Di fronte all’evoluzione della Great Resignation (il “boom di dimissioni” post-pandemia) da fenomeno prettamente statunitense a realtà globale che tocca diversi Paesi industrializzati, tra cui l’Italia, come possono le aziende mettere al sicuro il proprio futuro e persino ottenere un margine competitivo in una situazione così turbolenta?
Secondo Gallup, la risposta è partire dal reskilling delle persone, in modo particolare dei manager. Rifacendosi ad alcuni dati estratti dalla ricerca The American Upskilling Study, pubblicata nel giugno del 2021, l’azienda di sondaggi osserva come il 57% degli americani consideri una priorità l’aggiornamento delle proprie competenze, affermando inoltre che “una delle necessità dell’essere umano più resistenti alle crisi e al passare del tempo è il bisogno di evolvere. Le persone pretendono crescita e sviluppo”.
L’instabilità dell’ultimo anno e mezzo ha spinto molte persone a ripensare completamente i loro percorsi di vita professionale e personale. Molti di noi hanno attraversato cambiamenti profondi che hanno alterato il nostro equilibrio vita-lavoro: le sfide derivanti dalla combinazione dei doveri genitoriali con quelli professionali sono gradualmente (e fortunatamente) diventate argomenti degni di discussione in contesti ufficiali.
Al contempo, in Paesi con contesti imprenditoriali più tradizionali come l’Italia, il lavoro da casa e altre modalità di lavoro flessibile sono diventate soluzioni più ampiamente accettate, e non soltanto risposte temporanee alla situazione di emergenza.
Eppure soltanto una manciata di aziende hanno colto l’opportunità di sfruttare al massimo queste trasformazioni e il loro potenziale in termini di sviluppo delle persone. Non stupisce, dunque, che queste rare eccezioni siano oggi le aziende più richieste dai candidati più forti intenzionati a rientrare nel mercato del lavoro. E non è forse questo un notevole vantaggio competitivo?
Se gran parte delle persone ha vissuto transizioni significative con effetti profondi sulla propria situazione professionale, i ruoli e le responsabilità dei manager hanno attraversato una trasformazione possibilmente ancora più profonda.
Non solo i leader si sono ritrovati ad affrontare situazioni al di fuori dell’ambito prettamente lavorativo, spesso cercando di trovare un equilibrio tra la vision dell’azienda, le esigenze dei dipendenti e le proprie responsabilità. In molti casi, i manager sono diventati il vero e proprio ago della bilancia nel determinare la volontà dei dipendenti di rimanere in azienda o di lasciarla.
Come ricorda Gallup, infatti, “i manager capaci sono in grado di ridurre il turnover dei dipendenti più efficacemente di qualsiasi altra mansione” all’interno di un’organizzazione, svolgendo un ruolo essenziale come ambasciatori della people strategy dell’azienda.
Tuttavia, nonostante i manager abbiano il potere di condizionare l’engagement del team fino al 70%, soltanto tre su 10 affermano di avere avuto la possibilità di crescere e imparare nell’ultimo anno, mentre la stessa percentuale (30%) si dichiara supportato nel proprio percorso di sviluppo. Come colmare questo gap?
In che modo le aziende possono dotare i propri manager degli strumenti necessari per gestire le loro nuove responsabilità?
Per affrontare al meglio la maggiore flessibilità e incertezza dell’attuale situazione, il reskilling dei manager dovrebbe partire dalle competenze trasversali. Ascoltare un collaboratore non è più un’attività relegata ai feedback meeting o alle valutazioni annuali.
Di fatto, con l’intrecciarsi delle linee di confine tra vita professionale e personale, la capacità di un manager di adottare una caring leadership è oggi diventata un fattore differenziante. Anche il ruolo del manager come coach si è ampliato, arrivando a includere un’ampia gamma di aspetti sui quali i dipendenti si aspettano di essere guidati: dalle capacità di gestione del tempo al saper stabilire dei limiti, dalla gestione dello stress all’autoconsapevolezza.
Quali sono dunque i benefici legati al reskilling dei manager? Una forza lavoro più coinvolta, determinata a restare e a non lasciare l’azienda. Un team manageriale che ritrova nuovo significato nello svolgimento del proprio ruolo e ha la possibilità di rendere la vita dei collaboratori più equilibrata e ricca di soddisfazione. E infine, un’attività con un Return on investment (ROI) notevole, specie se consideriamo i costi molto alti della sostituzione di un collaboratore che lascia l’azienda rispetto all’investimento sulla sua crescita.
