19 Marzo 2020
Abbiamo messo insieme 7 key opinion leader, uomini, padri e capi di grandi aziende. Li abbiamo fatti parlare per più di 1 ora in live streaming, direttamente dai salotti delle loro abitazioni, e ci hanno spiegato, con grande trasparenza e umanità, come l’esperienza della paternità abbia influito sul loro modo di agire la leadership. E abbiamo scoperto che proprio i loro figli, 19 in tutto, sono stati la migliore palestra di competenze professionali. Ecco cosa ci hanno detto.
Video dell’intero live streaming
“Il mio modo di lavorare è cambiato da quando sono padre. Con i figli riscopriamo alcuni valori, come la responsabilità sociale, la sostenibilità verso le nuove generazioni. La situazione che tutti noi stiamo vivendo oggi, a causa del coronavirus, ci fa capire che questi stessi valori vanno riportati nelle aziende, affinché si crei nel medio lungo termine un’osmosi con i valori materiali, quelli tipici di un bilancio aziendale, rendendoli degli elementi strategici per le stesse aziende.
Nelle aziende il clima è fondamentale, devi fare in modo che i collaboratori stiano bene, partecipino, va cercata l’armonia e lo devi fare con pazienza, convincimento. Proprio come con i figli. Siamo tutti padri e madri ma quando entriamo in azienda sembriamo dimenticarcelo. Eppure se cominciassimo ad agire gli stessi comportamenti virtuosi, anche gli altri colleghi cominceranno a farlo”.
“La paternità mi ha insegnato almeno 3 cose importanti.
La prima: ho 3 figli e proprio da loro ho scoperto che sul lavoro, così come in famiglia, non ci sono ricette standard, servono approcci diversi in base a carattere, età. Lo stesso vale con i dipendenti, capita spesso che in azienda utilizziamo approcci standardizzati.
La seconda (suggerita da mia moglie!): la paternità fa bene al CEO perchè tiene a bada il suo ego, mantiene i piedi per terra, lo costringe a bagni di realtà quotidiana. Ho imparato, ad esempio, che con i miei figli ho solo 5 secondi per catturare la loro attenzione, prima che gli sguardi ritornino a fissare lo schermo di un telefono. In famiglia i ruoli si conquistano e cambiano ogni giorno con la crescita di tutti.
Infine: la situazione che stiamo vivendo dovuta all’emergenza coronavirus mi ha fatto capire che bisogna avere fiducia gli uni degli altri, i figli cercano rassicurazioni per evitare lo smarrimento, così come i collaboratori”.
“Faccio una prima distinzione: i figli sono per sempre, mentre i lavori cambiano. Superata la soglia dei 1.000 pannolini cambiati, ho capito che il lavoro non doveva più essere la scusa per spendermi poco nel mio nuovo ruolo famigliare, allora ho deciso di ridimensionare il mio tempo, ricalibrare sforzi ed energie. Ho smesso, ad esempio, di lavorare nei weekend, imparando a prioritizzare di più. E questa consapevolezza è stata per me un grande elemento di crescita.
Un’altra riflessione nella correlazione tra dimensione parentale e professionale è la ricerca di linee guida per la leadership che nel mio team sono: dare la direzione per creare un’unità d’intenti, saper incanalare l’energia per essere efficaci, celebrare successi e fallimenti. Sono tre elementi che ritrovo anche nella genitorialità.
Insomma, i parallelismi sono tanti. Con una differenza, però: il leader è solo, il modello di leadership aziendale classico lavora al singolare. In famiglia si è in due: questa dualità è estremamente proficua e importante, e andrebbe portata anche in azienda”.
“Sono un papà di lunga data, ho avuto il primo figlio a 26 anni. Il fatto di essere diventato padre molto prima di aver ricoperto i primi ruoli di responsabilità sul lavoro ha avuto un forte impatto nel mio modo di vivere l’azienda. Con la prima figlia ci sono stati problemi di ospedalizzazione e dopo di lei avevamo fatto fatica ad averne altri: queste vicende mi hanno insegnato che non si può avere tutto sotto controllo, neanche sul lavoro, ci sarà sempre l’imprevisto. Mi hanno insegnato che nella vita devi fare tutto il possibile come se tutto dipendesse da te, ma sapendo che l’esito non lo determini tu.
Un altro aspetto della paternità riguarda il tema della libertà, lo chiamo “freedom management”, stimolare la libertà altrui porta a risultati molto superiori. È evidente con i figli, ma anche in azienda: come CEO penso che saremo ricordati per ciò che di più grande lasceremo in azienda, non per i margini più o meno alti”.
“Essere padre è una scelta, e non sempre facile. Diventare padre mi ha esposto a delle esperienze che hanno notevolmente cambiato il mio modo di essere. Io sono un manager con un background tecnico e poco umanistico, ed entrare in contatto con il carico di emotività di un bambino è stato un impatto immenso. Mi ha portato, ad esempio, ottimismo, fiducia nel futuro – che serve tantissimo soprattutto in azienda dove c’è molta incertezza.
Quando arrivano i figli ti sbattono in faccia la loro emotività, la loro ingenuità e questo ti cambia tutto: il feedback diretto alla Jobs, non funziona nè con loro nè con i collaboratori, nei quali vedo gli stessi occhi. Se sbaglio oggi chiedo più scusa di un tempo.
Anche alzare continuamente l’asticella non funziona: quando insegni a tuo figlio a tuffarti, viene automatico continuare a correggerlo per perfezionismo, ma lui probabilmente perderà a un certo punto entusiasmo. In azienda funziona allo stesso modo, servono obiettivi raggiungibili e motivanti, ma anche una diversa cultura dell’errore”.
“C’è un’altissima contaminazione tra essere leader e genitore, imparo tutti i giorni da questi due ruoli: ho imparato a sfruttare meglio il tempo, spesso poco per la famiglia, oppure mantenere maggiore distacco rispetto ai problemi e sviluppare empatia, mettendosi nei panni dell’altro. Non esiste palestra migliore per l’intelligenza emotiva della paternità!
In questi anni poi ho sviluppato anche la capacità di pensiero laterale: evitare quindi di guardare solo al rapporto causa-effetto ma spostare il punto di osservazione dal problema alla soluzione, come quando un figlio ha una difficoltà con una data materia scolastica.
Infine, c’è il tema dell’apprendimento continuo, che vale per vita privata e professionale”.
“Il mio ruolo da padre è arrivato dopo quello da General Manager, ma mi ha insegnato veramente molte cose. Innanzitutto ho scoperto che il più bravo negoziatore al mondo è un bambino di 5 anni: continuerà a chiedere una cosa fino allo sfinimento finché non l’avrà ottenuta. Da ciò ho appreso che spesso bisogna passare dal comandare al negoziare.
Ho dovuto imparare a dire tantissimi sì anziché tantissimi no, anche quando sono stanco e non vorrei giocare per la milionesima volta a quel gioco, ma ci si rende conto che la singola occasione di quel momento non tornerà.
Ho imparato a passare dal dare la regola al dare l’esempio, che è la cosa che ci rende più credibili sia a casa che sul lavoro. In ultimo, ma non per importanza, il tema della delega: se continuiamo a fare le cose al posto dei nostri figli anziché insegnargliele, proprio come i nostri dipendenti, non impareranno mai”.