Quando si parla di Environmental, Social e Governance (ESG) un elemento determinante nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità delle aziende nel lungo periodo è rappresentato dalla componente sociale.
Grazie a un approccio basato sulla Human Sustainability, le aziende sono in grado di valorizzare le persone nella loro interezza, facendo emergere sul lavoro le competenze che sviluppano nelle loro esperienze di vita e migliorando così i livelli di benessere, coinvolgimento ed efficacia.
In un mondo del lavoro dove l’Intelligenza Artificiale è sempre più diffusa e i dati sull’engagement delle persone (in particolare le giovani generazioni) sono poco confortanti, come è possibile valorizzare i talenti in azienda e garantire la sostenibilità dell’impresa?
Di tutto questo si è parlato in tre focus group promossi da Lifeed in collaborazione con HR-Link da aprile a luglio 2023, nei quali i responsabili delle Risorse Umane di diverse aziende si sono confrontati su come mappare e investire sui talenti delle persone per raggiungere i loro obiettivi di sostenibilità.
I veloci cambiamenti degli ultimi anni nel mondo del lavoro hanno reso la sostenibilità ancora più centrale rispetto al passato nella strategia delle aziende.
In particolare, la componente sociale e umana della sostenibilità è diventata prioritaria per ogni tipo di organizzazione, dalle PMI alle multinazionali.
Alla luce di fenomeni come Grandi dimissioni e Quiet quitting (che vedono le persone allontanarsi dalle aziende) e della diffusione dell’Intelligenza Artificiale nel lavoro, il futuro delle imprese dipende dalla valorizzazione del capitale umano a 360 gradi.
La realizzazione della sostenibilità umana in azienda spetta innanzitutto alla Direzione HR, che ha una funzione cruciale per favorire il benessere, il coinvolgimento e lo sviluppo delle persone.
Tra le azioni concrete che le aziende possono mettere in campo nel percorso verso la Human Sustainability c’è l’ottenimento di alcune certificazioni che riguardano l’inclusione, la parità di genere, la gestione del capitale umano e la responsabilità sociale d’impresa. Ecco quali:
Attraverso i percorsi di Lifeed le aziende possono dimostrare un impegno concreto verso la sostenibilità, utile all’ottenimento e al mantenimento delle certificazioni.
Lifeed, come società di Education Technology per lo sviluppo e la sostenibilità del capitale umano, ha impatti concreti in termini di sostenibilità, inclusività, pari opportunità, benessere, sviluppo di competenze, sulle principali Certificazioni nazionali e internazionali.
Le soluzioni Lifeed rispondono inoltre agli Standard GRI (standard internazionali univoci per la misurazione della compliance ESG delle aziende) nelle aree di formazione e sviluppo e non discriminazione. Il contributo di Lifeed è già stato inserito da diverse aziende nei rispettivi report di sostenibilità.
Oggi l’Italia è al 104esimo posto su 146 Paesi nell’indicatore di partecipazione economica e pari opportunità delle donne al mondo del lavoro (Global Gender Gap Report 2023, The World Economic Forum). Il gender gap ancora molto presente nello scenario lavorativo italiano è strettamente legato al calo delle nascite e alla disoccupazione femminile.
Nel 2022 in Italia è stato raggiunto il nuovo record minimo di nascite che conferma la contrazione della natalità in corso ormai da decenni. Inoltre, come emerso dal rapporto Le Equilibriste di Save the Children, oggi nel nostro Paese il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63% (e con due figli minori scende fino al 56%), contro il 90% di quello dei papà.
Tra gli elementi fondamentali su entrambi i fronti, gioca un ruolo decisivo la disparità di genere anche nel tempo dedicato alla cura: secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, le mamme lavoratrici dedicano in media cinque ore e cinque minuti al lavoro di cura dei figli, mentre i papà lavoratori meno della metà. Se invece prendiamo un campione che include oltre alle lavoratrici anche le donne che non lavorano, la media di ore dedicate alla cura sale drasticamente arrivando fino a 16 ore (sette per gli uomini).
