20 Luglio 2021
La pandemia ha cambiato radicalmente il mondo del lavoro. Uno degli aspetti principali di questa trasformazione riguarda gli spazi fisici, che sono stati affiancati da luoghi digitali, ma dai quali non si può prescindere nel considerare “il ritorno al futuro (del lavoro)”. Questo è il titolo dell’indagine svolta dall’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed su 15.000 riflessioni di 5.000 partecipanti ai percorsi Life based, che hanno fornito risposte relative allo spazio fisico che li ha accolti durante la pandemia e a quello che immaginano come spazio ideale nel prossimo futuro.
L’analisi dei dati ha rivelato aspetti molto interessanti sulle emozioni legate alle restrizioni dovute al covid, riferite in particolare all’home working, ma più in generale agli spazi di vita e lavoro, che sono andati contaminandosi. Questi “Small data”, per usare un termine preso in prestito dal Marketing, contribuiscono a rendere visibili dimensioni identitarie del lavoratore che, solitamente, restano sommerse: eppure, esse sono fondamentali per passare da un People development e una People analytics tradizionali (che riguardano solo il ruolo professionale del lavoratore) a una dimensione lavorativa che tenga in considerazione la persona nella sua interezza.
La prima domanda rivolta ai partecipanti aveva lo scopo di indagare la dimensione più strettamente emozionale, legata agli spazi fisici di vita e lavoro. È stato chiesto come si sono sentiti nello spazio in cui si sono trovati a vivere nell’ultimo anno e la maggior parte (il 62%) ha espresso sentimenti positivi, di soddisfazione: per il 45% in termini di serenità, di benessere e senso di libertà, mentre per il 15% sono state prevalenti sicurezza e protezione (in particolare da parte delle donne).
Allo stesso tempo, circa un terzo dei partecipanti ha espresso sentimenti di insoddisfazione, disagio, stanchezza o scarsa energia (29%), un dato che è più elevato negli over 50 (+18% rispetto agli under 50). Influiscono su questo senso di oppressione la percezione di solitudine, di isolamento, di incertezza, di disorientamento e persino di ansia, per il 10%.
C’è dunque una forte dicotomia ‘nido-prigione’ tra coloro che hanno affrontato le restrizioni fisiche cogliendole come opportunità e con senso di protezione e coloro che, invece, hanno vissuto la medesima circostanza con sentimenti contrapposti. Probabilmente, in molti casi, le stesse persone hanno provato a fasi alterne queste emozioni contrastanti, ma, d’altra parte, ci siamo trovati a vivere circostanze nuove ed inaspettate per tutti, che hanno costituito una vera transizione di vita.
Secondariamente, è stato chiesto ai partecipanti come immaginano il loro spazio futuro, senza fare distinzione, nel quesito, tra quello personale e quello professionale. Indagando i bisogni e le aspirazioni delle persone che, quasi sempre, faticano ad emergere nella People analitycs tradizionale, è emerso che il 34% si vede all’aperto o a contatto con la natura. Difficilmente, prima della pandemia, sarebbe stata ottenuta la stessa risposta.
Il 17% immagina uno spazio creativo e fantasioso, multisensoriale. Per circa un sesto delle persone è importante che sia ampio, dinamico e flessibile, anche grazie alla tecnologia, stimolante e ricco di occasioni di relazioni. Soprattutto negli uomini è evidente questo bisogno di raccontarsi, di condividere, mentre le donne appaiono più interessate all’ampiezza e alla creatività dello spazio. Non c’è distinzione di età o di genere, invece, tra coloro che aspirano a un maggior contatto con l’ambiente naturale e ciò appare molto compatibile con il tipo di sensazioni che tutti abbiamo sviluppato nell’ultimo anno.
Infine, si è deciso di esplorare la sfera valoriale, chiedendo ai partecipanti di individuare le regole che dovrebbe avere il loro spazio ideale. Per il 31% è fondamentale il rispetto (la regola maggiormente espressa), che implica la gentilezza, l’inclusione e la collaborazione; per il 29% la libertà di espressione e movimento; per il 23% il rispetto dell’ambiente, sensibilità che va sviluppandosi in modo crescente. A seguire, per il 16% servono sicurezza e ordine, per il 14% è necessario che siano previsti e rispettati gli spazi personali.
Sono prevalentemente le donne a desiderare un luogo fisico che permetta loro di esprimere liberamente ciò che hanno dentro, che riproduca anche all’esterno il loro modo di essere, che rispecchi le proprie caratteristiche personali, magari con una componente creativa (come successo anche nella questione legata alle emozioni).
Come dice il pedagogista John Dewey, “non impariamo dall’esperienza, ma dal riflettere sull’esperienza”: questa analisi è quindi molto utile per delineare le caratteristiche che dovranno avere gli spazi di lavoro del futuro, le nuove modalità di lavoro, le regole e i valori che in essi si adotteranno.