5 Febbraio 2019
I sociologi affermano che anche le persone più introverse, nella loro vita, influenzano oltre diecimila altre persone. Quanti individui abbiamo consapevolmente e inconsapevolmente influenzato nelle nostre vite finora? In che modo possiamo sfruttare al meglio questo potere? Tutti i giorni sentiamo parlare di leadership, eppure continuiamo a chiederci chi siano i veri leader.
La collaborazione editoriale tra Riccarda Zezza, CEO di Life Based Value, e la blogger e business strategist Manuela Andaloro, mira a creare un ritratto dei nuovi impact maker e leader che favoriscono il cambiamento e l’innovazione nel mondo. Nuovi modelli positivi che basano il loro successo su soft skill strategiche quali empatia, creatività, comunicazione, scatenano energia e forza, mentre incidono in maniera positiva sugli altri e sulla società.
Dopo la prima intervista a Chiara Condi, trentenne italo-americana che a Parigi ha fondato Led By HER, Riccarda e Manuela hanno incontrato Mariarosaria Taddeo, Ricercatrice presso l’Internet Institute dell’Università di Oxford e Deputy Director del Digital Ethics Lab, impegnata con la sua attività professionale a promuovere i valori e le applicazioni dell’Intelligenza Artificiale in svariati ambiti.
Tempo fa lessi la lezione sulla leggerezza di Italo Calvino. Ho copiato un passaggio che tengo incorniciato nel mio ufficio: ‘L’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite.’
Avrò letto questo libro per la prima volta 15 anni fa. A volte penso di aver raggiunto quella leggerezza, ma poi ben presto mi rendo conto che non ci sono ancora arrivata. La leggerezza richiede un allenamento costante. Si raggiunge con una giusta comprensione del mondo e della natura umana. Per questo mi impegno continuamente per ottenerla e per comprendere meglio l’ordine del mondo.
Io sono un’accademica. E come tale, mi appassiona comprendere la realtà e risolvere i problemi (concettuali). Mi piace il pensiero analitico, la precisione di linguaggio; un certo ordine nel modo di fare le cose. Sono anche una donna, il che per me è sinonimo di coraggio, intelligenza, determinazione, integrità, ironia, eleganza. Oggi, quindi, mi impegno a diventare un’accademica migliore, una donna migliore, una persona migliore; certi giorni mi sembra di riuscirci, altri invece meno.
Mi fa sorridere. Per me non esiste una distinzione netta tra la vita professionale e quella privata. L’idea di equilibrio rimanda a un sacrificio, come se una, la vita privata, facesse sempre le spese dell’altra, quella professionale. Lo trovo inammissibile. Io sostengo che la vita professionale debba essere parte dei nostri progetti per vivere la nostra vita privata nel migliore dei modi, e non un qualcosa che ci costringe a scegliere.
Io faccio il lavoro che ho sempre sognato di fare sin da piccola. Lo adoro: arricchisce la mia vita, mi permette di esprimere gli aspetti chiave della mia personalità, tiene in vita la mia curiosità e mi dà la possibilità di crescere come persona. Allo stesso tempo, mi sento fortunata ad avere una famiglia e degli amici meravigliosi con cui condividere passioni, idee, dubbi, e questo mi è di grande aiuto sul lavoro.
Ma comprendo che non è per tutti così. È necessario disporre delle giuste infrastrutture, di sostegno, mezzi e leader per impedire che il lavoro diventi alienazione; che le ore trascorse sul luogo di lavoro non siano tempo sottratto alla nostra vita privata. È una questione complessa, che merita una riflessione urgente.
L’idea di equilibrio rimanda a un sacrificio, come se una, la vita privata, facesse sempre le spese dell’altra, quella professionale. Lo trovo inammissibile. Io sostengo che la vita professionale debba essere parte dei nostri progetti per vivere la nostra vita privata nel migliore dei modi, e non un qualcosa che ci costringe a scegliere.
Mariarosaria Taddeo
La vita professionale e la vita privata si alimentano a vicenda. Insieme mi portano a vivere avventure sempre nuove. Certi giorni mi sento come divisa tra Scilla e Cariddi; la prima ha bisogno di un’abilità estrema per attraversare un mare in burrasca, con un chiaro senso del pericolo. Altri giorni invece mi sembra di aver appena incrociato Scilla e Cariddi; mi guardo indietro e cerco di vedere cosa è andato liscio e cosa è andato storto, ma con un senso di conquista. Altri giorni, ancora, è come se fossi all’imbocco dello stretto di Messina e mi preparassi alla sfida. La lezione che ho imparato da queste ‘avventure’ è proprio questa: ci sono giorni che il rischio o è all’orizzonte, o è alle tue spalle, o è di fronte a te, ed è importante tenere sempre a mente tutto questo e non perdere la giusta prospettiva.
Io lavoro nel mondo accademico, quindi non conosco in maniera diretta le logiche di management aziendale. Voglio, quindi, rispondere alla seconda domanda, “come non diventare un cattivo manager”, che mi sembra più generica.
Per mia esperienza, è importante trovare un equilibrio tra fattori interni ed esterni. A livello interno, essere un buon manager sta tutto nel saper creare il giusto team. Significa trovare e mantenere la corretta dose di talento e risorse per poi creare un attento equilibrio tra le inevitabili dinamiche sociali e politiche che emergeranno all’interno del team. Vuol dire anche assicurarsi che il successo del team coincida con il successo di ognuno dei suoi componenti. È altrettanto fondamentale trovare il giusto equilibrio tra il guidare e l’attribuire poteri ai membri del team. Al di fuori, invece, un buon manager è tenuto ad avere una visione d’insieme, a prevedere i rischi e le opportunità nascenti e preparare il team a contenere i primi e a sfruttare le ultime. Un compito tutt’altro che facile.