Questo sbilanciamento dei carichi di cura sulle spalle delle donne, in particolare le mamme, comporta che queste ultime siano più penalizzate dal punto di vista lavorativo in termini di occupazione e di carriera. La conciliazione famiglia-lavoro è la principale causa di dimissioni delle donne: rappresenta infatti il 65,5% delle motivazioni delle dimissioni secondo il rapporto di Save The Children.
In un contesto lavorativo che vede ancora la maternità come un ostacolo, cosa possono fare le aziende per invertire la rotta e favorire la parità di genere? Quali sono gli abilitatori per una genitorialità condivisa?
Di tutto questo si è parlato nel Caring Company digital talk “La cura condivisa: la parità di genere attraverso la genitorialità” promosso da Lifeed, con le testimonianze di esperti del mondo HR, la condivisione dei dati dell’Osservatorio vita-lavoro presentati da Benedetta Di Cesare, Research & Innovation Analyst di Lifeed e la moderazione di Elisa Vimercati, Trainer & Researcher di Lifeed.
Come emerge dall’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, le aziende possono favorire una nuova cultura della genitorialità attraverso alcuni abilitatori: una cultura aziendale “caring” attenta al work-life balance dei dipendenti; la condivisione, il dialogo e il supporto tra colleghi e manager; iniziative ad hoc dedicate ai genitori. Ma contano anche l’autodeterminazione e la spinta individuale. Attraverso queste azioni, le imprese possono ottenere risultati in termini di sostenibilità umana utili ai fini degli obiettivi SDG e ESG.
I benefici riguardano anche i dipendenti genitori che, sentendosi visti e valorizzati, stanno meglio e si sentono più vicini all’azienda e più capaci. Tra i partecipanti delle aziende della community Caring Company che hanno partecipato ai percorsi Lifeed, il 66% dichiara di sentirsi meglio, il 71% ha migliorato le proprie competenze e il 77% sente maggiore vicinanza all’azienda.
Questa visione consente ai dipendenti genitori di trasferire sul lavoro le competenze allenate nelle esperienze di vita privata. Si tratta di competenze organizzative, relazionali, di gestione del cambiamento, di innovazione e di leadership sempre più richieste nel mondo del lavoro.
Ciò vale, in particolar modo, per i genitori-caregiver di bambini neurodivergenti (il cui cervello elabora, apprende e si comporta in modo diverso da quello considerato tipico). Da una ricerca congiunta dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed e del Centro Tice emerge che avere doppie responsabilità di cura permette di sviluppare anche doppie competenze.
Come spiega Francesca Cavallini, Fondatrice e Presidente di Centro Tice, essere genitori e caregiver di bambini neurodivergenti comporta un lavoro aggiuntivo ed è molto spesso una dimensione invisibile. Ciò rende il genitore doppiamente affaticato. Nella nostra cultura ciò impatta soprattutto sulle madri, sulla loro salute mentale e sulla loro carriera. Ma è proprio dalle difficoltà che emergono capacità che possono essere trasferite in altri contesti, come il lavoro, se viste e valorizzate in modo corretto.
Secondo Lucia Pellino, Diversity & Inclusion Director di Lavazza Group, il lavoro da fare è soprattutto culturale: la cultura patriarcale vede la donna come la figura più adatta ai ruoli di cura. Ciò rappresenta una barriera nel mondo del lavoro e nella società. Le aziende possono fare la loro parte in termini di sensibilizzazione e comunicazione per rompere i pregiudizi esistenti e realizzare il cambiamento culturale necessario.
Pellino sottolinea come la genitorialità condivisa sia un fattore determinante per la parità di genere e non debba essere alternativa alla carriera. Creare dei role model interni all’azienda di lavoratori e leader che sono anche padri presenti in famiglia può aiutare a superare gli stereotipi: essere bravi padri, infatti, può migliorare anche le competenze di leadership sul lavoro. Alle iniziative più ‘hard’ e concrete, dunque, le aziende devono affiancare anche iniziative culturali per creare un meccanismo virale positivo e sensibilizzare tutti sul bisogno di favorire la parità di genere.
