Storicamente in Italia i carichi di cura familiari pesano maggiormente sulle spalle delle donne. Oggi, infatti, tre quarti del lavoro di cura non retribuito viene svolto dalle donne, complice anche il persistere di forti stereotipi culturali di genere. Il caregiving e la genitorialità sono aspetti fondamentali che influiscono sul divario di genere e riguardano anche le aziende, che possono avere un ruolo determinante per garantire un maggiore equilibrio.
Come superare questo divario? Quali politiche adottare per passare dal concetto di conciliazione dei tempi di lavoro e di cura a quello di condivisione dei carichi di cura? Si è cercato di trovare le risposte a queste domande nel corso del talk “8 marzo: da conciliazione a condivisione” organizzato da Valore D in occasione della Giornata internazionale della donna 2022, a cui ha partecipato anche Riccarda Zezza, CEO di Lifeed.
“La pandemia ha frenato il progresso verso la parità di genere”, ha spiegato Zezza. “La condivisione genitoriale oggi è considerata un ‘nice to have’, ma non è vista come qualcosa di urgente”.
L’Italia è tra gli ultimi Paesi ad aver introdotto un congedo di paternità obbligatorio, pari a 10 giorni, che comunque ha una durata nettamente inferiore rispetto a quello di cinque mesi delle madri. Inoltre i dati sull’occupazione femminile e sul tasso di fertilità vedono l’Italia in fondo alle classifiche internazionali.
Alcune aziende stanno cercando di occupare il vuoto lasciato da altri attori istituzionali su questi fronti. Ma, come sottolineato da Paola Mascaro, Presidente di Valore D, c’è una dicotomia tra cultura e pragmatismo: “La resistenza al cambiamento esiste anche nelle grandi aziende, dove il retaggio culturale dei singoli capi penalizza i dipendenti che vogliono dedicarsi maggiormente al loro ruolo di padre”. Secondo Mascaro, servirebbero apposite norme che rendano più efficace il cambiamento.
La cultura organizzativa, dunque, è determinante ma deve essere accompagnata da leggi e azioni quotidiane che possono favorire la condivisione dei carichi di cura tra padri e madri. Il vantaggio sarebbe per tutti, perché da questa condivisione emergono risorse e talenti che le persone possiedono già nei loro ruoli di vita privata e che sono utili per le loro aziende.
Come ricordato da Zezza, il 73% dei dipendenti è caregiver, quindi si prende cura di qualcuno. Ed è proprio dai carichi di cura che derivano capacità utili alle imprese: “La cura sviluppa competenze soft che, secondo l’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, vengono allenate per il 70% in ruoli non lavorativi. Con una maggiore condivisione, ci sarebbero più opportunità di trasferire competenze dai ruoli di vita privata a quelli professionali e viceversa”, ha spiegato Zezza.
Su questo aspetto Lorenzo Gasparrini, filosofo, autore e formatore su questioni di genere, ha sottolineato che “se stanno meglio, le persone lavorano meglio. Le grandi aziende si stanno impegnando, ma oggi tante piccole e medie imprese non vedono ancora di buon occhio i dipendenti che usufruiscono del congedo di paternità”.
Secondo Gasparrini va ripensato il modo di conciliare il ruolo del genitore con quello del lavoratore, che riguarda anche il tempo dedicato a lavoro e famiglia, gli spazi domestici. “Cambiare leggi e organizzazione del lavoro nelle aziende comporta modifiche di sistema e l’abbandono della logica delle gerarchie per risolvere i problemi”. I nostri ruoli, ha aggiunto, “non possono essere visti a compartimenti stagni”.
Infine Sofia Maroudia, ESG Officer di Snam, ha ricordato che in Italia le donne dedicano 22 ore alla settimana alla cura dei figli, contro le tre ore degli uomini. “Le aziende possono avere un grande impatto per creare un migliore equilibrio attraverso congedi per i papà, flessibilità lavorativa e aiuti psicologici”. Il Talk ha costituito il momento di chiusura di un tavolo di lavoro interaziendale di Valore D sul tema, realizzato con il supporto di Snam e Generazione Donna, che ha coinvolto 25 aziende e ha prodotto un documento che raccoglie oltre 200 buone prassi aziendali sul tema.