31 Gennaio 2022
La pandemia ha reso evidente ciò che già esisteva, ma che non veniva riconosciuto apertamente fino a quando la nostra quotidianità è stata resa visibile a tutti attraverso lo schermo del pc nelle riunioni da remoto a cui ci siamo abituati dal febbraio 2020 a oggi: vita e lavoro non sono due dimensioni separate, anzi, è dalla loro sinergia che dipende il benessere delle persone.
Il fenomeno della Great resignation (l’ondata di dimissioni che nel 2021 ha interessato dapprima le imprese americane e poi quelle europee, comprese le italiane) rappresenta un indicatore in questo senso: le persone hanno messo il loro benessere al primo posto e lo stesso dovranno fare le aziende se non vorranno perdere talenti e competitività sul mercato.
Anche le modalità di lavoro sono cambiate radicalmente: dal lavoro da remoto ‘forzato’ di inizio pandemia, oggi si è passati a un’organizzazione ibrida tra lavoro in ufficio e Smart working, dalla quale le aziende non potranno più tornare indietro. L’acronimo VUCA (volatility, uncertainty, complexity, ambiguity) introdotto dall’US Army War College dopo la Guerra Fredda oggi è tornato di grande attualità per descrivere lo scenario in cui stiamo vivendo.
Lo confermano i dati dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, secondo cui il 62% delle persone dichiara di provare preoccupazione all’idea di “tornare alla normalità”. Il 69% dei dipendenti si aspetta che, per favorire il rientro in ufficio, la propria azienda dia spazio ai pensieri e agli stati d’animo, mentre il 68% ritiene che il manager ideale debba avere la dote dell’ascolto.
Oggi più che mai, le aziende sono chiamate a rispondere ai bisogni delle loro persone in termini di conciliazione vita-lavoro, employee satisfaction ed engagement. La sostenibilità e la produttività delle imprese passano anche da azioni mirate di welfare con l’obiettivo di aumentare il benessere e il coinvolgimento dei dipendenti, i quali potranno scoprire nuovi modi di prendersi cura di sé.
Dunque, wellbeing ed engagement saranno sempre più centrali nelle strategie aziendali, soprattutto nella fase di rientro graduale in ufficio dopo il lungo periodo di pandemia che ha aumentato i livelli di stress e incertezza.
Solo sentendosi riconosciute come persone nella loro interezza, non parzialmente come professionisti, le persone possono stare meglio anche sul lavoro. D’altra parte, le esperienze della vita privata sono un’occasione di sviluppo di competenze trasferibili nella sfera professionale e rappresentano una vera e propria palestra per allenare quelle soft skill così utili in tutti i nostri ruoli di vita, compresi quelli lavorativi.
Per esempio, la genitorialità può essere una straordinaria leva di crescita professionale. La relazione quotidiana, sfidante e coinvolgente con i figli è una palestra unica per migliorare competenze relazionali, organizzative e dell’innovazione. Anche i dipendenti caregiver sono una risorsa preziosa per le aziende. Prendersi cura di una persona cara è un’occasione di sviluppo di competenze come capacità di ascolto, gestione dello stress e orientamento al risultato (solo per citarne alcune) trasferibili nella sfera lavorativa.
Investire sul benessere delle persone è quindi una grande sfida – ma anche una grande opportunità – per la Direzione HR delle aziende che può vincere tale sfida solo riuscendo a vedere le persone nella loro interezza. Non bisogna dimenticarsi che la vita è una maestra: le aziende che sapranno valorizzare le esperienze di vita delle persone, facendone delle palestre eccezionali di lifelong learning, saranno le protagoniste del futuro.
Quella del benessere è solo una delle sfide principali della Direzione Risorse Umane. Nel whitepaper Sfide e soluzioni per l’HR nel post pandemia realizzato da Lifeed, la funzione HR può trovare tutti gli spunti di riflessione per trasformare questa fase di incertezza in un’occasione di crescita per le persone e per l’azienda.
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