Purtroppo gli stereotipi di genere sono ancora molto radicati nella nostra cultura e le donne stesse sono costrette a limitare le proprie prospettive di carriera. Per Chiara Brina, Responsabile Gestione Executive e Welfare di Gruppo BCC Iccrea, essere una Caring Company significa anche agire per un cambio di paradigma attraverso una leadership di cura, con l’obiettivo di aiutare le donne a colmare il divario che si crea tra le esperienze di vita e il lavoro.
Per essere sostenibile nel tempo, l’impatto delle iniziative aziendali a favore della parità di genere deve dare vantaggi sia alle persone sia all’organizzazione (per esempio in termini di benessere ed engagement). Connettere le esperienze di vita con l’esperienza professionale fa sì che le due dimensioni si alimentino a vicenda in un’ottica di sinergia positiva.
Da parte delle aziende serve quindi una forte attenzione alla diversità (cioè le caratteristiche uniche di ognuno) e all’inclusione (la scelta dell’azienda di accogliere quelle diversità). Così sarà possibile valorizzare tutti i talenti delle persone, creando in ciascuno la consapevolezza delle proprie risorse e favorendo la parità di genere nel lungo periodo.
Oggi nel mondo del lavoro i livelli di coinvolgimento e soddisfazione sono ai minimi storici, mentre quelli relativi a stress e burnout sono in costante aumento.
Dopo la pandemia, il ‘sistema’ basato su regole, dinamiche e stereotipi del passato ha definitivamente smesso di funzionare. Le persone oggi cercano un nuovo senso del lavoro nel quale tornare a mettere la propria passione, il proprio cuore.
In un mondo sempre più dipendente dalla tecnologia, dagli algoritmi e dall’Intelligenza Artificiale (AI), la sfida è quella di riumanizzare il lavoro per migliorare i livelli di benessere e coinvolgimento e far tornare le persone ad “amare” quello che fanno.
Per raggiungere questo obiettivo, la leadership delle aziende è chiamata ad ampliare la mappa con cui cui guarda alle persone: ciò significa valorizzare tutti i ruoli di vita e di lavoro, tutti i talenti che rendono uniche le persone.
Solo con questo sguardo innovativo, le imprese riusciranno a creare le condizioni per far prosperare le persone e per liberare tutto il loro potenziale, con benefici per la sostenibilità umana dell’intera organizzazione.
Di tutto questo si è discusso nel Caring Company Summit 2023 promosso da Lifeed, dal titolo La sfida dell’umano, che ha riunito manager ed esperti delle organizzazioni per condividere visioni ed esperienze sul mondo del lavoro.
In particolare, dal dialogo tra Riccarda Zezza, CEO di Lifeed e autrice di Cuore Business. Per una nuova storia d’amore tra persone e lavoro, e Tomas Chamorro-Premuzic, psicologo, professore e autore di I, Human: AI, Automation, and the Quest to Reclaim What Makes Us Unique è emerso che oggi ci troviamo di fronte a una sfida epocale: l’AI sta condizionando sempre di più le persone, i loro comportamenti, il loro modo di pensare e di vivere le relazioni con gli altri.
In un contesto in cui la maggior parte delle decisioni è influenzata dagli algoritmi (con notevoli rischi di superficialità e prevedibilità), tornare a essere umani significa fare spazio alla creatività, alla capacità critica, alla curiosità e all’unicità di ognuno.
Nel corso dell’evento Lucia Monaci, Head of Development Italy and DE&I Manager Italy di UniCredit ha spiegato come è possibile valorizzare l’identità delle persone raccontando il caso concreto dell’azienda attraverso il progetto Talento Diffuso.
Il crescente disallineamento tra i bisogni delle persone e i tradizionali modelli organizzativi nel periodo post-pandemia è alla base di fenomeni come Grandi dimissioni e Quiet Quitting che vedono le persone sempre meno ingaggiate nei confronti del lavoro.
