Cristina Gabetti ha intervistato la nostra CEO Riccarda Zezza per una speciale puntata di Occhio al futuro, dedicata agli SDG, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che puntano alla salvaguardia del pianeta e al benessere dei suoi abitanti. Secondo Cristina Gabetti, le nostre soluzioni rispondono a ben 8 obiettivi. Guarda qui la puntata di Occhio al futuro andata in onda su Striscia la Notizia il 21 marzo 2020.
Cristina Gabetti: Tutti noi ci prendiamo cura di giovani e/o anziani, e sappiamo quante competenze servono per farlo bene. Oggi incontriamo una donna che, partendo dalla sua esperienza di vita, ha creato un metodo per trasferire le competenze soft in ambito professionale. Riccarda com’è nata la tua idea e come funziona?
Riccarda Zezza: È nata dal fatto che quando sono diventata mamma ed ero manager in una grande azienda ho scoperto che essere madre era una problema nel mondo del lavoro. Mentre, invece, la stessa azienda mi mandava a fare formazione in una serie di competenze soft che proprio l’esperienza della maternità stava allenando benissimo. Pensa ad esempio alla gestione del tempo, la gestione delle crisi, l’empatia. Ho visto un grande paradosso, un grande spreco: perché le aziende spendono tantissimi soldi in formazione per una serie di competenze che la vita allena in modo naturale. Questo è successo 7-8 anni fa, da li è partita la ricerca che ho fatto con Andrea Vitullo che è un executive coach, ed effettivamente abbiamo scoperto che quando si diventa genitori si migliorano una serie di competenze che servono al mondo del lavoro. Sette anni dopo, oggi, questo metodo di apprendimento lo vendiamo alle aziende attraverso una piattaforma digitale, quindi le nostre aziende clienti aprono il percorso digitale neogenitori, neomamme o neopapà, ma anche da qualche tempo a caregiver dei propri genitori… perché ogni esperienza di cura migliora queste competenze e le persone possono scoprire come prendersi cura di un bambino o un anziano migliorino proprio le competenze che servono nel mondo del lavoro.
Cristina Gabetti: Questa iniziativa adempie a ben 8 SDG. Adesso qual’è il tuo sogno?
Riccarda Zezza: Oggi siamo in 23 paesi e gli utenti della piattaforma ci dicono che già hanno queste energie, queste competenze; hanno solo bisogno dello spazio per portarle nel mondo e nella società. Il mio sogno è quello di arrivare il più velocemente possibile a dimostrare all’economia e alla società che prendersi cura è un valore, è un bisogno che la specie umana ha tutte quelle energie e quelle risorse che oggi stiamo cercando nei posti sbagliati.
Cristina Gabetti: Grazie Riccarda. Saper osservare e riflettere, valutare obiettivi e prendere decisioni, migliorarsi, adattarsi, e giocare, rende tutto più facile. Occhio al futuro!
Cristina Gabetti ha intervistato la nostra CEO Riccarda Zezza per una speciale puntata di Occhio al futuro, dedicata agli SDG, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che puntano alla salvaguardia del pianeta e al benessere dei suoi abitanti. Secondo Cristina Gabetti, le nostre soluzioni rispondono a ben 8 obiettivi. Guarda qui la puntata di Occhio al futuro andata in onda su Striscia la Notizia il 21 marzo 2020.
Cristina Gabetti: Tutti noi ci prendiamo cura di giovani e/o anziani, e sappiamo quante competenze servono per farlo bene. Oggi incontriamo una donna che, partendo dalla sua esperienza di vita, ha creato un metodo per trasferire le competenze soft in ambito professionale. Riccarda com’è nata la tua idea e come funziona?
Riccarda Zezza: È nata dal fatto che quando sono diventata mamma ed ero manager in una grande azienda ho scoperto che essere madre era una problema nel mondo del lavoro. Mentre, invece, la stessa azienda mi mandava a fare formazione in una serie di competenze soft che proprio l’esperienza della maternità stava allenando benissimo. Pensa ad esempio alla gestione del tempo, la gestione delle crisi, l’empatia. Ho visto un grande paradosso, un grande spreco: perché le aziende spendono tantissimi soldi in formazione per una serie di competenze che la vita allena in modo naturale. Questo è successo 7-8 anni fa, da li è partita la ricerca che ho fatto con Andrea Vitullo che è un executive coach, ed effettivamente abbiamo scoperto che quando si diventa genitori si migliorano una serie di competenze che servono al mondo del lavoro. Sette anni dopo, oggi, questo metodo di apprendimento lo vendiamo alle aziende attraverso una piattaforma digitale, quindi le nostre aziende clienti aprono il percorso digitale neogenitori, neomamme o neopapà, ma anche da qualche tempo a caregiver dei propri genitori… perché ogni esperienza di cura migliora queste competenze e le persone possono scoprire come prendersi cura di un bambino o un anziano migliorino proprio le competenze che servono nel mondo del lavoro.
