o sorelle, chi si prende cura di genitori anziani, chi vive in società multietniche o ha rapporti con generazioni differenti.
Ma nelle aziende come è possibile trasformare la Diversity&Inclusion in un’occasione di crescita?
Lifeed lo ha chiesto ai partecipanti del suo workshop Conosci la D&I attitude della tua azienda? Scoprilo con gli HR Analytics organizzato nell’ambito del 50esimo Congresso Nazionale di Aidp, l’Associazione Italiana per la Direzione del Personale.
La Diversity è un’opportunità che diventa una ricchezza solo se gestita, altrimenti rischia di sfociare in conflitto o di non avere gli effetti sperati. In un team, è un valore aggiunto solo quando c’è consapevolezza di essa: in questo senso, le aziende non possono più limitarsi ad agire con la logica delle quote sui temi di gender equality e work-life balance. Non è sufficiente inserire elementi differenziali al proprio interno (per esempio assumere più donne o persone di etnie diverse) senza far seguire un’opportuna elaborazione, altrimenti la D&I rischia di diventare una ‘moda’. Come osserva l’Harvard Business Review, quando qualcosa diventa di moda, cessiamo di farci domande, arriviamo ad approcci semplicistici e smettiamo di cercare. Ma la D&I è molto di più.
Per il 60% dei manager intervistati nel workshop di Lifeed, la strategia di Diversity&Inclusion è utile per favorire l’attrazione di talenti, ricevere idee diverse e far sentire accolti i collaboratori, ma anche per la brand reputation, per la responsabilità sociale e infine per stimolare l’innovazione. Tuttavia, spesso i manager sono portati ad assumere collaboratori in cui ravvisano similitudini. L’omologazione è, nell’immediato, la via più semplice. Ma solo investire e lavorare sulle differenze porta a cambiamenti culturali significativi e “ricchezza”.
Per conseguire questo importante risultato serve allenamento. Tutte le competenze, anche quelle trasversali, vanno allenate: talvolta, quando pensiamo di non possederne alcune, le stiamo semplicemente cercando nel ruolo sbagliato.
Pensiamo alle numerose transizioni che attraversiamo nell’arco della nostra vita (come la pandemia) che ci rendono diversi persino da noi stessi, anche nel giro di poche settimane. Secondo le analisi di Lifeed, ognuno di noi affronta almeno una transizione ogni 14 mesi. Ciascuna è un’esplosione di energia e un arricchimento di competenze soft che, per essere messe a frutto, vanno guidate. Ciò che ci caratterizza come partner, figli, genitori può essere portato con successo in altri ruoli di vita, come quelli professionali, perché sono caratteristiche che già abbiamo, che già manifestiamo.
Queste caratteristiche vanno però riconosciute consapevolmente e adattate alla propria professionalità: si chiama transilienza, una parola che ci ricorda che non siamo blocchi monolitici, persone che, tornando a casa dal lavoro, dismettono i panni dell’impiegato, del manager, dell’insegnante e diventano madri, padri, figli, fratelli, amici. Siamo le stesse persone, nella propria complessità e interezza: dobbiamo solo imparare a trasferire le caratteristiche di un ruolo a un altro, dai contesti personali a quelli professionali e viceversa.
La diversità è una ricchezza solo per le organizzazioni che imparano da essa. La parola chiave è, dunque, ‘apprendimento’: occorre lavorare sulle diversità, senza negarle, omologarle ed appiattirle, per renderle ricchezza. La diversità va vista, riconosciuta, sottolineata e ripensata: non impariamo dall’esperienza in sé, ma dalla riflessione sull’esperienza.
Storicamente, nelle aziende la dimensione HR è quella approcciata in modo meno analitico. Ma partire da dati reali è importante quando si vuole analizzare la situazione aziendale, per apportare cambiamenti migliorativi. L’aspetto più delicato è fare le domande giuste, perché la raccolta e l’analisi dei dati non diventino limitative e controproducenti. La People Analytics di Lifeed, a partire dalle domande poste, si rivolge alle persone nella propria interezza, non solo come dipendenti. Promuove l’autonarrazione, che sostituisce stringati questionari strutturati con contenuti top-down, e analizza i dati in modo continuativo, non in momenti predefiniti della vita aziendale.
