Nella delicata fase di ripresa post-emergenza covid, in cui l’economia del nostro Paese riscopre cifre che sembravano dimenticate (l’Istat stima un +4,7% del Pil nel 2021), le aziende affrontano una duplice sfida: mantenere alta la produttività dei dipendenti e, allo stesso tempo, garantire la sostenibilità dell’impresa che passa da azioni mirate di welfare.
Il benessere e il coinvolgimento delle persone sono sempre più centrali nelle strategie aziendali, soprattutto nella fase di rientro graduale in ufficio dopo il lungo periodo di pandemia che ha aumentato i livelli di stress e incertezza: questo significa, per i manager, rispondere in modo efficace ai bisogni dei dipendenti in termini di conciliazione vita-lavoro, Employee satisfaction ed engagement.
Secondo recenti ricerche, nel 2021, complici l’emergenza sanitaria e la crisi economica, gli italiani hanno fatto leva soprattutto sulla retribuzione e in particolare su un impiego fisso nella scelta di restare o abbandonare la propria azienda. Ma c’è un fattore che spesso non viene considerato prioritario: il wellbeing. La pandemia ha reso ancora più evidente la sinergia tra vita privata e lavoro delle persone, le quali oggi manifestano numerose necessità proprio in questo ambito.
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Altri aspetti come meritocrazia e gender gap si aggiungono a tutto questo con effetti (positivi o negativi a seconda dei casi) sulla motivazione dei dipendenti. Lo teorizzava, già nel 1968, lo psicologo americano Frederick Herzberg, che nel paper One more time: How do you motivate employees?, sottolineava come sia necessario poter distinguere tra azione e motivazione e come proprio l’aspetto motivazionale dei lavoratori diventi un fattore determinante per una azienda.
Secondo lo studioso americano, i dipendenti che si trovano maggiormente in sintonia con la vision dell’azienda e che si sentono coinvolti in un processo di sviluppo e crescita professionale, sono maggiormente motivati e aderiscono più facilmente agli obiettivi dell’impresa, lavorando con passione per far crescere la reputazione e produttività dell’azienda stessa.
Maggiore soddisfazione, dunque, genera maggiore produttività. D’altra parte, stiamo vivendo un grande processo di cambiamento sociale ed è per questo che, per far ‘stare bene’ le persone al lavoro, non possiamo più evitare di considerare le emozioni come parte integrante del modus vivendi all’interno di un’azienda. Vivere e condividere le proprie emozioni anche al lavoro (senza confinarle a spazi privati) può essere un fattore chiave per la retention, l’engagement e la produttività delle persone.
Per raggiungere questi obiettivi, gioca un ruolo fondamentale il dialogo interno al proprio team aziendale. La sfida per i manager, soprattutto i responsabili HR, è quella di mantenere vivo questo dialogo anche nelle nuove modalità di lavoro a distanza, mettendo sempre al centro le persone e i loro bisogni.
La Human sustainability avrà un’importanza sempre più strategica per le aziende: ciò significa prendersi cura dei dipendenti ogni giorno, uscendo dai confini professionali per supportare il loro benessere che è motore di innovazione e di produttività.
Ed è da qui che si può sviluppare il concetto di HR footprint, l’impronta che i manager delle Risorse Umane possono lasciare nel mondo del lavoro, per favorire una nuova visione del capitale umano.