In questo scenario, la Direzione HR si trova di fronte alla grande sfida di ridefinire il rapporto tra persone e aziende: un rapporto che oggi deve essere impostato su una nuova visione dell’equilibrio tra vita e lavoro.
Ciò riguarda in particolare i dipendenti genitori e caregiver, che in estate molto spesso non possono contare su servizi e prestazioni di supporto alla gestione dei carichi di cura familiari come nel resto dell’anno. Se i bisogni di queste persone non vengono intercettati in tempo, aumenta il rischio di malessere e scarso coinvolgimento, con conseguenze negative sulla relazione tra dipendenti e aziende.
Basti pensare che oltre 61mila genitori (di cui il 73% mamme) si sono licenziati in un solo anno nel 2022 e che oggi già sette lavoratori su 10 si occupano della cura di un familiare. Inoltre, sono sempre di più le persone nella cosiddetta “Generazione Sandwich”, che devono gestire contemporaneamente la cura dei figli e quella dei genitori anziani. Ma le aziende sanno vederle?
Come spiega la ricerca 2023 dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano dal titolo “Vita, lavoro, felicità: disegnare una nuova relazione tra organizzazione e persone”, i cambiamenti degli ultimi anni hanno fatto emergere due differenti approcci al lavoro da parte delle persone: la Work-life integration e la Work-life separation.
Il primo approccio connota chi trova nel proprio lavoro una componente significativa della propria soddisfazione ed è portato a gestire in maniera integrata questi due aspetti. Il secondo riguarda chi trova la propria soddisfazione personale al di fuori del lavoro ed è portato a tenere separata la vita lavorativa da quella privata.
Se non correttamente gestita, l’integrazione vita-lavoro porta al cosiddetto ‘job creeping’, cioè la tendenza a non smettere di lavorare anche in momenti che dovrebbero essere dedicati alla vita privata. Una separazione tra vita e lavoro non correttamente gestita, invece, porta a uno scarso coinvolgimento delle persone nell’attività lavorativa. Come è possibile trovare una soluzione positiva a questa situazione?
Un approccio innovativo è rappresentato dalla sinergia vita-lavoro. Come dimostrato scientificamente dal Life Based Learning (il metodo di apprendimento ideato da Lifeed che permette alle persone di trasferire sul lavoro le competenze soft apprese nella vita quotidiana e viceversa, con benefici per le loro aziende) l’area della vita privata e quella professionale possono ricaricarsi a vicenda.
Se pensiamo ai ruoli personali e lavorativi come cerchi concentrici che si accumulano e si rinforzano a vicenda (anziché come una torta divisa in spicchi), le competenze espresse in questi ruoli si moltiplicano e possono essere trasferite tra le diverse dimensioni identitarie: genitore, figlio, collega, manager, sportivo, musicista, ecc. Questo succede grazie alla “transilienza”, una meta-competenza che viene esercitata quando le abilità, le energie e le risorse emotive delle persone fluiscono da un ruolo all’altro.
Tutto ciò ha un impatto positivo sul benessere, il coinvolgimento e la produttività delle persone. Sentendosi viste e riconosciute nei loro ruoli personali e professionali, infatti, le persone migliorano l’equilibrio vita-lavoro e la loro efficacia, con conseguenti vantaggi per le aziende anche in termini di sostenibilità.
Le attività di cura come la genitorialità e il caregiving sono grandi esempi di sinergia vita-lavoro: competenze come gestione del cambiamento, empatia, gestione dello stress, collaborazione e gestione della complessità vengono allenate da mamme, papà e caregiver nel rapporto quotidiano con i figli e i genitori anziani o non autosufficienti. Questo vale ancora di più durante l’estate, quando il calendario scolastico e le vacanze impongono la riorganizzazione della vita familiare.
Queste competenze rappresentano risorse preziose anche per il mondo del lavoro. Ma per non sprecarle, c’è bisogno di uno sguardo innovativo da parte delle organizzazioni. Infatti, solo vedendo e usando i talenti che i propri dipendenti sviluppano ogni giorno nelle attività di cura e in tutti i loro ruoli (privati e professionali), le aziende possono favorire il benessere, la produttività, l’engagement e la retention. E così, saranno in grado di garantire la propria sostenibilità futura.
