Nell’attuale scenario macroeconomico e lavorativo segnato dalla complessità e da fenomeni come Great resignation e Quiet quitting, le aziende sono chiamate a mettere la sostenibilità umana al centro delle loro strategie. Per farlo, è fondamentale considerare le persone come individui a 360 gradi, non solo come professionisti. Secondo l’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, in una persona convivono ogni giorno mediamente 5 ruoli di vita, la maggior parte dei quali sono personali o familiari: un’intersezionalità che rende ogni individuo unico, con i talenti che esprime nei suoi diversi ruoli.
L’importanza della diversità è stata al centro del Caring Company digital talk “La ricchezza dell’unicità” promosso da Lifeed, attraverso le testimonianze di esperti del mondo HR, la condivisione dei dati presentati da Martina Borsato, Data Strategist di Lifeed e la moderazione di Chiara Sivieri, Customer Executive di Lifeed.
Un fattore importante di diversità nelle aziende è quello generazionale. Dalle analisi dell’Osservatorio di Lifeed è emerso che le generazioni hanno espresso emozioni diverse di fronte al cambiamento innescato dalla pandemia: un esempio di come, tra più e meno giovani, possano esserci differenze importanti di cui tenere conto nella gestione delle Risorse Umane.
Proprio sul tema generazionale, Michelangelo Ceresani, Vice President Human Resources & Organization Italy di Capgemini, racconta una best practice dell’azienda che ha un’elevata percentuale di dipendenti Millennials e della Generazione Z. Capgemini ha dato vita a un board di giovani colleghi che ha affiancato il board della società. Tutte le persone interessate hanno lavorato in un’ottica di community sui diversi temi aziendali.
La vera ricchezza – racconta Ceresani – è stata lo scambio tra senior e più giovani, che ha creato una contaminazione positiva. Tutto questo si è concretizzato in workshop trimestrali che hanno portato all’implementazione delle idee proposte dai più giovani. Ascoltare i giovani permette inoltre di intercettare meglio i loro bisogni, per esempio in termini di benessere ed engagement, con vantaggi in termini di retention, specialmente in settori con un alto tasso di turnover.
Saper ascoltare, dunque, è fondamentale per rispondere in modo puntuale ai bisogni delle persone. Ma, ancora prima, bisogna saper vedere chi è poco visibile in azienda, come i caregiver. Questi ultimi rappresentano spesso un ‘mondo sommerso’ nelle aziende, anche se il 73% dei lavoratori ricopre ruoli di cura (Harvard Business University).
Dall’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed emerge che solo l’8% dei caregiver si identifica in questo ruolo, ma la percentuale aumenta notevolmente nelle aziende che hanno adottato percorsi di autoconsapevolezza per i caregiver, come Crédit Agricole Italia che ha registrato un 20% attraverso il master Care di Lifeed. Lo conferma Rosanna Maserati, Responsabile del Servizio Diversity e Inclusion di Crédit Agricole Italia, spiegando che l’azienda ha aperto appositi tavoli di ascolto dei dipendenti per eliminare lo stigma culturale sui caregiver, spesso visti come defocalizzati dal lavoro per dedicarsi alla cura di un familiare.
Successivamente l’azienda ha fatto sì che tutta l’azienda parlasse del caregiving come una transizione di vita che allena competenze utili anche sul lavoro e ha fornito iniziative di supporto psicologico e socio-assistenziale ai suoi dipendenti caregiver. Secondo Maserati, il lavoro di cura unisce tutti, è la tematica di diversità e inclusione meno divisiva perché accompagna chiunque nel corso della vita. L’unicità è la somma delle caratteristiche innate e delle esperienze di vita di ognuno (come quelle di cura) e, in questo senso, la D&I è un vero e proprio motore di innovazione.
Gli stereotipi culturali che creano disparità sul lavoro non riguardano solo i caregiver, ma anche i genitori. Da una parte, per esempio, c’è la fatica delle madri legata al fatto di avere maggiori carichi di cura, che crea una grande pressione sociale sulle loro spalle e genera sensi di colpa che impattano sul loro benessere. Dall’altra, c’è la frustrazione dei padri che non si sentono ‘visti’ come tali, pur avendo talenti di cura da esprimere, perché nella nostra cultura sono considerati ‘genitori di serie B’.
La parità di genere fa bene anche agli uomini, sostiene Lucia Pellino, Diversity & Inclusion Director di Lavazza Group, che racconta come l’azienda dal 2020 abbia avviato un progetto interno chiamato ‘Gap Free’ che punta su quattro goal dell’Agenda 2030 dell’Onu, tra cui il numero 5 sulla Parità di Genere. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di eliminare tutte le barriere che ostacolano la creazione di un ambiente di lavoro inclusivo, nel quale può emergere l’autenticità di ognuno.
La sostenibilità a 360 gradi, compresa quella umana, sta a cuore a Lavazza che (tra le varie attività della sua strategia di inclusione) ha promosso appositi webinar per aumentare la consapevolezza delle persone sui temi di Diversity & Inclusion, ha coinvolto le sue persone nella co-creazione del proprio Manifesto e promuove lo sviluppo di una leadership che sappia valutare le persone oltre ai risultati, considerando importanti anche i loro comportamenti rispetto ai valori aziendali.
Per approfondire questi temi, Lifeed ha realizzato il whitepaper “La cura come leva di inclusione, benessere e sviluppo di talenti” che spiega come il prendersi cura di sé e degli altri faccia emergere le risorse delle persone e le faccia stare meglio, anche sul lavoro: una strategia vincente per le aziende.