Secondo i dati dell’Osservatorio Vita Lavoro di Lifeed, attraverso la piattaforma che negli ultimi 12 mesi ha coinvolto 10.000 dipendenti di grandi e medie aziende italiane, la dimensione della coppia è in modo stabile tra le prime tre più presenti, insieme alla dimensione professionale e a quella dell’amicizia.
A descriversi in modo spontaneo come partner è infatti ben il 48,4% degli utenti.

Per gli uomini, quella di coppia è al primo posto tra le relazioni personali più importanti. A rompere definitivamente lo stereotipo secondo cui sarebbero meno romantici, gli uomini considerano la coppia tra le dimensioni fondamentali della propria vita, facendo della qualifica di marito, compagno, alleato, fidanzato la prima nella lista dei ruoli più espressi dopo quello lavorativo.
Per le donne
, questa dimensione viene invece solo al quarto posto, dopo quella lavorativa, l’amicizia e l’essere figlie.
E la coppia, con le sue negoziazioni e interazioni quotidiane, è una grande palestra di competenze che tornano molto utili anche sul lavoro
: i partner di entrambi i generi si descrivono usando tratti come responsabile, premuroso, calmo, maturo e giocoso, ma anche estroverso, emotivo, organizzato e fantasioso. Questo li porta a usare ogni giorno comportamenti che sono vere e proprie palestre esperienziali per le competenze di collaborazione, comunicazione e feedback, ma anche per l’autocontrollo e l’agilità mentale.

“Secondo la metodologia del Life Based Learning, in tutti i nostri ruoli usiamo “comportamenti universali”, che possono essere facilmente adottati anche in contesti lavorativi, rendendo le persone molto più efficaci”, ha commentato Martina Borsato, responsabile dell’Osservatorio Vita-Lavoro di Lifeed. Ed ecco i dieci comportamenti più citati dagli utenti Lifeed quando descrivono il proprio ruolo di partner:

  1. Mi assumo la responsabilità dei miei errori e affronto le conseguenze;
  2. Interagisco con gli altri in modo che mostri cura e un senso di vicinanza;
  3. Dedico tempo all’ascolto, lasciando spazio agli altri;
  4. Utilizzo il gioco per collaborare con gli altri;
  5. Mi adatto a situazioni diverse;
  6. Utilizzo l’umorismo per affrontare situazioni e argomenti, anche delicati;
  7. Dimostro cura attraverso le mie azioni per incoraggiare la collaborazione;
  8. Sono sensibile alle emozioni degli altri;
  9. Percepisco i sentimenti di chi mi circonda e offro il mio supporto attraverso azioni e parole;
  10. Considero il feedback degli altri quando esprimo il mio parere.

“Se trasferissi i comportamenti che uso quando sono premurosa come compagna anche nel mio ruolo di lavoratrice, mi prenderei cura delle persone del mio team con continuità, insegnando loro a essere autonome ma restano un punto di riferimento finché vorranno”, ha commentato una delle utenti della piattaforma.
È l’effetto della “transilienza”, parola coniata dal Life Based Learning di Lifeed per indicare la capacità di trasferire competenze e risorse tra i propri ruoli, divenuta un neologismo dell’enciclopedia Treccani nel 2023.
Ma la transilienza funziona in entrambe le direzioni, e infatti ecco la riflessione di un altro utente: “Se usassi la capacità di gestire complessità e incertezza che ho come manager nel mio ruolo di compagno, gestirei gli imprevisti della vita personale mantenendo la calma anche di fronte a situazioni complicate”. 

 

Milano, 20 novembre 2024 – Comprendere la rilevanza della valorizzazione delle competenze e del potenziale delle persone, con un focus specifico sulle abilità, conoscenze e ruoli agiti nella vita quotidiana, potenzialmente preziosi per le organizzazioni.
Questo l’obiettivo della ricerca condotta dall’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, in collaborazione con Lifeed, che è stata presentata oggi all’HR Forum da Martina Mauri, Direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice e Chiara Bacilieri, Head of Innovation di Lifeed.

Le sfide prioritarie della Direzione HR

Negli ultimi anni, soprattutto nel periodo del post Covid, ha assunto sempre più rilevanza il tema del malessere psicologico legato al lavoro: per molte persone oggi non è più accettabile sacrificare il proprio benessere psico-fisico per la propria professione.
Lo confermano i dati della ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice, dalla quale emerge che il 42% del campione (percentuale leggermente inferiore a quella registrata nel periodo pandemico) ha cambiato lavoro quest’anno o ha intenzione di farlo nel prossimo futuro. E, per il 36% di loro, il motivo riguarda proprio il benessere psico-fisico.
Questo dato è strettamente collegato a quello delle persone che si dicono “pienamente ingaggiate al lavoro” (al 19% del 2024, rispetto al 26% del) e alla percentuale (12%) di chi si dice affetto da Quiet Quitting.
Questo malessere è reso evidente anche dalle organizzazioni. L’88% di loro ha percepito difficoltà nell’assumere nuovo personale: il 54% ha affermato che il numero dei rifiuti delle offerte di lavoro o dei candidati che si ritirano dal processo di selezione è aumentato e il 17% che i nuovi assunti cambiano lavoro dopo pochi mesi dall’assunzione.
La percentuale di persone che desiderano cambiare lavoro, i bassi livelli di engagement e la difficoltà delle aziende ad essere attrattive sono segnali di malessere del mercato del lavoro. Quello che si sta delineando è un disallineamento tra ciò che le persone vogliono, e si aspettano, e ciò invece che le organizzazioni offrono. Per colmare questo gap è necessario lavorare su nuovi modi per valorizzare le persone, anche nei talenti nascosti, ridando loro motivazione e energia ha commentato Martina Mauri, Direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano.

