Ogni essere umano, per sua natura, vuole apprendere. L’etimologia stessa della parola rimanda all’idea di movimento, a una tensione al servizio di un desiderio. Quando impariamo qualcosa di nuovo, trasformiamo ciò che riceviamo sotto forma di input esterno in conoscenza. La nostra mente non è un contenitore vuoto, pronto a ricevere nozioni, ma un meccanismo in continuo movimento, che crea legami significativi fra concetti. Apprendiamo soltanto ciò che è significativo per la nostra vita, qui e adesso.
Ecco perché l’apprendimento non può esser concepito soltanto come una preparazione per il futuro, ma va calato nella realtà del nostro presente. Fare dell’ascolto e dell’osservazione delle esperienze di vita un’occasione di apprendimento significa mettersi alla ricerca di un senso in ciò che facciamo ogni giorno. E la formazione ci aiuta in questo, a partire dalla scuola e fino ad arrivare al mondo dell’impresa, offrendoci la grande opportunità di diventare non dipendenti, ma costruttori di senso.
Ne ha parlato Riccarda Zezza, CEO di Lifeed, in occasione del CEO Meeting, l’evento di presentazione dei progetti per il nuovo semestre del Consorzio Elis, organizzazione che riunisce aziende e CEO per realizzare iniziative di innovazione tecnologica e di interesse pubblico con lo scopo di facilitare l’inserimento nel mondo del lavoro e promuovere una cultura professionale attenta alla persona e al bene comune. Alle scuole come alle startup, secondo Zezza, servono “coraggio, cuore e testa per creare l’innovazione di cui c’è bisogno. Oggi, non nel futuro”.
In base allo European Skill Index, nel 2020 l’Italia si è posizionata ultima in Europa per capacità di formare competenze per il mercato professionale. Tre indicatori, in particolare, penalizzano il nostro Paese: lo sviluppo delle skill, la transizione dal mondo della formazione a quello del lavoro e lo skill mismatching. La formazione del capitale umano in Italia conserva ancora un’impronta quasi esclusivamente culturale: nasce con l’obiettivo di diffondere conoscenze e competenze, ma non riesce a coniugare l’eccellenza culturale con un’impronta professionalizzante.
Anche nel mondo della formazione, va superata la dicotomia tra cuore e mente ormai rinnegata dalle neuroscienze. Come spiega Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dell’Educazione e dello Sviluppo all’Università di Padova, ogni persona è in realtà un grande radar che apprende non solo con la mente, ma anche con lo sguardo, la voce e il tocco. Dobbiamo passare dall’idea di cura, intesa come momento legato a una patologia o a una difficoltà, a quella di cura nel senso del verbo inglese care, ovvero come ‘stare a cuore’. Va superato il bias che guarda alla mente di chi si predispone all’apprendimento come a un frigorifero da riempire: una volta inserita l’informazione, ci si aspetta che questa rimanga immutata e venga restituita così come è stata trasmessa. Ciò preclude la possibilità di sviluppare il pensiero divergente ed elimina la capacità co-costruttiva delle persone.
Al contrario, sono questi gli aspetti che vanno stimolati. Secondo Marco Alverà, CEO di Snam e presidente della Comunità Consortile Elis per il nuovo semestre, il capitale umano è l’asset più prezioso su cui costruire il futuro. Chi fa impresa si occupa di futuro per definizione e deve quindi investire sul capitale umano, costruendo nuovi modelli educativi. L’80% dei mestieri del futuro saranno diversi da quelli che conosciamo oggi e per svolgerli serviranno competenze nuove, tecniche, soft e trasversali. Per Silvia Candiani, Country General Manager di Microsoft Italia, la capacità chiave oggi è il problem solving: per gestire un problema, occorre non solo aver appreso le giuste nozioni di base, ma saperle anche applicare per risolvere le situazioni.
Anche dentro le imprese bisogna, quindi, tornare a fare le domande giuste. Perché la transizione tanto evocata nel presente ci accompagnerà ancora a lungo: come ricorda Marco Sesana, Country Manager & CEO di Generali Italia e Global Business Lines, per ogni euro speso dalle aziende nel progetto di formazione Mindset revolution, promosso dal Consorzio Elis, si sono prodotti 3,08 euro di valore aggiunto. La formazione, dunque, triplica i risultati, ma insegna anche che coltivare le relazioni significa creare valore per le proprie imprese.
Esiste, d’altronde, una nuova generazione di imprenditori che non guarda soltanto ai risultati finanziari, ma misura anche il valore di ciò che mette in atto e l’impatto ambientale e sociale delle proprie azioni. Secondo Leonardo Becchetti, Economista e docente all’Università Tor Vergata di Roma, oggi la vera rivoluzione sta nei concetti di generatività e impatto. Esistono quattro variabili che fanno la differenza all’interno delle aziende, anche da un punto di vista economico: team working, capacità di coinvolgere gli stakeholder, attenzione al welfare aziendale e abilità nel relazionarsi con il territorio attribuiscono un valore aggiuntivo stimato in 22mila euro per addetto.
Nel corso del CEO Meeting si sono collegati, dalle sette palestre relazionali in cinque diverse città italiane, i 300 pionieri di “Smart Alliance”, il progetto di semestre guidato da Walter Ruffinoni, CEO di NTT DATA Italia, che in queste settimane è entrato nel vivo e sta sperimentando una “terza via” tra ufficio e lavoro da casa, condividendo spazi di lavoro diffusi e accrescendo competenze e relazioni personali.
“Siamo partiti da tre settimane – ha detto Ruffinoni – e i feedback sono decisamente positivi: le persone apprezzano tantissimo la possibilità di tornare a tessere relazioni, di contaminarsi con culture ed esperienze diverse e dialogare con il territorio in cui vivono”.
La relazione, dunque, è un valore in sé, ma ha anche un risvolto in termini di benefici economici. Scambiare conoscenza e costruire legami di qualità è il modo migliore per generare nuovo valore, per sé e per la propria impresa. Oggi il driver di cambiamento è la generatività. Questa conosce quattro verbi: desiderare, far nascere, accompagnare e lasciar andare. Per trasformare davvero le persone in creatori di senso, la strada migliore da intraprendere è far nascere in loro il desiderio di fare e – ancora prima – di apprendere.