La pandemia, un trasloco, un nuovo lavoro, un divorzio: sono tutte transizioni di vita che ci possono insegnare qualcosa, ma per vivere queste situazioni in modo positivo è necessario sviluppare la propria capacità di gestione del cambiamento. Come è possibile? L’auto-apprendimento è una competenza fondamentale in questo senso. Anzi, come spiega McKinsey, oggi l’intentional learning è la skill più importante per vivere le grandi trasformazioni della vita, comprese quelle lavorative.
Nella sfera professionale, il World Economic Forum ha riscontrato la necessità di riqualificare almeno un miliardo di posti di lavoro, che sono stati trasformati dal cambiamento tecnologico che stiamo vivendo. A ciò si è aggiunto l’impatto del covid-19 che ha accentuato la necessità di reskilling delle persone nelle nuove modalità di lavoro digitali e da remoto. Una strada che sembrerebbe in salita, ma tutto parte dal nostro approccio a questi grandi momenti di transizione.
Se infatti il cambiamento è un dato di fatto, è la nostra risposta che fa la differenza. Tutto parte da noi stessi e dalla capacità di attingere dal bagaglio di risorse personali, perché non c’è sviluppo senza investimento e un periodo difficile come questo può essere una preziosa opportunità per innescare processi virtuosi.
Vivere momenti di difficoltà è naturale, ma questi possono diventare energia positiva solo se li sappiamo affrontare in maniera proattiva. Come affermava lo psichiatra Viktor Frankl, padre della logoterapia e sopravvissuto alla Shoah, “non sono il contesto o le circostanze a determinarci, ma le nostre decisioni”.
In realtà il cambiamento fa parte della storia umana da sempre, ma è un processo che la nostra mente non affronta volentieri, perché vede la ‘novità’ come una minaccia e preferisce guardare a ciò che già conosce. Il segreto è saper affrontare i processi di transizione con realismo.
Cambiare non significa cancellare, perché noi siamo anche la nostra storia, i nostri valori, il bagaglio di idee e progetti che ci portiamo dietro nella sfera privata e lavorativa. Trasformarsi non significa annullarsi, ma sapersi adattare in un determinato contesto per progredire.
Ecco allora che l’auto-apprendimento diventa una competenza chiave per l’evoluzione lavorativa ed è una abilità che ognuno di noi può allenare affinché possa diventare uno fattore per il successo professionale a lungo termine. Quello che conta è come la nostra mente recepisce e affronta la novità.
Ce lo ricorda anche la psicologa americana Carol Dweck della Stanford University, che con i suoi studi su una mentalità rigida e una più aperta ha delineato limiti e opportunità di crescita verso un approccio diverso a se stessi, perché “una mentalità rigida non consente alle persone il lusso di trasformarsi: devono già essere”.
Le esperienze e le interazioni quotidiane offrono enormi opportunità di apprendimento, ma solo se si tratta intenzionalmente ogni momento come un’opportunità di formazione. Durante l’apprendimento continuo, le riflessioni delle persone possono permettere di acquisire maggiore consapevolezza delle proprie capacità per gestire il cambiamento e affrontare le transizioni di vita.
L’apprendimento è come una vera e propria palestra e in quanto tale, come ogni allenamento, necessità di regolarità e di pianificazione. Non solo: servono una mentalità orientata alla crescita personale e molta curiosità, vero motore di ogni apprendimento, che può essere allenata anche in coloro che per natura non sono curiosi.
Ma come è possibile allenare la curiosità e le competenze? Affrontando le proprie paure e facendo domande, ma anche vivendo appieno nuove esperienze da cui apprendere, come le nostre transizioni di vita. Fondamentale è concentrarsi su ciò che amiamo fare, provando e magari sbagliando, dando spazio a tutte le nostre dimensioni identitarie, non solo quelle lavorative.
Qualunque forma assuma la curiosità, ci aiuterà a mantenere una mentalità flessibile e consapevole, ampliando la nostra prospettiva e preparandoci a un nuovo apprendimento.