Cristina Gabetti: Questa iniziativa adempie a ben 8 SDG. Adesso qual’è il tuo sogno?
Riccarda Zezza: Oggi siamo in 23 paesi e gli utenti della piattaforma ci dicono che già hanno queste energie, queste competenze; hanno solo bisogno dello spazio per portarle nel mondo e nella società. Il mio sogno è quello di arrivare il più velocemente possibile a dimostrare all’economia e alla società che prendersi cura è un valore, è un bisogno che la specie umana ha tutte quelle energie e quelle risorse che oggi stiamo cercando nei posti sbagliati.
Cristina Gabetti: Grazie Riccarda. Saper osservare e riflettere, valutare obiettivi e prendere decisioni, migliorarsi, adattarsi, e giocare, rende tutto più facile. Occhio al futuro!
Curando si impara: il caregiving e le competenze soft
Siamo partiti da un’intuizione supportata da ricerche scientifiche e dati. Come la genitorialità, anche la cura di un proprio caro – anziano, malato o non autosufficiente – è una palestra di softskill: questa è l’intuizione, validata da numerose ricerche scientifiche. Il dato: nelle aziende sono il 73% i lavoratori coinvolti in attività di cura familiare – lo dice l’Harvard Business University per il mercato statunitense, ed è confermato anche dalle analisi Istat che si concentrano sulla dimensione italiana. In particolare, il 30,5% degli over 50 nel nostro Paese dichiara di essere “caregiver”, ovvero un soggetto che si prende cura dei genitori anziani. Da queste premesse è nato CARE, il nostro nuovo Master digitale dedicato ai figli caregiver.
Ne parliamo anche su ItaliaOggi del 16 dicembre 2019.
Nello specifico – spiega l’articolo – si tratta del primo e unico master per i caregiver lavoratori, che trasforma l’esperienza di cura verso un genitore fragile in palestre di competenze soft. Seguendo un format analogo a quello del Master per i genitori, che in quattro anni è stato utilizzato da oltre 8 mila madri e padri in 70 aziende, con un miglioramento delle competenze fino al 35% e un aumento di ingaggio per l’85% dei partecipanti, il nuovo CARE fa scoprire ai lavoratori caregiver nuove competenze e risorse, aumentando il loro benessere e la competitività delle loro aziende.
Il nuovo Master consente di sfruttare anche in ambito lavorativo il naturale miglioramento di alcune delle competenze legate all’esperienza della cura, tra cui gestione dello stress, gestione del rischio e dell’errore, saper prendere decisioni, empatia, delega, creazione di alleanze nel rapporto con gli altri, leadership, fiducia in sé, autoconsapevolezza nell’autorealizzazione e senso di sé.
CARE applica la metodologia del Life Based Learning, con 9 moduli digitali ricchi di contenuti interattivi e missioni “real life” che usano la vita reale come palestra di formazione esperienziale.
La cura può arricchire il proprio bagaglio di competenze, quasi come un master
Dover badare ai familiare bisognosi di assistenza è sempre stato un freno per la carriera di una donna. Ora un master speciale insegna alle dipendenti delle aziende a sfruttare quel talento. Per diventare leader compassionevoli.
Riccarda Zezza è stata intervistata da Monica Bogliardi di Grazia in occasione del lancio del nuovo master CARE per figli caregiver e ne è nato un articolo pubblicato sul settimanale Grazia del 5 dicembre 2019. Ecco un estratto.
In che senso anche la cura, come la maternità, può essere un master?
Tutta la vita regala momenti di apprendimento, in particolare le fasi di transizione: apprendi qualcosa di necessario, devi abbandonare la vecchia idea di te e attrezzarti per gestire la nuova situazione. Il diventare “caregiver”, il prendersi cura dei genitori, è uno di questi momenti, e può essere sfruttato al massimo.
Quali competenze professionali vengono sviluppate dalla cura?