Accanto ai cosiddetti “Big data”, quelli oggettivi solitamente preferiti dalle aziende, la People Analytics di Lifeed indaga anche i dati soggettivi, detti “Small data”. Immaginiamo un iceberg, in cui i Big data sono la punta, quello che emerge. Ma, sotto il pelo dell’acqua, c’è tutto il mondo personale del professionista, tutte le competenze soft, le aspirazioni, i talenti, le dimensioni identitarie, i valori, le emozioni. Produttività, engagement, benessere aziendale, persino i comportamenti adottati sul lavoro non possono prescindere da questi aspetti. Solo prendendo consapevolezza di tutto questo è possibile valorizzare la Diversity come ricchezza, che conduce al benessere delle persone e al successo delle loro aziende.
La pandemia ha stravolto i nostri ritmi di vita e lavorativi, ma ci ha anche spinto a rivolgere maggiormente lo sguardo verso noi stessi e comprendere le difficoltà quotidiane e i nostri punti di forza, spingendoci a riflettere sul cambiamento socio-culturale che stiamo vivendo.
In particolare, dalle difficoltà che incontrano ancora oggi le madri che lavorano, l’intera società italiana può imparare ciò che le serve per evolvere e diventare più adatta alle persone che siamo diventate.
Questo e altro è emerso dalla Life Ready Conference 2021 virtuale dal titolo Le discese ardite e le risalite organizzata da Lifeed in occasione della Festa della Mamma 2021 con la partnership de Il Sole 24 Ore e AlleyOop, moderato dalla CEO di Lifeed Riccarda Zezza, a cui hanno partecipato sei madri manager di grandi aziende.
A partire dai risultati della survey lanciata da Lifeed, a cui hanno risposto oltre mille persone, la riflessione si è sviluppata attorno alla domanda: “Come hanno reagito alla pandemia le madri che lavorano?”. I dati raccolti hanno disegnato un quadro dove le madri sono emerse più forti, semplicemente perché la capacità di affrontare le trasformazioni risulta un processo già conosciuto dalle donne quando diventano madri e “questo periodo pandemico ha fatto emergere la leadership naturale delle mamme”, ha ricordato Riccarda Zezza.
Alla domanda “Questa transizione ha migliorato le tue capacità di leadership?” rivolta ai neo genitori, il 71% dei partecipanti ha risposto di sì. In particolare, nelle madri la percezione del miglioramento delle proprie capacità di leadership attraverso i propri ruoli di cura è più elevata (74%) e nelle neo mamme raggiunge il 79%.
In questo momento di transizione collettiva globale, la capacità di reazione all’imprevisto delle donne è una attitudine preziosa anche per il mondo aziendale. Da qui la necessità di un cambio di paradigma culturale e sociale che pone al centro un tema fondamentale: una maggiore presenza delle donne in ruoli guida per incidere in un reale cambiamento strutturale nel mondo del lavoro.
La necessità di spostare lo sguardo verso un nuovo baricentro relazionale, in cui la condivisione dei carichi familiari sia percepita in maniera diversa, è sottolineata da Giovanna Della Posta CEO di Invimit: “Sono una mamma che lavora, ma preferisco dire che siamo una famiglia che lavora. Quando si sposta il baricentro sulla famiglia, la capacità di reazione della mamma diventa la capacità di reazione di tutta la famiglia”. Un cambiamento che, per Della Posta, può avvenire lavorando sulla consapevolezza di nuovi traguardi. “Si cambia questo mondo mettendo le donne a guidare e a cambiare questi processi, non bastano le quote rosa. Io incido ogni giorno con una goccia per cambiare questa cultura”.
Una marcia in più: è quella che, secondo Maria Laura Garofalo CEO di Garofaolo Health Care, hanno le donne che durante questa pandemia hanno reagito all’inaspettato con “una maggiore concretezza, coraggio, spirito di sacrificio ed empatia, in maniera pratica a trasversale”. Attitudini necessarie, per Garofalo, non solo per creare un mondo lavorativo diverso, ma utili anche per costruire un Paese più efficiente e produttivo. Un sistema che esclude ancora troppo le donne da posizioni di vertice e in cui esse nonostante le loro qualità non vengono valutate per il loro valore professionale. Un vero cambiamento potrà passare solo “attraverso la consapevolezza posta su tavoli di scambio culturali e attraverso un ordinamento che dovrà porre onore al merito”.