E.ON Italia (tra i principali operatori energetici presenti sul mercato) voleva supportare inizialmente i dipendenti genitori impattati dalle nuove modalità di lavoro da remoto, in particolare le mamme.
Negli anni successivi E.ON ha ritenuto necessario ampliare la popolazione aziendale a cui rivolgere le proprie azioni di caring, con l’obiettivo di far emergere tutti i loro talenti, creando anche in loro consapevolezza rispetto ai molteplici ruoli di vita che ognuno ricopre.
E.ON ha quindi scelto i percorsi Lifeed Genitori che nascono, genitori che crescono e Work-Life Synergy per accompagnare le persone nelle diverse transizioni di vita.
Inoltre, con lo strumento di people insight Lifeed Radar l’azienda ha voluto far emergere e valorizzare i talenti che le persone esprimono in tutti i ruoli di vita, personali e professionali.
“Grazie anche a Lifeed, la cultura della cura è entrata a tutto tondo nel modello di leadership aziendale che ha tra i suoi pilastri la valorizzazione della diversità. Siamo orgogliosi di essere riconosciuti come una Caring Company pronta per affrontare la sfida di costruire un futuro più sostenibile”, spiega Daniela Leotta, Chief Digital & Innovation Officer & Board Member di E.ON Italia.
Riccarda Zezza, CEO e fondatrice di Lifeed, torna in libreria con C(u)ore business. Per una nuova storia d’amore tra persone e lavoro (edito da Il Sole 24 Ore), per proporre una rivoluzione culturale nel mondo del lavoro e nel rapporto tra persone e organizzazioni.
Un potente manifesto per riflettere su come i ruoli delle persone, dalla vita privata al lavoro, influenzino le carriere, i modelli di leadership e l’intera società. Al centro di questa ridefinizione della relazione tra persone e lavoro c’è la cura, nella quale portiamo amore, emozioni e visione a lungo termine: non solo nelle esperienze di vita privata, ma anche in quelle professionali.
Portare nel lavoro solo una delle nostre dimensioni, quella produttiva, non basta più. Oggi il mondo del lavoro ha bisogno di cura, sostenibilità, nuove relazioni: una dimensione d’amore che viviamo già in altri ambiti della nostra vita.
“Scientificamente, si è scoperto da tempo che ricoprire ruoli diversi genera un arricchimento del sé, non un conflitto. Avere più ruoli (genitore, figlio, marito, manager, volontario, collega, ecc), aumenta la quantità complessiva delle risorse a disposizione delle persone, in un insieme che è maggiore della somma delle parti. Di questo però non si parla molto, e infatti non capita mai che ci chiedano quali parti di noi portiamo sul lavoro“, dichiara Riccarda Zezza.
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In occasione della Festa della Mamma, Lifeed mette in luce le competenze delle madri di bambini con neurodivergenza
Milano, 12 maggio 2023 – In occasione della Festa della Mamma, che si celebra il 14 maggio, Lifeed mette in luce le competenze sviluppate dalle madri di bambini con neurodivergenze: doppie responsabilità di cura che forniscono dosi doppie di competenze soft.
Con l’obiettivo di far emergere le competenze e le risorse sviluppate dalla pratica genitoriale di mamme di bambini con neurodivergenza, Lifeed Progress – divisione scientifica di Lifeed dedicata a progetti sociali – e Tice – una cooperativa sociale ONLUS che si occupa di servizi, formazione e ricerca in psicologia – hanno realizzato un progetto che ha coinvolto le madri di bambini con neurodivergenza, ovvero il cui “cervello elabora, apprende e/o si comporta in modo diverso da quello considerato tipico”. Autismo, disturbo da deficit di attenzione e iperattività sono solo alcuni tra gli esempi di neurodivergenza più comuni.
