24 Aprile 2020
Ottimista, inclusivo e gentile. Che sappia coniugare umiltà, collaborazione e cultura e non abbia timore di ammettere le proprie paure. Una persona entusiasta, in grado di ritrovare il senso dello scopo. Dopo la crisi innescata dalla diffusione della pandemia da Covid-19, anche la figura del manager di azienda deve cambiare. Abbiamo provato a tratteggiarne i caratteri, coinvolgendo amministratori e responsabili d’azienda nella nostra terza Life Ready Conference dal titolo Manager in shock: lo stile antifragile ce la farà? che si è tenuta il 28 aprile. In tempi di distanziamento sociale e incertezza economica, il concetto di potere è oggi associato sempre più alla cura piuttosto che alla forza. La leadership del domani richiederà coraggio e visione del futuro.
Che tipo di potere serve oggi? La maggior parte delle persone che lavorano in azienda avverte il bisogno di rassicurazioni (63,4%) e di un piano di azione che li coinvolga (44,4%), ma anche di sentirsi al sicuro (40%). “La sensazione è che in questo momento si stia recuperando fiducia nell’idea che il potere abbia in sé la conoscenza e non sia più qualcosa da cui difendersi. C’è un modello di potere che ha a che vedere con l’adattamento e uno che richiede senso della possibilità”, ha spiegato Riccarda Zezza, CEO di Life Based Value. “Oggi è prevalente il senso di adattamento, ma nella fase successiva, che si aprirà a breve, le persone vorrebbero veder prevalere all’interno della propria azienda il senso della possibilità: non un potere che intervenga a ripristinare le cose com’erano, ma che riesca a imparare da quanto successo e ad andare oltre”. Il manager ideale dovrebbe fare della condivisione e dell’ascolto i suoi punti di forza. In un periodo di crisi, in cui sarebbe naturale aspettarsi che le persone desiderino cautela, a sorpresa si ricerca un leader capace di assumere dei rischi pur di andare avanti. Un leader, appunto, “antifragile”.
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Il concetto di antifragilità, coniato dal matematico e filosofo libanese Nassim Taleb, nasce per trovare il giusto contraltare all’idea di fragilità. Il suo opposto non è, infatti, né la robustezza né la resilienza, due atteggiamenti che conducono entrambi a reagire a uno choc restando uguali a sé stessi. “Chi è antifragile, invece, a fronte di uno stress violento è in grado di migliorare, acquisendo capacità che non aveva prima”, ha sottolineato Raffaele Guerra, Executive Vice President di Capgemini.
“Per questo è interessante il rapporto tra antifragilità e innovazione: sostiene Taleb che, di fronte a un evento esterno, le persone tendano a iper reagire, cioè a mettere in atto una reazione superiore alle effettive necessità dell’evento, creando una ‘provvista emotiva’. Tendono, cioè, ad accumulare in maniera sovrabbondante motivazione e volontà, che sono una molla eccezionale per fare cose nuove”.
È quel che è accaduto oggi nel pieno dell’emergenza, con circa il 70-75% delle imprese italiane entrate, in pochi giorni, in una nuova modalità di lavoro a distanza. Il passaggio è stato reso possibile dall’abbandono di un approccio top down e verticistica, che non poteva funzionare. “Ha funzionato, invece, un approccio antifragile, bottom up e disordinato: chi lavorava in posizione decentrata ha trovato modi nuovi per attivare il lavoro a distanza, poi generalizzati all’interno dell’azienda. Trial and error: si impara per tentativi e commettendo degli errori, purché siano piccoli. Bisogna poterne far tanti prima di arrivare al risultato”.
L’errore, dunque, come learning point per apprendere la lezione e migliorare la ripartenza. La collaborazione non è avvenuta soltanto tra singole persone interne all’organizzazione, ma ha coinvolto in molti casi anche i clienti e i fornitori. Caratteristica tipica di ogni azienda che voglia dirsi innovativa. “La cultura dell’innovazione spinge a gestire l’azienda in maniera non gerarchica, a curare il valore dell’altro, a tollerare l’errore e anzi incoraggiarlo”, ha continuato Guerra.
Il 34% dei CEO delle aziende italiane si spende in prima persona, prendendo parte diretta alla trasformazione già avviata verso la rivoluzione digitale. “Un atteggiamento culturale differente e il diverso modo di ragionare sono caratteristiche fondamentali della leadership del domani. Non sappiamo quale sarà il futuro status quo, sappiamo solo che sarà diverso da quello attuale”.