La costruzione di una squadra avviene anche attraverso la condivisione di obiettivi e necessità. Solo chi fa squadra riesce nell’innesco di reali cambiamenti culturali, che “richiedono il contributo consapevole anche di chi è più privilegiato”, sottolinea Angela Paparone HR Lead Italia di Microsoft. Una esortazione a essere un modello positivo per altre generazioni di donne, ma soprattutto di esserci: “Quando ci siamo, dobbiamo dire le cose con coraggio”. Dunque una presenza attiva per generare un cambiare reale perché “dobbiamo essere forti e consapevoli di quello che possiamo contribuire, dare voce a modelli di lavoro che possono aiutare le donne in tante complessità”. Responsabilità sociale, dunque, per incidere sul cambiamento.
Un tema sociale, politico, culturale, per dirigere la nostra economia in una direzione diversa. È per questo che Francesca Polti, Direttrice Generale di Polti Group lancia un invito a tutti gli imprenditori a rivalutare le risorse umane “perché il personale deve essere visto come una vera risorsa al fine di creare una varietà aziendale e comprendere quali sono le competenze che una madre lavoratrice può portare in azienda”. Dunque ripensare a modelli lavorativi ma anche familiari e “una educazione mirata a entrambi i generi”, in cui la responsabilità di presentare modelli positivi coinvolge non solo le donne, perché “il paradigma che dobbiamo rompere è proprio quello di parlare ai papà”.
Polti lancia poi un appello a tutte le madri affinché credano di più in loro stesse, esprimendo le capacità in famiglia come in azienda: “Non abbiate paura di mostrare le vostre qualità e di pretendere che queste vengano riconosciute”. La via da seguire, secondo Polti, è quella dell’antifragilità, intesa come “capacità di crescere, migliorarsi e rafforzarsi, di non temere il cambiamento ma imparare a gestirlo, affrontando il rischio come un’opportunità”.
Lavorare per rompere gli schemi è un processo conosciuto anche da Luisa Todini, Presidente Comitato Leonardo e Green Arrow Capital che, forte della sua esperienza, ribadisce l’importanza di fare squadra con altre donne per creare un percorso comune. “Essere madri e lavoratrici è un Master e anche un Phd insieme, non c’è altra preparazione accademica che possa insegnare e lasciare qualcosa di positivo come l’essere madri”.
La pandemia ha rappresentato per tutti un considerevole stress test, e le donne, soprattutto le madri lavoratrici, “hanno reagito con forza dimostrando una disposizione quasi naturale ad affrontare i cambiamenti che nascono dalle transizioni”. Nel graduale ritorno alla normalità, secondo Todini, serviranno “strumenti strutturali adeguati, anche grazie alle ingenti risorse in arrivo con il Recovery Plan, direzionando i fondi con progettualità, lungimiranza e meno burocrazia”.
La necessità di essere multitasking implica una suddivisione di carico con il proprio partner e una dose di pazienza nei ritmi familiari, ma anche una gestione diversa del tempo che dedichiamo al lavoro. Per Laura Villani Managing Director and Partner di Boston Consulting Group, la pandemia ha rappresentato uno spartiacque sociale che “pur nelle difficoltà, ha portato anche elementi positivi e conferma la capacità reattiva delle donne”, di fronte all’emergenza. Infine, secondo Villani, è necessario rivalutare il valore di un bene prezioso come il tempo: “Mi aspetto, soprattutto per le mie figlie, un mondo in cui esso venga valorizzato meglio e sia data a tutti i l’opportunità di essere leader, cioè qualcuno che sia capace di tirare fuori il buono che c’è nelle persone e dall’ambiente che le circonda”.
Dopo l’arrivo della pandemia, nelle aziende si è parlato sempre più spesso di cambiamento nei modi di lavorare, comunicare e collaborare. Questa trasformazione coinvolge direttamente la funzione HR, chiamata ad ascoltare le persone in modo nuovo, di guidare i capi e di rendere più responsabili tutti i collaboratori (non solo i manager) nell’ambito di una transizione epocale.
