IL VALORE NASCOSTO DEI CAREGIVER SE LE AZIENDE RISCHIANO DI SPRECARE IL PROPRIO WELFARE

Il tema è stato al centro del dibattito nell’incontro digitale dedicato alle aziende Caring Company: Crédit Agricole, Enel Italia, Mondelēz International e Santander Consumer Bank

Milano, 28 settembre 2022 –Lavoratori in azienda, spesso caregiver a casa. I dati stimano che nelle aziende, oltre il 70% delle persone sono caregiver, e cioè, si prendono cura di una o più persone care: un familiare, un figlio, un compagno. I dati dell’Osservatorio Vita – Lavoro di Lifeed evidenziano che solo l’8% delle persone si identifica in questo ruolo (9% donne vs 7% uomini).

Poca consapevolezza o stigma?

Poche persone comunicano sul luogo di lavoro di essere caregiver per paura che ciò possa influire negativamente sulla propria carriera. Tra coloro lo dichiarano, il 54% ammette di aver visto svanire l’assegnazione di compiti sfidanti, il 50% ha dichiarato di aver visto invece diminuire le possibilità di crescita salariale e di premi e il 46% di aver intrapreso un percorso di carriera insoddisfacente. (Fonte: “Talenti Senza Età 2019. Donne e Uomini over 50 sul lavoro”, Valore D)

Nella maggior parte dei casi però le persone non sono consapevoli del ruolo di cura che ricoprono e di come questo possa essere valorizzato in termini di competenze in azienda. Ciò determina sempre più spesso che non esprimono i loro bisogni e non sanno di poter accedere ai servizi di welfare. Le aziende si ritrovano nella situazione paradossale per cui molti dei servizi di welfare messi a disposizione non vengono fruiti dai lavoratori

“Abbiamo scoperto che il livello di identificazione con il ruolo di caregiver è aumentato del 66% in quelle aziende che hanno saputo vedere e valorizzare i ruoli di cura delle loro persone attraverso una trasformazione culturale: questo significa che ancora prima di rispondere ai bisogni delle persone con servizi di welfare è necessario capire chi sono e di cosa hanno davvero bisogno” ha dichiarato Martina Borsato, Data Strategist di Lifeed.

È scientificamente provato che quando il caregiver sente di avere le risorse e i supporti adeguati per gestire al meglio questa fase critica della propria vita, emergono effetti positivi e le attività di cura diventano addirittura driver di benessere, generano resilienza e opportunità di crescita e sviluppo. Si chiama “biologia del coraggio” e aiuta a trasformare lo stress in opportunità.” ha aggiunto Borsato.

La cura, insieme alla consapevolezza, allena poi molte competenze: l’autoconsapevolezza (87%), l’ascolto (85%), gestione del cambiamento (81%), empatia (79%), problem solving (75%), orientamento al risultato (70%).

La consapevolezza rappresenta il primo motore per far emergere le risorse dei caregiver“, spiega Riccarda Zezza, CEO di Lifeed.Si tratta di una competenza soft che può diventare elemento di business se viene tradotta in cultura, nella percezione del valore di sé per arricchire la cultura aziendale. Per riuscirci, è necessaria una rivoluzione di prospettiva: i nuovi ruoli della nostra vita (come diventare caregiver) non devono combattere tra loro per ritagliarsi uno spazio. Piuttosto, ogni nuovo ruolo può avere un dialogo con le altre cose che siamo. Ciò favorisce la nostra efficacia ed empowerment, perché aumenta la nostra capacità sia di chiedere sia di dare agli altri”.

Carolina Azjin, People Experience Lead Italy di Mondelēz International ha commentato: “Questi dati rappresentano ancora una grossa sfida per le aziende. È vero che abbiamo fatto tanti passi in avanti negli ultimi anni per imparare a raccogliere, leggere e interpretare questi dati ma abbiamo dovuto fare anche una vera e propria operazione culturale. Lo abbiamo fatto anche grazie alla pandemia, che ha permesso alle persone di raccontarci i propri bisogni. È stato e sarà necessario mettere in campo azioni integrate per rispondere ai molteplici bisogni delle persone nell’ottica di una nuova sinergia vita-lavoro per far emergere e valorizzare quindi il portato personale. L’azienda (il cui programma Mondelēz Made Right è stato premiato dal Politecnico di Milano) ha promosso e attivato nel tempo, ad esempio, spazi di confronto e comunità interne, come i ‘DEI (Diversity, Equity & Inclusion) Ambassadors’, che hanno favorito la co-creazione di una cultura inclusiva dove i dipendenti sono attori attivi delle politiche aziendali.”

Raffaella Poggi D’Angelo, Responsabile People Care, Diversity and Inclusion di Enel Italia ha aggiunto: “Enel risponde perfettamente alle statistiche: circa un terzo degli over 50 dei nostri dipendenti è titolare della legge 104 per familiare. Inutile aggiungerlo, sono soprattutto donne ma anche moltissimi giovani. Il caregiver familiare è una componente essenziale del sistema di welfare nazionale: le aziende non possono non tenerne conto ma devono attivare una cultura della cura. Solo se l’azienda si mostra vicina alle persone e mette in pratica una cultura della cura, infatti, i caregiver non sono più invisibili. Il nostro team rappresenta un centro di ascolto in azienda, in particolare per sostenere i due pilastri del caring: genitorialità e caregiving”

Rosanna Maserati, Responsabile del Servizio Diversity e Inclusion di Crédit Agricole Italia ha commentato:È molto difficile andare ad individuare la categoria dei caregiver, questo perché ci sono ancora tante persone che non vogliono dirlo perché temono di essere percepiti come poco focalizzati sul lavoro, con la testa altrove. Bisogna appoggiarsi a strumenti di welfare ma soprattutto alla consapevolezza, uno strumento essenziale per un percorso di reale inclusione aziendale. Crédit Agricole Italia considera il tempo dedicato alla cura come tempo prezioso e ha quindi identificato due bisogni principali dei caregiver ai quali ha risposto: supporto emotivo-psicologico; servizi di sostegno economico e organizzativo. Inoltre, attraverso il master Care di Lifeed, è emerso che i caregiver avevano bisogno di ‘uscire allo scoperto’ e di parlare della loro dimensione di cura familiare. Fondamentale è quindi sviluppare nei caregiver la consapevolezza di non essere un peso per l’azienda ma, al contrario, vivere un’esperienza di cura familiare in grado di sviluppare competenze utili anche sul lavoro”

Lucia Saracco, People Coordinator di Santander Consumer Bank: “Nel nostro Paese, il ruolo dei caregiver viene dato sempre per scontato. Eppure è fondamentale, perché consente di esercitare tantissime competenze a cui è importante dare le giuste opportunità di crescita. Per valorizzare questo ruolo serve un cambiamento culturale, bisogna partire creando un ambiente inclusivo, dove sia percepito il valore delle differenze e tutti (compresi i caregiver) possano far emergere le loro competenze a beneficio dell’azienda. Un ambiente inclusivo genera innovazione e fa lavorare meglio. In azienda conta anche che tutti, a partire dal top management, usino un linguaggio inclusivo che rispetti le differenze e l’unicità di ognuno”