11 Ottobre 2021
Il movimento femminista negli Anni 70 aveva usato una metafora per definire la lotta per il raggiungimento della parità di diritti uomo-donna: superare il “soffitto di cristallo”. Oggi quella metafora è ancora molto attuale, soprattutto quando si leggono dati preoccupanti sulla presenza femminile in tutti i campi della vita sociale.
Basti pensare che poco più di un 1,3 milioni su 6 milioni sono le aziende nel nostro Paese guidate da una donna o che, nonostante le donne votino in Italia da più di 75 anni, non ci sia mai stata una donna capo di Stato o di Governo e la presenza femminile in politica sia inferiore rispetto a quanto accade in altri Paesi europei.
Il gender gap sociale continua ad essere una nota dolente nella nostra democrazia, che ci fa scivolare alla 63esima posizione nel Gender Gap Report del World Economic Forum e che induce a pensare a come le donne siano l’unica maggioranza trattata come una minoranza. Per questo, parlare di empowerment femminile è diventato ormai un mantra nei palcoscenici nazionali ed internazionali. Un mantra necessario quanto, a volte, bistrattato.
Piccoli segnali si sono visti recentemente: nel 2021 l’Italia ha ospitato il G20, realizzando la prima conferenza sulla parità di genere della storia, dove il Presidente del Consiglio Mario Draghi, nel suo discorso, ha sottolineato di aver adottato una “tabella di marcia volta a raggiungere e superare l’obiettivo fissato a Brisbane, che prevede di ridurre del 25% entro il 2025 i divari di genere nel tasso di partecipazione alla forza lavoro nei Paesi del G20”.
Dunque gender gap ed empowerment femminile sono due facce della stessa medaglia, sulle quali bisogna lavorare parallelamente per ottenere una reale e concreta presenza delle donne a tutti i livelli della società. Le ricette da seguire possono essere tante, da un diverso approccio a modelli di leadership a un salario e un welfare più equo, fino alla parità di diritti-doveri da attuare partendo dai nuclei familiari fino ai luoghi di lavoro. Quel che è certo è che il mondo ha bisogno di uno sguardo diverso, di soluzioni nuove.
Ma fino a quando le donne non avranno le stesse opportunità degli uomini, di poter competere alla pari per potenzialità e obiettivi, e soprattutto di far sentire la propria voce senza stravolgere la propria natura, un vero cambiamento sociale, culturale ed economico non avverrà mai.
Non si tratta, però, di consentire alle donne di correre sulla stessa pista degli uomini, piuttosto serve cambiare la pista perché sia più adeguata ad accogliere il diverso potenziale di entrambi.
Una delle vie da perseguire è un approccio basato su modelli di management che mettono al centro l’armonizzazione tra diversità ed inclusione e favoriscono il legame tra la creazione di una “Learning Culture” aziendale e la promozione della D&I.
Secondo un sondaggio lanciato dall’Harvard Business Review, le aziende che hanno puntato su uno stile culturale e formativo improntato a questi aspetti si sono rivelate non solo orientate ad un maggiore apprendimento, enfatizzando una flessibilità e una mentalità aperta al cambiamento, ma soprattutto capaci di adattarsi e pronte ad innovare.
Quindi, se il mondo lavoro puntasse su sguardi diversi, le aziende avrebbero solo da guadagnarci, perché una cultura aziendale aperta ad accogliere i molteplici ruoli e le diverse dimensioni identitarie delle persone (attraverso la cura, la collaborazione e la fiducia reciproca) riuscirà a favorire benessere, engagement e produttività.
Una cultura incentrata sull’apprendimento rappresenta la via maestra per includere voci diverse che apportano nuovi modi di affrontare le sfide e di risolvere i problemi. Secondo la ricerca, l’aumento del livello di diversità e inclusione riportato dagli intervistati nelle loro aziende va di pari passo con l’enfasi organizzativa sull’apprendimento.
L’apprendimento può svilupparsi su più piani, da quello individuale a quello di gruppo all’interno delle aziende. Resta centrale il ruolo dei manager, che sono chiamati a essere “changemaker” rispetto allo status quo e a comprendere come gestire o costruire questi nuovi sistemi improntati sull’apprendimento, dove ancora una volta le donne potranno apportare una prospettiva nuova e preziosa, affinché il loro potenziale sia considerato al pari di quello degli uomini. Forse solo così potremmo essere davvero orgogliosi di ospitare il G20 del 2021 a Roma.