Questa fase storica può essere il momento giusto per ‘fare la rivoluzione’ nella gestione delle persone nella nuova normalità. Ma il compito non è facile, perché il ‘sistema’ tende a resistere al cambiamento tornando al passato che già conosce (con una sorta di effetto-elastico) e il rischio è di non far evolvere realmente la gestione delle persone. Per questo motivo, “quella dell’HR è una funzione eroica”, ha spiegato Riccarda Zezza CEO di Lifeed nel corso dell’incontro dal titolo Abbiamo veramente cambiato il modo di fare HR? organizzato da HRC.
Nelle transizioni identitarie per le persone e le società (come la pandemia) l’ascolto non può essere parziale, perché in questo modo si riducono le risorse a disposizione. Servono invece diversi strumenti di ascolto, soprattutto digitali, che permettono di allargare le mappe. In questo senso, le domande aperte sono un elemento molto potente per ridefinire le cornici e scardinare vecchi stereotipi, perché hanno la potenza di autorizzare le persone a raccontare le loro dimensioni identitarie.
E gli HR manager? Possono far diventare questa complessità un’opportunità, attraverso l’uso dell’Intelligenza Artificiale che trasforma le informazioni a loro disposizione in dati azionabili a beneficio delle loro imprese.
La funzione HR è cambiata in tutti i suoi processi, come hanno testimoniato Donatella De Vita, Global Head of Development, Learning, Engagement and Welfare di Pirelli e Miriam Spezzacatena, HR Business Partner di Pirelli. Con la pandemia, sono venute meno alcune dimensioni come il contatto visivo con gli spazi aziendali, ma dall’altro lato sono stati abbattuti i confini geografici ed è possibile acquisire competenze in tutto il mondo. “In questo cambiamento ci sono tante opportunità da cogliere e, nel complesso, abbiamo imparato a valorizzare di più le persone”.
A cambiare è stato anche il modo di fare il leader: per Annalisa Sala, Global Chief People Officer di Arcese, “i modelli di leadership tradizionali sono stati messi in discussione, abbiamo bisogno di leader con un nuovo mindset e diverse capacità di guidare le persone”, di conseguenza anche la funzione HR deve cambiare se stessa ed è chiamata a “guidare questo processo con iniziative che puntino alla formazione dei leader, al dialogo, all’ingaggio e all’interazione con le persone”.
Il mondo intorno a noi che è cambiato, ma ora l’HR ha un’occasione straordinaria di “uscire dalla ‘periferia’, di diventare fondamentale e di essere ‘un Napoleone’ al centro della scena”, sostiene Graziano Marcuccio, Chief HR Officer di De Nora, secondo cui “dal punto di vista professionale questa è la nostra Rivoluzione Francese”.
Rispetto al passato, oggi l’HR ha un posto ai tavoli aziendali più importanti. Per Mauro Ghilardi, Direttore People & Transformation di A2A, è l’occasione di puntare sul “coinvolgimento di capi, sindacati e persone nel design del future work e sulla capacità di ascoltare grazie all’uso di strumenti digitali. Bisognerà anche trovare un valore per andare fisicamente in ufficio”. E soprattutto “sarà importante trattare tutti come adulti, non considerare l’azienda come una ‘mamma’, ma piuttosto come un club dove ognuno decide se partecipare”.
Fabrizio Tripodi, Regional HR Director, Emerging Markets Division-Europe & IMEA di Brown-Forman evidenzia come nel periodo della pandemia “siamo stati più agili nel prendere decisioni, anche più vulnerabili, ma più autentici” e sottolinea l’importanza dei concetti di care e active listening nei confronti delle persone. “Abbiamo imparato a sfruttare meglio il tempo per essere più produttivi e per dedicarci anche ai nostri affetti”.
Le organizzazioni sono diventati più flessibili, veloci e focalizzate sull’essenziale, più aperte alla sperimentazione e all’ascolto: “Si è aperta una finestra emotiva che coinvolge anche la funzione HR”, afferma Marina Capizzi, Co-founder di Primate. “Il purpose dell’HR può evolvere verso nuovi modelli di leadership con un allargamento delle autonomie, maggiore diffusione delle responsabilità, in modo sostenibile, facendo saltare le gerarchie che non funzionavano più”.
