12 Luglio 2022
Prendersi cura delle persone rappresenta un vantaggio competitivo per le aziende che vogliono favorire employer branding, talent attraction e retention. Ciò è possibile solo facendo emergere e valorizzando i talenti che gli individui esprimono nei loro ruoli di vita (come essere genitori o caregiver), non solo quelli professionali.
Quando sul lavoro si apre la porta ai ruoli di cura e si rompono gli stereotipi, emergono nuovi talenti oltre a quelli espressi nella dimensione professionale. Trasferire e usare competenze in contesti diversi, dalla vita privata al lavoro, permette di aumentare l’autoefficacia e la propensione a prendersi cura di sé.
Ma come possono le aziende prendersi cura nel concreto delle loro persone per favorire la sostenibilità dell’impresa? Se ne è discusso nel Caring Company digital talk “La cura, motore di sviluppo dei talenti” promosso da Lifeed, con la partecipazione di Riccarda Zezza CEO di Lifeed e le testimonianze di esperti del mondo HR, la condivisione dei dati presentati da Martina Borsato, Data Strategist di Lifeed e la moderazione di Chiara Sivieri, Customer Executive di Lifeed.
Per far fiorire le persone, in realtà, non è necessario inventarsi nulla di nuovo. Come evidenzia Riccarda Zezza, CEO di Lifeed, la transilenza (ovvero la capacità di trasferire competenze da un ambito all’altro della vita) rende consapevoli le persone di poter usare qualcosa che già possiedono, di essere qualcosa che si è già: basta saperla attivare.
Nella cura, secondo Zezza, c’è la chiave per cambiare le regole del gioco nelle imprese. Non si tratta però di aggiungere qualcosa di diverso nelle iniziative aziendali, piuttosto significa far emergere la capacità di cura che esiste già in noi stessi da sempre.
Come sostiene Barbara Falcomer, Direttrice Generale di Valore D, nelle aziende c’è un grande lavoro da fare in termini di consapevolezza per attivare il potenziale delle persone e favorire il trasferimento di skill tra le dimensioni identitarie, che permette di superare la scissione dei ruoli. Oggi più che mai, le aziende sono chiamate a occuparsi delle persone per garantire la sostenibilità organizzativa. Il contesto economico lo richiede e, secondo Falcomer, serve un sano ‘opportunismo’ perché le persone lavorano bene e i talenti restano in azienda solo se le aziende sanno prendersi cura di loro. Per farlo, i leader devono far sentire tutti liberi di esprimersi come persone a 360 gradi.
Dal suo osservatorio, Valore D vede nelle aziende una crescente tendenza all’ascolto delle persone e un impegno a creare una cultura dell’inclusione, che consente di superare i bias e di portare un cambiamento culturale (di cui in Italia c’è molto bisogno, soprattutto nelle Pmi). Questo cambiamento non può prescindere da una leadership in grado di ascoltare e ispirare le persone, attivando così la collaborazione e l’innovazione.
Anche per Alessandra Occhipinti, Talent Partner Continental Europe di Marsh, le aziende devono facilitare il trasferimento di risorse dalla sfera personale a quella professionale. La pandemia ci ha fatto aprire le porte della nostra vita privata e le aziende si sono attivate con numerose iniziative di sostegno alle persone, superando la divisione tra le dimensioni familiare e lavorativa (il 94% dei collaboratori di Marsh ha apprezzato come l’azienda si è presa cura di loro durante il periodo di pandemia). La cura è inoltre un tema chiave del progetto Care & Grow di Marsh, che collega la cura delle persone con la crescita dell’azienda.
Secondo Occhipinti, la pandemia ha spinto le persone a riflettere sul loro ‘contratto psicologico’ con l’azienda: non si tratta più di un mero scambio di prestazioni, perché oggi le persone vogliono essere ascoltate e riconosciute nella loro interezza, includendo dimensioni personali che prima restavano fuori dalla sfera lavorativa. Per questo l’ascolto delle persone deve essere continuo, non solo una volta l’anno.
Le competenze allenate nei ruoli di vita privata ci permettono di essere efficaci anche sul lavoro. Per le aziende è quindi importante riconoscere come queste skill si trasformano in talenti per l’azienda. Secondo Chiara Ros, HR Manager di GRENKE Italia, il primo passo è creare un contesto abilitante che permetta alle persone di esprimere se stesse. Spetta quindi al management far sentire sicure le persone ad aprirsi in un ambiente protetto.
Per capire i bisogni delle persone, le aziende possono creare procedure interne, ma è ancora più importante partire dalle esigenze delle singole persone per accompagnarle nei momenti di transizione e rendere davvero efficace la cura. In questo senso, Ros parla di caring come modalità operativa.
Investire nella cura delle persone rappresenta infine un ritorno in termini di KPI aziendali, per esempio quando si vuole misurare la retention. In un contesto fluido come quello di oggi, è necessario che le organizzazioni capiscano davvero i bisogni delle persone, cercando di conciliarli con gli obiettivi aziendali. La cura, conclude Ros, va vista come qualcosa di naturale e le aziende hanno una responsabilità sociale non solo al loro interno, ma anche verso l’esterno.
Le azioni incentrate sulla cura fanno quindi emergere le risorse delle persone e favoriscono il loro benessere, anche sul lavoro: una strategia vincente per le aziende. Su questo tema, Lifeed ha realizzato il whitepaper “La cura come leva di inclusione, benessere e sviluppo dei talenti”.