Una volta superata l’emergenza, i vecchi modelli manageriali potrebbero essere, dunque, superati dalle azioni dei singoli. Quali caratteristiche umane dovranno avere i manager per consentire alle persone di lavorare in un livello di incertezza così alto? E cosa consentirà loro di essere di supporto agli altri senza soccombere a loro volta?
Se oggi la prima reazione alla crisi è disporre licenziamenti e tagli agli stipendi, forse un approccio diverso dovrebbe suggerire di coinvolgere i dipendenti, oltre che nei sacrifici odierni, anche nei futuri successi aziendali. “Bisogna riscoprire la generosità di fare business”. Secondo Maria Elena Cappello, Member of the Board di Tim, Prysmian, MPS, Saipem, Eni Enrico Mattei Foundation, il coronavirus ha accelerato di almeno 15 anni le esigenze di digitalizzazione delle imprese. “Ci vogliono leader coraggiosi, capaci di mettere a terra idee in modo veloce. Una società più imprenditoriale e digitale ha bisogno di essere capace di sbagliare molto, ma di avere processi talmente veloci che permettano di comprendere subito l’errore e di riconvertirsi in fretta. Abbiamo bisogno di digital leader”.
Un approccio di questo tipo permetterebbe di eliminare anche l’elemento fin qui ricorrente della solitudine del manager, dipinto come uomo solo al comando. Al contrario, proprio durante le crisi, il leader dovrebbe essere più trasparente e capace di includere il management nella ricerca delle soluzioni. “Occorre un maggior coinvolgimento dei giovani a vari livelli dell’impresa. Meno gerarchia e più contaminazione di idee, perché la ripartenza sarà basata su un meccanismo largamente diverso da quello che conosciamo”.
I manager dovranno accompagnarsi a persone giovani, capaci e diverse, includendole nella war room con l’obiettivo di concentrarsi su pochi programmi finalizzati a superare l’emergenza. “Il leader dev’essere capace di anticipare l’uscita dalla crisi e ciò è possibile solo stando vicino al proprio team e costruendo una nuova company culture. La leadership di oggi deve fare tutto questo in modo accelerato, focalizzandosi soprattutto su quale sarà l’impresa di domani”.
La gestione dell’emergenza Covid-19 ci ha già dato alcune importanti lezioni di antifragilità, intese come la presa d’atto del fallimento di altrettanti modelli tradizionali di gestione dell’organizzazione. Innanzitutto, è venuto meno il paradigma secondo cui è possibile controllare l’impresa attraverso la pianificazione di comportamenti per il futuro.
“Anche il migliore dei modelli predittivi patisce il limite dell’accadimento di eventi imprevedibili in grado di mettere in discussione lo status quo. Ci siamo resi conto sul campo che siamo stati in grado di resistere meglio alla crisi perché abbiamo potuto contare su manager, supervisori e dipendenti dotati di capacità di mettere in discussione le previsioni grazie alla forza di generare nuove idee”. Fortunato Costantino è People Care & Union Relationship Manager di Q8 ed è convinto che il coronavirus abbia messo in luce l’importanza di costruire relazioni umane e professionali di qualità. Durante l’emergenza, la società ha adottato un approccio fondato sulla comunicazione diretta e trasparente ai propri dipendenti, inaugurando anche un canale di informazione ribattezzato You’ll never work alone.
Secondo Costantino, lo stile del one man company, che distribuisce direttive e ne demanda l’esecuzione, rischia di deprimere la creatività del team. “Invece, ciò che serve è un manager che sappia condividere obiettivi e strategie, valorizzando l’apporto dei collaboratori e spronandoli ad esercitare la loro leadership attraverso un sano confronto dialettico. Non significa favorire l’anarchia o indebolire la struttura organizzativa, ma valorizzare il talento”.
Nel post lockdown, oltre alle competenze tecniche, al manager sarà richiesto di possedere altre abilità: capacità di ascolto, apertura al cambiamento, valorizzazione dell’errore. “Non può essere un esperto arroccato nelle sue competenze tecniche, ma deve avere una visione olistica dell’organizzazione e dev’essere capace di condividere la leadership”. Non più intesa come privilegio di pochi, ma come responsabilità di tutti.
Il primo passo, dunque, è restituire fiducia alle persone, lungo tutta la catena produttiva. Lo sa bene Christophe Poitrineau, Supply Chain Director di Carrefour: nei giorni della diffusione del virus e delle prime misure di contenimento, la Supply chain si è trovata a sostenere le pressioni opposte dei consumatori e dei produttori. “Questa crisi non è uno sprint, ma una maratona”, ha ammesso.