Lo sviluppo dell’impiegabilità e la valorizzazione delle competenze

Uno degli obiettivi prioritari della Direzione HR, rilevato attraverso la Ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice, è la riqualificazione della forza lavoro.

Tuttavia, nel campione di Direzioni HR della Ricerca, appena poco più di un quarto dei rispondenti ha piena consapevolezza di come evolveranno le competenze nel breve-medio termine e, conseguentemente, formalizza una strategia per acquisirle e/o svilupparle. La mancanza di un’analisi preliminare di quelle che saranno le competenze chiave in futuro limita la presenza di iniziative a supporto del loro sviluppo e dell’impiegabilità delle persone: attualmente solo il 24% del campione mette in atto azioni che supportano l’occupabilità futura delle proprie persone, a cui si aggiunge il 12% che lo farà nei prossimi mesi. 

L’insufficienza degli sforzi in ottica di impiegabilità e riqualificazione è testimoniata anche dai lavoratori, il cui tema si fa per loro sempre più rilevante. Mentre solo il 30% del campione percepisce di essere pienamente impiegabile, il 64% ha dichiarato che l’acquisizione di competenze e le iniziative a supporto dell’impiegabilità sono elementi fondamentali o molto rilevanti nella scelta di un nuovo lavoro.

La rilevanza delle soft skill 

Da qualche anno hanno assunto sempre più rilevanza sul lavoro le competenze soft, che fanno la differenza nelle relazioni interpersonali, nel lavoro di squadra, nella capacità di adattarsi e innovare, nonché nell’organizzarsi in modo efficace in un contesto di continuo cambiamento.

A differenza di quanto accade per le competenze hard, le competenze soft sono molto spesso legate agli aspetti attitudinali del carattere delle persone e possono essere assimilate in contesti molto diversi tra loro, anche extralavorativi. 

Le ricerche condotte da Lifeed su oltre 10.000 persone dimostrano che la maggior parte – tra il 60% e il 70% – delle competenze soft si sviluppano e si utilizzano principalmente al di fuori del contesto lavorativo, in ruoli ed esperienze di vita personale: essere figli, genitori, amici, coltivare hobby e passioni, vivere cambiamenti significativi.

“La capacità di trasferire competenze da un ambito all’altro, da un ruolo all’altro, è una risorsa straordinaria e rara, una vera e propria abilità superiore, che in Lifeed abbiamo chiamato ‘transilienza‘. Ma come possiamo sfruttare al meglio questa straordinaria qualità? la risposta sta nella consapevolezza: è fondamentale diventare consapevoli dei diversi ruoli che ricopriamo nella vita, riconoscendo cosa ci rende davvero efficaci in ciascuno di essi. I benefici di questo approccio sono straordinari, soprattutto quando pensiamo a come trasferire competenze tra la sfera personale e quella lavorativa: il 71% delle persone ha iniziato ad utilizzare sul lavoro competenze che non sapeva nemmeno di possedere; il 90% si è sentito più equilibrato e consapevole delle proprie risorse, riuscendo a conciliare meglio vita privata e professionale; l’86% si sente più coinvolto e libero di portare al lavoro altre parti di sé” ha affermato Chiara Bacilieri, Head of Innovation di Lifeed.

Identificare i ruoli che le persone ricoprono al di fuori del lavoro permette di evidenziarle, creando nuove risorse per l’azienda ma dalla Ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice è emerso che solo un quarto delle Direzioni HR oggi prevede degli assessment per monitorare e mappare le competenze nascoste dei propri collaboratori.

Anche la ricerca sui lavoratori svolta dall’Osservatorio evidenzia che le persone riescono ancora poco a mettere al servizio dell’organizzazione competenze e ruoli appresi in contesti diversi da quello lavorativo (solo il 14%). Le ragioni di tale difficoltà sono da ricercare nella cultura organizzativa e nello stile di leadership dei manager. Poi, solo il 9% dei lavoratori concorda pienamente sul fatto che il proprio manager sia in grado di valorizzare il suo potenziale e solo il 6% ha completa fiducia nella capacità dell’organizzazione di farlo.