Nei prossimi mesi parteciperemo anche ad altri HRD Square: non perdere gli appuntamenti in agenda!
Lunedì 24 maggio 2021 – LA NUOVA FLESSIBILITÀ E LE RICADUTE SULLA LEADERSHIP. COME GUIDARE IL TEAM IN UNA FASE DI INCERTEZZA E QUALI PRIORITÀ PER AGIRE IL CAMBIAMENTO?
Martedì 22 giugno 2021 – INCLUSIONE: VERSO UNA CULTURA DELL’APPARTENENZA
La pandemia ha accelerato l’evoluzione dei modelli organizzativi attraverso tre spinte principali: digitalizzazione, sostenibilità, potere dei consumatori e dei giovani talenti sulle scelte e le azioni delle aziende. In questa fase di svolta, al centro dell’attenzione delle aziende ci sono dimensioni ‘nuove’ come benessere, fiducia, collaborazione, rispetto, leadership diffusa e scopo condiviso, sulla scia del modello d’impresa olivettiano.
Fu proprio Adriano Olivetti a sostenere che la vita delle persone dovesse entrare maggiormente nella fabbrica. “Oggi viviamo ancora un paradosso nel mondo del lavoro, che vede le persone divise tra vita privata e attività professionale, ma abbiamo l’occasione di estendere le mappe delle aziende per comprendere al loro interno le nostre vite”, ha spiegato Riccarda Zezza CEO di Lifeed nell’ambito dell’incontro Organizzazioni per le persone o Persone per le organizzazioni? del 50esimo Congresso Nazionale Aidp, in cui ha dialogato con Isaac Getz, professore alla ESCP Business School, saggista e tra i protagonisti del movimento globale di liberazione aziendale.
Non dovrebbe essere strano parlare di aziende altruiste oggi, ma fino all’inizio della pandemia e del remote working forzato la vita delle persone è stata lasciata fuori dagli uffici. “Solo adesso la complessità delle nostre vite (che in realtà era già esistente) è diventata visibile”, ha sottolineato Riccarda Zezza. “In passato ci sembrava ovvio ‘conciliare’ vita e lavoro, ma prenderci cura degli altri fa parte della nostra natura umana, è un istinto primario della nostra specie che fa emergere in noi responsabilità e ci rende agenti del cambiamento”.
Le aziende ‘egoiste’ lasciano tutto questo fuori dai loro ‘recinti’. Ma le risorse delle persone sono già presenti all’interno delle imprese. “Per scardinare le vecchie cornici, il movimento da fare non è aggiungere nuove forme alle persone in direzione top-down, bensì dare spazio alle loro dimensioni identitarie. Portando la vita nel lavoro, dunque, è possibile costruire economie e società altruiste”.
Come può tradursi tutto questo, concretamente, nelle aziende oggi? Secondo Isaac Getz, le imprese altruiste hanno tre caratteristiche principali: “Si prendono cura di tutti i membri dell’ecosistema di business, agiscono in modo incondizionato e lo fanno attraverso tutti i loro processi di core business. Così raggiungono performance economiche elevate”. Con le loro azioni etiche nei confronti degli stakeholder, puntando sulla sostenibilità e su valori umani, queste imprese ottengono risultati di business positivi.
D’altra parte, secondo recenti studi, oggi l’87% dei Millennials crede che il successo di un’azienda non sia misurabile solo in termini finanziari e l’89% dei consumatori sarebbe disposto a lasciare un brand per un altro con una missione sociale.
Focalizzarsi sul valore sociale è dunque la chiave. “Persone, clienti, fornitori, comunità: il mix di questi ‘ingredienti’ porta alla ‘ciliegina sulla torta’, cioè il risultato economico, che è una conseguenza dell’approccio basato sulla cura del proprio ecosistema di business”.
I manager e i Direttori HR, secondo Getz, sono chiamati a cambiare le organizzazioni abbandonando l’approccio top-down e il proprio ego, abbracciando invece la visione altruista attraverso la spinta ai processi di core business con un valore sociale per i propri clienti, fornitori e comunità in cui operano, migliorando la vita degli ‘abitanti’ del loro ecosistema.