“Abbiamo ancora davanti a noi alcuni mesi in cui dovremo sostenere questo ritmo. Perciò, la prima cosa da fare è ridare fiducia alle persone, garantendo procedure di controllo e sicurezza”. Il secondo passo attiene alla dinamica collettiva: nell’esperienza di Poitrineau, condividere informazioni con tutto il team, con riunioni giornaliere, si sta rivelando fondamentale per assicurare continuità ai processi.
“La cosa più rilevante per un manager è il supporto: andare sul campo, trovare soluzioni e non lasciare le persone in difficoltà, eliminare la distanza strutturale tra chi lavora in ufficio e chi fa un lavoro operativo”. Da qui l’importanza di avere dati condivisi, senza i quali sarebbe difficile avere una visione di insieme e prendere le giuste decisioni. La situazione cambia ogni giorno e un buon leader dev’essere pronto a reagire e ad anticipare gli eventi. “Il rischio è di essere assorbiti dal quotidiano, dimenticandosi dei piani futuri. Al contrario, occorre un ritorno di esperienza per lavorare su progetti nuovi e avere un piano per il futuro condiviso da tutto il gruppo”.
Condivisione come parola d’ordine per la ripartenza. Cristiana Scelza, CEO di Prysmian Russia, si è trovata spesso a pronunciarla, raccontando la sua esperienza nel mercato Oil&Gas prima in Brasile, nel Paese sconvolto dallo scandalo corruzione che ha travolto l’azienda petrolifera nazionale Petrobras, e poi a Mosca, in una realtà dall’altissima presenza femminile, ma dominata ancora da un atteggiamento maschio e aggressivo. “Il manager non è solo: se si crede davvero nella diversità e nell’inclusione, si diventa capaci di affidarsi al team, che può aiutarti e supportarti. Al contempo, il leader ha l’obbligo di filtrare i propri demoni: non si possono trasmettere ansia e paura, senza dare un messaggio costruttivo”.
“La resilienza non basta più”, ha detto Scelza. Non si può pensare di ritornare al mondo come era prima: in una crisi come questa, le antenne devono essere tese ogni giorno e rivolte al futuro. “Le crisi ci sono costantemente in giro per il mondo, accelerano un po’ tutto e ti fanno saltare i preliminari. Però, abbiamo tutti gli strumenti che ci servono per superarle. Non con facilità, ma sicuramente con grandi possibilità”.
Alla fine, dipende tutto da come si reagisce di fronte agli accadimenti. O da come si vuole reagire, perché l’antifragilità è una dote che si può anche apprendere. “Non si tratta di avere adattabilità, perché non si sa neppure a che cosa bisognerà adattarsi. Più che altro parlerei di plasticità: occorre diventare plastici per includere dentro di sé il caso”, ha spiegato Valeria Cantoni, Founder di ArtsFor.
“I contain moltitudes” recita la nuova canzone di Bob Dylan, riprendendo un verso di Walt Whitman: diventare persone consapevoli di contenere una moltitudine di ricchezza e di risorse aiuta a metterle a frutto e anche a concedersi degli spazi vuoti per guardare cosa sta nel mezzo.
“Molte aziende continuano a raccontarsi la stessa storia e vivono di rendita sull’epopea del fondatore, ma il mondo è cambiato e la storia va aggiornata: a raccontarla devono essere le persone che vivono l’azienda tutti i giorni. Bisogna uscire da quella che l’economista Luigino Bruni definisce ‘carestia di capitale narrativo’”, ha continuato Cantoni.
I manager che possono fare la differenza, allora, sono quelli che si concentrano sulla qualità della relazione e del linguaggio all’interno delle organizzazioni. Serve un manager inclusivo e autorevole, che sappia dire “non lo so” e chiedere aiuto, che sperimenti, che favorisca la cultura dell’apprendimento continuo e dell’errore, che sia consapevole dei propri bias interiori e delle proprie risorse, un manager narratore che sappia entrare nella propria vita raccontandola.
“È venuto il momento di assumere l’imperativo di essere tutti una comunità di destino, non solo per una scelta responsabile, ma per una necessità di sopravvivenza all’interno delle organizzazioni. Oggi mettersi a imparare cose nuove permette di allenare la capacità di sperimentare, di tenerne traccia e di condividere quanto appreso con i propri collaboratori”.
Articolo originariamente pubblicato su Parole di Management