Ne abbiamo contate 19. Tra queste, quelle di tipo relazionale, la capacità di ascolto, quella di fare alleanze, il saper osservare. Ma anche la pazienza, l’abilità di gestire il rischio e il cambiamento, la flessibilità e l’agilità mentale. Tutte queste qualità formano la cosiddetta leadership compassionevole, una dote preziosa nell’agguerrito mondo del lavoro.
Che cosa penalizza la donna che cura i propri familiar?
Il fatto che i tempi professionali e quelli privati non siano mai armonizzati non aiuta. Come il non valutare i risultati finali, gli obiettivi raggiunti, ma controllare orari e presenze in ufficio. Il “caregiver” non pensa mai a sé come a una risorsa preziosa. Invece con CARE cambia il punto di vista, vince l’idea contraria, e quando lo scopri smetti di sottovalutarti e cambi il modo di vedere te stessa.
Qual è invece il valore aggiunto?
Le “caregiver” sul lavoro sono favorite dall’essere diventate brave ad ascoltare, a fare alleanze, motivare chi lavora con loro. Sanno fare squadra perché l’hanno imparato in un ambiente estremo come quello della malattia e del farsi carico, dove le energie di tutti sono preziose e vanno messe in campo.
Com’è strutturato il percorso del master CARE?
Dura tre mesi. I dipendenti interagiscono con moduli online, che alternano informazioni e domande che punto a mettere a fuoco le proprie reazioni nella vita quotidiana di caregiver. In più entrano in contatto con colleghi di altre aziende che vivono la loro stesso condizione: condividere aiuta a rompere l’isolamento e a trovare consigli preziosi.
Ma questi master funzionano?
Non dovrei essere io a dirlo, ma danno ottimi risultati: il 94 per cento dei nostri clienti ha rinnovato il contratto. Non solo: le persone apprendono più facilmente quando per loro è rilevante. La vita quotidiana è la cosa più rilevante che c’è, dunque impari più velocemente perchè sai di poter usare tutto e subito.
Intervistata dal settimanale Gente del 30 novembre 2019, Maria Bianca Farina, da due anni Presidente di Poste Italiane, racconta che in un’azienda come Poste dove “le donne sono oltre il 50% del nostro personale”, la maternità è un valore aggiunto e “alle giovani dico: i figli non sono di inciampo alla carriera”.
“Non mi sono mai sentita discriminata” – spiega. “Ho fatto battaglie che avrei fatto anche se fossi stata un uomo, ma ciò non toglie che ci siano donne che quelle discriminazioni le hanno subite. Credo che il mondo del lavoro sia ancora a misura di uomini, perché è sempre stato così, e loro spesso non trovano in noi quelle caratteristiche che si aspettano, specchiandosi in loro stessi. È per questo che spesso le donne sono state costrette a entrare dalle porte secondarie e che malgrado leggi come quella sulle quote rosa ancora siano poche, soprattutto ai piani alti”.
In Poste Italiane molto è cambiato da quel lontano 1863, quando servì addirittura un decreto regio per assumere la prima donna. Mentre oggi “è una delle imprese più femminili che ci siano”.
“Naturalmente occorre un impegno supplementare per favorire e abilitare il più ampio accesso femminile ai ruoli di maggior rilievo e manageriali”. Una sfida nella sfida, continua l’articolo di Gente, in una Paese come l’Italia dove tante donne sono costrette a rinunciare al lavoro, proprio perché non riescono a conciliarlo con la famiglia.
Nel nostro Paese ancora solo il 56,2% delle donne partecipa al mercato del lavoro e il tasso di occupazione non supera il 50%. Si tratta dei valori tra i più bassi, insieme a quelli della Grecia, tra i paesi dell’Unione europea. Ne abbiamo già parlato qui.
Maria Bianca Farina ha però a cuore questa situazione e sa che, dalla sua posizione di rilievo, deve impegnarsi affinché altre donne possano arrivare ai vertici delle aziende: “Incoraggio le donne con cui lavoro sottolineando sempre che possono farcela anche loro”.
E poi parla anche di noi:
In Poste abbiamo adottato MAAM, che grazie alla tecnologia assicura la continuità della prossimità con l’azienda anche da casa e trasforma la maternità in un valore aggiunto sul lavoro. Perché le competenze che la maternità produce e acuisce – penso all’attenzione al futuro, alla pazienza, all’ascolto – sono preziose anche quando si torna alla scrivania.
Poste Italiane è la prima azienda che ha adottato MAAM, il Master per neo-genitori, nel 2015.