L’Onu si è prefissata 17 obiettivi di sviluppo sostenibile nell’Agenda 2030. Anche l’Italia fa la sua parte, attraverso un’apposita Strategia nazionale. Ma per arrivare a una sostenibilità globale, occorre partire da quella dei singoli. Le aziende (e in particolare le Direzioni HR) hanno, in questo senso, un ruolo fondamentale.
Come hanno dimostrato John W. Boudreau e Peter M. Ramstad in uno studio del 2005 intitolato Talentship, talent segmentation, and sustainability: A new HR decision science paradigm for a new strategy definition, comparso nella rivista Human Resource Management, le organizzazioni hanno davanti a sé due sfide importanti: quella di attirare (e trattenere) i talenti e quella di riuscire a rendere coerenti gli obiettivi economici con quelli sociali e ambientali.
Per vincerle, il primo passo è quello di armonizzare ciò che le aziende promuovono e mostrano all’esterno con quello che fanno per (e con) i propri dipendenti. Sono due aspetti che devono necessariamente convivere: l’allineamento tra gli obiettivi interni ed esterni consente il buon funzionamento e, dunque, il successo di un’impresa.
Nelle agende delle aziende, dunque, ha sempre più rilevanza il concetto di Human sustainability, cioè l’insieme di azioni con cui l’azienda, per la sua crescita, punta sulla formazione delle sue persone, sul loro benessere, sull’inclusione e sull’engagement. Per attuarla, gioca un ruolo centrale la Direzione HR, che ha il compito di mantenere ogni giorno la coerenza tra ciò che l’azienda è e ciò che mostra di sé.
Non solo: le aziende possono sviluppare la capacità di vedere le proprie persone nella loro interezza e complessità. Quest’ultima è potenziale che genera valore: è il momento di superare il concetto di equilibrio vita-lavoro, per adottare una visione di sinergia vita-lavoro. Infatti, la vita personale e professionale non confliggono e non si contrappongono: siamo le stesse persone a casa e in ufficio, mentre ci relazioniamo con figli, amici, genitori, capi o colleghi.
Non portiamo con noi, dietro la scrivania, solo un pezzetto di ciò che siamo e delle nostre competenze: non smettiamo di essere madri, padri, figli, fratelli, amici quando chiudiamo la porta dell’ufficio. Anzi, queste nostre diverse sfere di vita si rafforzano a vicenda.
Ecco perché le aziende possono mettere in atto programmi, progetti e iniziative a tutela e valorizzazione delle proprie persone, realizzando concretamente la Human sustainability e mettendo in pratica la nozione di HR footprint, riguardante l’impatto concreto delle aziende sulle risorse umane, l’impronta della Direzione HR sul futuro dell’impresa.
Ma cosa significa oggi progettare processi e pratiche HR nel rispetto dei principi della sostenibilità? Senz’altro occorre valorizzare l’equità, lo sviluppo e il benessere, a partire dal proprio interno, diffondendo i valori della sostenibilità tra la cultura, i comportamenti e le pratiche aziendali. Questo rafforza le competenze, la motivazione e la produttività delle persone (misurabili con un’apposita attività di People Analytics), che sono fondamentali affinché l’impresa possa ottenere buoni risultati economici, sociali e ambientali.
Questo modo nuovo di guardare al capitale umano, richiamato dai concetti di Human Sustainability e HR footprint, ha un forte impatto sul benessere organizzativo e anche sui profitti. Infatti, mettere a frutto le competenze delle persone, il ‘bagaglio’ che si portano dietro nella propria interezza, non limitandolo a quanto emerge nel singolo ruolo, permette una realizzazione professionale e personale che ha ricadute positive su tutto il sistema-impresa.
Sono le transizioni di vita il motore di crescita e sviluppo costante delle persone. Ecco perché non dobbiamo temere i cambiamenti nel tempo: anche le imprese possono a trarne beneficio, capitalizzando le esperienze e i talenti delle loro persone e ottenendo maggiori livelli di motivazione, benessere, coinvolgimento, efficacia. Questi sono gli elementi che contribuiscono alla crescita sostenibile dell’azienda e alla sua creazione di valore.