L’empatia non è più una semplice competenza trasversale. Quando i leader la mettono in pratica attivamente, può trasformarsi in un potente strumento capace di guidare verso il raggiungimento di risultati di business. Il magazine Forbes ha proposto una panoramica degli studi scientifici più aggiornati sul tema dell’empatia, definendola “la più importante competenza di leadership”.
Portata alla ribalta da Daniel Goleman e dai suoi studi sull’intelligenza emotiva, l’empatia viene generalmente associata a una serie di benefici in termini relazionali, come il miglioramento delle capacità di lavorare in team e la consapevolezza sociale. Tuttavia, alcune ricerche recenti ne hanno dimostrato gli effetti positivi anche in aree strettamente legate alle performance aziendali, come l’innovazione, la retention e la produttività.
Per esempio, l’empatia può essere un importante motore dell’innovazione, in quanto promuove l’ascolto attivo e una comprensione approfondita dei punti di vista altrui. Non è un caso che la prima fase del design thinking, uno degli approcci più avanzati per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, consista proprio nel mostrare empatia verso i potenziali utenti. Metterci nei panni degli altri amplia infatti i nostri orizzonti e ci invita ad aprirci a nuove idee.
L’empatia è anche in grado di promuovere la diversità, contribuendo alla creazione di luoghi di lavoro più inclusivi. Stando a uno degli studi citati da Forbes, il 50% dei dipendenti guidati da leader empatici definisce il proprio luogo di lavoro come inclusivo, rispetto a soltanto il 17% da coloro che non godono di una leadership empatica. I leader dotati di questa competenza sono inoltre maggiormente in grado di aiutare i collaboratori a destreggiarsi tra le sfide dell’equilibrio tra vita lavorativa e professionale: l’86% dei collaboratori guidati da leader empatici ha dichiarato di sentirsi maggiormente in grado di gestire i propri obblighi professionali, personali e familiari, diventando così più produttivi.
Nello scenario post-pandemico, i benefici dell’empatia diventano ancora più rilevanti se considerati da altre due prospettive: la salute mentale e la retention. Per quanto riguarda la salute mentale, tristemente definita da Gallup come “la prossima pandemia globale”, l’empatia può diventare un potente antidoto allo stress e contribuire a creare esperienze collaborative favorevoli per i singoli lavoratori e i team.
In termini di retention, molto è già stato detto riguardo alla Great Resignation innescata dal Covid-19 e alle conseguenti trasformazioni al nostro modo di lavorare. Anche in questo caso, l’empatia si è dimostrata un’arma estremamente efficace nel trattenere i dipendenti migliori: il 57% delle lavoratrici bianche e il 62% delle lavoratrici di colore intervistate in uno degli studi hanno affermato che non lascerebbero il loro posto di lavoro se le loro situazioni personali venissero rispettate e considerate come un valore dalle rispettive aziende.
Cosa significa dunque essere leader empatici, e come fare per trarre il massimo vantaggio da questa competenza chiave? Come sottolinea Forbes, i leader non possono più limitarsi a prendere in considerazione i pensieri e le emozioni dei propri collaboratori usando un approccio cognitivo (“Se fossi nei suoi panni, cosa penserei in questo momento?”) o emozionale (“Se fossi nei suoi panni, come mi sentirei?”). I benefici più grandi derivano infatti dall’applicazione attiva dell’empatia, che può tradursi ad esempio nel manifestare la propria preoccupazione verso gli altri e le sfide che stanno affrontando.
Prestare ascolto alle vicende personali dei collaboratori e saper interpretare i segnali non verbali sono due competenze fondamentali per entrare completamente in sintonia con il vissuto delle persone. Ma non bastano. Per diventare davvero persone empatiche, i leader dovrebbero infatti prendere l’iniziativa a seguito delle informazioni raccolte, cercando attivamente dei modi per dare l’aiuto e il supporto necessario ai propri collaboratori.
Scoprire che un dipendente ha difficoltà nel vivere il proprio ruolo di genitore o caregiver ci rende dei bravi ascoltatori. Trovare soluzioni condivise per alleggerire il peso di queste sfide e trasformarle in opportunità di crescita ci rende invece degli ottimi people leader. E può fare un’enorme differenza nelle performance dell’azienda per cui lavoriamo.
Dopo l’arrivo della pandemia, nelle aziende si è parlato sempre più spesso di cambiamento nei modi di lavorare, comunicare e collaborare. Questa trasformazione coinvolge direttamente la funzione HR, chiamata ad ascoltare le persone in modo nuovo, di guidare i capi e di rendere più responsabili tutti i collaboratori (non solo i manager) nell’ambito di una transizione epocale.