I primi risultati sono stati sorprendenti: nonostante il destinatario delle cure fosse lo stesso, molte delle madri coinvolte si sono infatti descritte con un doppio ruolo di cura, quello di di “mamma” e quello di “caregiver”, attribuendo competenze diverse all’uno e all’altro.
Mamma e Caregiver sono dunque due ruoli complementari, in cui vengono usate competenze diverse: nel ruolo materno, prevalgono quelle relazionali, come l’empatia, l’ascolto, la collaborazione, e quelle organizzative, come il problem solving e il pensiero analitico. Nel ruolo di caregiver, si aggiungono competenze di leadership come l’autoefficacia e la capacità di dare e ricevere feedback.
“Le mamme caregiver, quasi invisibili nel mondo del lavoro, nascondono capacità empatiche e di leadership di cui società e organizzazioni hanno un grande bisogno. Nella sfera familiare, sviluppano importanti competenze trasversali: un potenziale nascosto che, se visto e valorizzato, è un valore aggiunto per il mondo del lavoro“, ha dichiarato Chiara Bacilieri, Head of Research & Innovation di Lifeed.
“Lifeed è uno strumento prezioso per le madri di bambini neurodivergenti, un modo semplice ma intenso per avvicinarle alla comprensione di una nuova idea di identità fatta di molteplici modi di esprimere il proprio sé”, ha concluso Francesca Cavallini, Docente a contratto di psicologia e disturbi del neurosviluppo presso l’Università di Parma, Founder di Tice.
A che età si possiedono (o si diventa) dei talenti? Solo da giovani oppure tutti abbiamo, sempre, molto da dare indipendentemente dall’età senza una ‘scadenza’ precisa? E come è possibile gestire la compresenza di generazioni diverse in azienda?
Sono queste alcune delle domande a cui si è cercato di rispondere nel Caring Company digital talk “Il talento non ha età: generazioni a confronto” promosso da Lifeed, attraverso le testimonianze di esperti del mondo HR, la condivisione dei dati dell’Osservatorio vita-lavoro presentati da Martina Borsato, Research & Innovation Senior Analyst di Lifeed e la moderazione di Chiara Sivieri, Customer Executive di Lifeed.
Oggi, per la prima volta, all’interno delle aziende convivono ben quattro generazioni diverse: Baby Boomers, Generazione X, Millennials e Generazione Z. Una complessità senza precedenti, che può rappresentare un ostacolo oppure una fonte di ricchezza, se gestita in modo corretto.
Secondo la PwC 2015 Annual Global CEO Survey, oggi solo l’8% delle organizzazioni include l’età come parte della propria strategia di Diversity, Equity & Inclusion. Come è possibile, dunque, realizzare quello che l’Harvard Business Review chiama Age Management, cioè la gestione delle diverse generazioni in maniera strategica?
Sempre l’Harvard Business Review, nell’articolo Getting Serious About Diversity, sostiene che l’aumento del numero di persone appartenenti a gruppi diversi nella forza lavoro non basti per produrre automaticamente dei benefici. Ciò che conta è come un’organizzazione lavora sulla diversità.
In particolare sono tre i fattori per rendere la diversità una risorsa: potere (le persone sono in grado di riflettere e discutere il funzionamento del team e del modo di lavorare); parità (gli individui appartenenti a gruppi diversi hanno le stesse possibilità di accedere alle risorse economiche, decisionali, di status) apprendimento (le persone sono abilitate a riconoscere le loro differenze e ad apprendere da esse, anziché minimizzarle o negarle).
Le emozioni, i comportamenti e i talenti delle persone di diverse età funzionano in modo positivo se vengono messi in sinergia, facendo lavorare insieme le generazioni presenti in azienda.
Tra le best practice aziendali in questo ambito, Capgemini lavora sia in modo verticale con strumenti specifici in base alle esigenze delle diverse generazioni (per esempio l’onboarding dei giovani, la figura interna del buddy, il sostegno ai caregiver e ai genitori), sia in modo orizzontale attraverso attività di ascolto, dialogo e feedback per intercettare i bisogni delle persone.