Gli errori sono due. Il primo, fortunatamente, è il meno comune, e cioè rinunciare alle proprie ambizioni o ai propri obiettivi che sembrano entrare in contrasto con le norme culturali (per esempio, le donne sono più restie a occupare posizioni lavorative a predominanza maschile) o con le aspirazioni personali (crearsi una famiglia, per esempio). Sacrificare le proprie ambizioni ancora prima di provarci è deleterio per se stesse e per tutte le altre donne. È come una censura auto-imposta, con il monito che questo può ferire anche gli altri. Vale sempre la pena provarci, mettercela tutta, e magari fallire, alla fine.
Il secondo errore è far girare tutto intorno all’essere donne e lasciare che questo diventi un fattore importante nelle scelte professionali, più importante di fattori quali competenze, vissuto, esperienze, più importante persino di progetti e ambizioni. Non fraintendermi, proteggere e promuovere la diversità nell’ambiente di lavoro è indispensabile. Garantire la parità è fondamentale. Credo che ognuno di noi, che sia uomo o donna, sia tenuto a garantire che vengano rispettate la diversità e la parità. Ma un altro discorso è dimostrare le proprie capacità e il proprio valore sul posto di lavoro che non dovrebbe avere nulla a che vedere con il genere. Noi, come donne, abbiamo bisogno di un terreno di gioco giusto, e non diverso per dimostrare che possiamo essere un valore aggiunto sul nostro posto di lavoro. Confondere il giusto con il diverso è pericoloso e può solo portare a una maggiore discriminazione.
Sacrificare le proprie ambizioni ancora prima di provarci è deleterio per se stesse e per tutte le altre donne. È come una censura auto-imposta, con il monito che questo può ferire anche gli altri. Vale sempre la pena provarci, mettercela tutta, e magari fallire, alla fine.
Mariarosaria Taddeo
Sì, in un certo senso. Sembra che i valori di questa generazione siano più in linea con la sostenibilità sociale e ambientale. Allo stesso tempo, anche i leader devono affrontare fattori esterni (economici, politici, tecnologici), quindi questi valori daranno forma ai leader di domani alla stessa stregua in cui daranno forma alle società di domani.
I millennial sono la più grande generazione della storia. Hanno principi saldi e stanno crescendo preparandosi a occupare una posizione di rilievo. Le organizzazioni di vecchio stampo dovranno adattarsi ai nuovi modelli manageriali se vogliono conservare risorse e talento nella concorrenza con organizzazioni più moderne. Il management old-style dovrà affrontare la pressione dei loro concorrenti e, si spera, anche di leggi e normative che promuoveranno sempre di più valori quali la diversità, la parità e la sostenibilità ambientale.
Ce ne sono tre, forse. Una è una ricerca pubblicata su Nature, Controllare l’intelligenza artificiale per prevenire la cyber-corsa agli armamenti con Luciano Floridi, in cui descriviamo la prossima ondata di cyber-conflitti e i rischi che questi potrebbero comportare per la stabilità internazionale.
La seconda è legata alla prima ed è una teoria che mira a ostacolare gli attacchi nel cyberspazio. Questa teoria è stata pubblicata su Strategic Analysis Hybrid CoE – The European Centre of Excellence for Countering Hybrid Threats e probabilmente riempie un’importante lacuna nella nostra comprensione dei conflitti virtuali e dei modi in cui impedirne l’aumento.
La terza, infine, è una questione più vasta e non è una mia scoperta, ma è altrettanto importante. Si tratta della ricerca e dei risultati del Digital Ethics Lab. Il gruppo ha riscosso molto successo, un successo che mi rende estremamente fiera e che costituisce per me una continua fonte di ispirazione e motivazione.
Dipende dai momenti: con un viaggio in Puglia, una cena tra amici, una conference call con le mie sorelle, un buon libro, una passeggiata a cavallo, una serata in discoteca a volte, queste sono le strategie in cima alla mia lista.
La passione per capire le cose, per ricercare la verità, per risolvere i problemi, ma anche per migliorare dal punto di vista professionale e per crescere come persona. Come accademica, l’ambizione è quella di far progredire anche solo di poco la nostra comprensione delle dinamiche dell’impatto che il digitale ha sulle nostre vite e sull’ambiente, orientando questo impatto per promuovere il benessere dell’umanità e il rispetto per l’ambiente.
Quando penso alla parola ‘impatto’, penso al concetto di dare una forma: offrire un approccio, un modello, un modo di pensare o di fare le cose che gli altri trovano brillante e che così iniziano ad adottare. Come accademica, il mio impatto è forse in buona parte legato al modo in cui pensiamo ai cyber-conflitti e a come dovremmo controllarli. Grazie al contributo della mia ricerca, il modo di affrontare questo fenomeno è passato da un approccio più vecchio, basato su analogie con i conflitti convenzionali, a un approccio del tutto nuovo e originale, basato su una comprensione più profonda della natura di questi conflitti.
Forse ho anche un impatto come lecturer e mentor: forgio il lavoro di alcuni miei studenti o persino il loro approccio nei confronti di aspetti del loro lavoro futuro.
Quello che posso fare è condividere la stessa lezione che è stata impartita a me quando ho iniziato a lavorare in questo settore: “mettici il cuore”. Quando prendi una decisione, corri dei rischi, ma metticela tutta. Devo anche aggiungere che bisogna tenere presente che quando facciamo una scelta quasi sempre questa porta senza volerlo ad altre scelte, che a loro volta influenzano altri aspetti della nostra vita e della vita degli altri. Ecco perché fare la scelta giusta non è mai facile; così è la vita.