4 Giugno 2020
“Never let a good crisis go to waste”. Dalla citazione di Wiston Churchill possiamo imparare molto per definire oggi nuovi approcci e nuovi modi di disegnare il futuro.
Si è tenuta il 28 maggio scorso la nostra quinta Life Ready Conference, il ciclo di eventi in live streaming che intende raccogliere idee, riflessioni e buone prassi per attraversare la crisi e affrontare il new normal che ci aspetta dopo il Covid-19. Cosa dobbiamo imparare di nuovo per affrontare il mondo del lavoro che ci aspetterà nei prossimi mesi? Quali sono le competenze soft che ci serviranno per operare con efficacia in una situazione di incertezza e continuo cambiamento? Come possiamo imparare a dis-imparare con flessibilità e rapidità?
“Bisogna disimparare per poter vedere il modello esistente come una sola delle tante possibilità, invece che come l’unica verità possibile”, spiega la nostra CEO Riccarda Zezza. “Dalle nostre survey, il 91% dei dipendenti si aspetta dalle proprie aziende un miglioramento dei processi grazie a quello che abbiamo appreso in questo periodo”.
Abbiamo affrontato questi temi con 6 rappresentanti di grandi associazioni imprenditoriali e manageriali, che oggi più che mai hanno il compito di influenzare la cultura d’impresa e accompagnare le organizzazioni nella transizione.
Video dell’intero live streaming
“Le esigenze di cambiamento non nascono con la crisi”, puntualizza Nicola Spagnuolo, Direttore del Centro di Formazione Management del Terziario (CFMT), associazione in cui confluiscono novemila aziende del settore e circa 24mila manager. “Le aziende che affronteranno in modo più brillante il prossimo futuro sono le realtà che avevano già abbracciato il cambiamento.
La capacità di cambiare va, infatti, allenata nel tempo. Non basta una crisi per decidere di rivoluzionare l’assetto di un’azienda. Il momento attuale richiede non tanto di acquisire nuove competenze, ma di rivederne l’ordine di priorità. “Affinché il nostro approccio possa essere nuovo rispetto al passato, dobbiamo prima rimuovere i retaggi su cui sono fondate e poi ‘reinstallare’ le competenze”.
“Bisogna evitare che ciò che oggi viene chiamato new normal diventi invece un nuovo passato”, dice Elena David, presidente di Aiceo, l’Associazione italiana dei CEO. “Occorre disimparare la falsa retorica che pone l’uomo al centro solo per ragioni di fragilità: al contrario, dev’essere una forma di ricerca per ampliare i propri spazi cognitivi e di relazione. E occorre disimparare anche il potere dell’improvvisazione per ridare valore alle competenze”.
“Dobbiamo disimparare un mondo in cui il potere è affidato a uomini che scelgono altri uomini: come donna, vorrei che si imparasse un sistema basato sul merito e sulle pari competenze. Serve il coraggio di fare cose che non siano solo una reazione al momento di emergenza, ma che consentano un cambiamento vero”.
“Le imprese devono prendersi cura delle persone, non soltanto ascoltarle ma ingaggiarle”, sottolinea Isabella Falautano, componente del Board of Directors di Valore D e Chief Communication&Stakeholder Engagement Officer di Illimity.
“Nelle fasi Vuca, il CEO dev’essere anche un Chief Emotional Officer e saper stare vicino alle persone in maniera autentica. Tra il momento della crisi e quello in cui scatta il cambiamento, non bisogna dimenticarsi di valorizzare l’attesa. Aspettare aiuta a grattare via il superfluo e riscoprire l’essenza dell’organizzazione. Ciò a cui rimanere ancorati quando tutto sembra incerto. Quando si è in una fase di attesa, è importante utilizzare il tempo per la progettualità”.
Ad aver affrontato la sfida più grande sono state forse proprio le piccole organizzazioni. Chiamate a scardinare l’idea che la strada battuta sia la sola percorribile e che l’imprenditore debba prendere le sue decisioni in solitudine. “Le persone per natura si adattano ed evolvono, e le aziende sono fatte da persone. Le Pmi non sono altro che famiglie allargate”. Alessandra Pilia è Responsabile della Comunicazione di Api, l’Associazione Piccole e Medie Industrie che rappresenta circa duemila piccole imprese lombarde, per un totale di 38mila lavoratori. Secondo un’indagine condotta dalla stessa Api, in tempi di crisi sanitaria ed economica il 68% degli associati è preoccupato per il futuro dei propri collaboratori e delle loro famiglie.
“I piccoli imprenditori si sono trovati a essere community manager delle loro organizzazioni, usando chat e strumenti che non erano abituati a utilizzare per dare informazioni che rassicurassero i dipendenti”. Il focus, ancora una volta, è la persona. “L’azienda non nasce e muore con l’imprenditore, ma vive e va oltre le mura e il capannone. Il primo innovation manager dell’azienda è colui che accetta di non sapere e disimpara la cultura che lo ha portato fino a lì, per ingaggiare collaboratori che abbiano il coraggio di dirgli ‘ora facciamo in un altro modo’”.
La crisi degli ultimi mesi ha rallentato molti aspetti della vita personale e lavorativa, ma ne ha anche accelerati tanti altri. A partire dalla decisione di abbandonare schemi e comportamenti non più attuali. “In una situazione di ambiguità non hai conoscenze interpretative da portare avanti e hai bisogno continuamente di formulare domande”, sostiene Paola Previdi, CEO di SFC, Sistemi Formativi Confindustria.
“Oggi ci viene richiesto di reinquadrare i problemi e per farlo servono team misti, che uniscano competenze verticali e orizzontali. Chi gestisce un’azienda deve saper coordinare e tenere a bordo i collaboratori. Alcune imprese hanno attivato in maniera stabile lo smart working, molte hanno usato questo tempo sospeso per formare i loro dipendenti e per riscoprire la capacità di essere resilienti. La normalità in futuro sarà la gestione di situazioni eccezionali e complesse: ci saranno altri possibili cigni neri e bisognerà essere in grado di trarne vantaggio, stuzzicando il nostro cervello con l’innovazione”.
“Si ha la percezione che molti oggi stiano cercando di fare tutto il possibile per tornare al mondo che conoscevano prima, riproponendo schemi del passato che però saranno ancora più indeboliti di prima. Noi professionisti, invece, abbiamo l’obbligo di riflettere sulle chiavi del futuro”, dice Paolo Ravà, Presidente dell’Ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili di Genova. “Dobbiamo abituarci a guardare al tema con occhi nuovi: se i gestori dell’impresa continueranno a dover operare nel sistema organizzativo, legale, finanziario e di governance a cui sono abituati, sarà un fallimento. Il modello di creazione del profitto dev’essere sempre prioritario, ma va inserito in un sistema più allargato”.
“È necessario raccontare ai giovani una professione diversa, anche se a immaginarla non sarà la generazione di mezzo. Dobbiamo arrivare a un patto tra generazioni: essere d’aiuto a chi sa prendere rischi, ma anche imparare a prendere i nostri. E mettersi in gioco per un’economia che si basi sulle competenze e non sulle relazioni”.