In Capgemini convivono quattro generazioni e il 65% della popolazione aziendale è composto da Generazione Z o Millennials. Come spiega Michelangelo Ceresani, VP of Human Resources & Organization Italy, l’azienda ha deciso di affiancare al board senior un ‘Next Generation Board’ composto da giovani dipendenti della Generazione Z e Millennials per collaborare attivamente su tematiche della vita aziendale come inclusione, spazi di lavoro e nuovi modi di lavorare.
La partecipazione alla vita aziendale e la collaborazione tra diverse generazioni hanno un ritorno positivo in termini di sostenibilità per le organizzazioni che vogliono essere pronte per il futuro.
Secondo Ceresani, è inoltre importante guardare all’aspetto emozionale delle persone nelle organizzazioni. Soprattutto vanno guardate le human skills e bisogna rompere gli stereotipi legati all’età, perché ognuno è portatore di unicità.
Anche in NTT Data convivono quattro generazioni diverse e il 53% della popolazione aziendale è composto da under 35. Per Francesca Oldani, Responsabile Culture, Mindset Change e De&I, l’ascolto è fondamentale per interpretare i diversi punti di vista e capire le aspettative delle persone. Questo permette di migliorare il senso di appartenenza e favorire così la retention dei talenti.
L’azienda, in un settore come l’IT a maggioranza maschile, lavora molto sull’inclusione di profili femminili e promuove webinar per superare i bias legati alle diverse generazioni.
In particolare, secondo Oldani, i giovani hanno il desiderio di attivarsi per migliorare la società, quindi le aziende stesse devono scendere in campo per andare incontro a questa volontà e riscrivere insieme la storia delle organizzazioni, instaurando un rapporto fondato su una comunicazione trasparente, chiara e diretta. Dando ai giovani più spazio di responsabilità, è possibile metterli in condizione di essere ‘architetti’ del proprio futuro, con vantaggi per la retention aziendale.
Nell’ottica di inclusione e sostenibilità umana, risulta importante anche investire negli over 50 e rivedere la funzione dei role model facilitando il dialogo e il confronto tra profili senior e junior, andando oltre gli stereotipi. Per riuscire a valorizzare l’identità dei singoli, secondo Oldani bisogna saper vedere le competenze non solo tecniche, ma anche quelle soft, e serve un approccio agile e flessibile.
Dall’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed emerge che le diverse generazioni, di fronte al grande cambiamento portato dalla pandemia, hanno provato emozioni diverse e hanno espresso anche comportamenti e talenti diversi.
Questa diversità rappresenta una ricchezza se condivisa e se le caratteristiche e competenze di ognuno sono abilitate a essere usate in sinergia, quindi evitando di far lavorare solo giovani con giovani e senior con serior, ma creando gruppi di lavoro eterogenei che portano con sé le unicità.
L’identità generazionale dovrebbe essere sempre una fonte di apprendimento, non di divisione, e in questo senso sarà sempre più centrale la capacità delle aziende di combinare i talenti e le competenze delle persone in maniera strutturata e strategica.
Oggi i lavoratori di ogni età e genere cercano aziende capaci di riconoscere e sostenere attivamente l’importanza di un equilibrio più sano tra lavoro e vita privata.
La cura delle persone all’interno delle organizzazioni è diventata vitale per attrarre e trattenere i talenti e per garantire la sostenibilità delle imprese.
Per rimanere competitive nel lungo periodo, le aziende non possono più rimandare azioni concrete capaci di andare davvero incontro ai bisogni degli individui, considerandoli non solo come professionisti, ma come persone a 360 gradi in un’ottica di sinergia tra vita e lavoro.
Quali sono, dunque, le nuove priorità del mondo HR e le nuove sfide delle aziende? E quali sono i bisogni chiave delle persone al lavoro?
Per rispondere a queste domande, Lifeed ha realizzato una survey che ha coinvolto 100 manager delle Risorse Umane e 500 dipendenti delle aziende. Scopri tutti i risultati nel whitepaper dedicato.