Questa fase storica può essere il momento giusto per ‘fare la rivoluzione’ nella gestione delle persone nella nuova normalità. Ma il compito non è facile, perché il ‘sistema’ tende a resistere al cambiamento tornando al passato che già conosce (con una sorta di effetto-elastico) e il rischio è di non far evolvere realmente la gestione delle persone. Per questo motivo, “quella dell’HR è una funzione eroica”, ha spiegato Riccarda Zezza CEO di Lifeed nel corso dell’incontro dal titolo Abbiamo veramente cambiato il modo di fare HR? organizzato da HRC.
Nelle transizioni identitarie per le persone e le società (come la pandemia) l’ascolto non può essere parziale, perché in questo modo si riducono le risorse a disposizione. Servono invece diversi strumenti di ascolto, soprattutto digitali, che permettono di allargare le mappe. In questo senso, le domande aperte sono un elemento molto potente per ridefinire le cornici e scardinare vecchi stereotipi, perché hanno la potenza di autorizzare le persone a raccontare le loro dimensioni identitarie.
E gli HR manager? Possono far diventare questa complessità un’opportunità, attraverso l’uso dell’Intelligenza Artificiale che trasforma le informazioni a loro disposizione in dati azionabili a beneficio delle loro imprese.
La funzione HR è cambiata in tutti i suoi processi, come hanno testimoniato Donatella De Vita, Global Head of Development, Learning, Engagement and Welfare di Pirelli e Miriam Spezzacatena, HR Business Partner di Pirelli. Con la pandemia, sono venute meno alcune dimensioni come il contatto visivo con gli spazi aziendali, ma dall’altro lato sono stati abbattuti i confini geografici ed è possibile acquisire competenze in tutto il mondo. “In questo cambiamento ci sono tante opportunità da cogliere e, nel complesso, abbiamo imparato a valorizzare di più le persone”.
A cambiare è stato anche il modo di fare il leader: per Annalisa Sala, Global Chief People Officer di Arcese, “i modelli di leadership tradizionali sono stati messi in discussione, abbiamo bisogno di leader con un nuovo mindset e diverse capacità di guidare le persone”, di conseguenza anche la funzione HR deve cambiare se stessa ed è chiamata a “guidare questo processo con iniziative che puntino alla formazione dei leader, al dialogo, all’ingaggio e all’interazione con le persone”.
Il mondo intorno a noi che è cambiato, ma ora l’HR ha un’occasione straordinaria di “uscire dalla ‘periferia’, di diventare fondamentale e di essere ‘un Napoleone’ al centro della scena”, sostiene Graziano Marcuccio, Chief HR Officer di De Nora, secondo cui “dal punto di vista professionale questa è la nostra Rivoluzione Francese”.
Rispetto al passato, oggi l’HR ha un posto ai tavoli aziendali più importanti. Per Mauro Ghilardi, Direttore People & Transformation di A2A, è l’occasione di puntare sul “coinvolgimento di capi, sindacati e persone nel design del future work e sulla capacità di ascoltare grazie all’uso di strumenti digitali. Bisognerà anche trovare un valore per andare fisicamente in ufficio”. E soprattutto “sarà importante trattare tutti come adulti, non considerare l’azienda come una ‘mamma’, ma piuttosto come un club dove ognuno decide se partecipare”.
Fabrizio Tripodi, Regional HR Director, Emerging Markets Division-Europe & IMEA di Brown-Forman evidenzia come nel periodo della pandemia “siamo stati più agili nel prendere decisioni, anche più vulnerabili, ma più autentici” e sottolinea l’importanza dei concetti di care e active listening nei confronti delle persone. “Abbiamo imparato a sfruttare meglio il tempo per essere più produttivi e per dedicarci anche ai nostri affetti”.
Le organizzazioni sono diventati più flessibili, veloci e focalizzate sull’essenziale, più aperte alla sperimentazione e all’ascolto: “Si è aperta una finestra emotiva che coinvolge anche la funzione HR”, afferma Marina Capizzi, Co-founder di Primate. “Il purpose dell’HR può evolvere verso nuovi modelli di leadership con un allargamento delle autonomie, maggiore diffusione delle responsabilità, in modo sostenibile, facendo saltare le gerarchie che non funzionavano più”.
Nei prossimi mesi parteciperemo anche ad altri HRD Square: non perdere gli appuntamenti in agenda!
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