La sostenibilità umana al centro delle nuove strategie HR

Negli anni successivi all’arrivo della pandemia, le aziende hanno vissuto grandi cambiamenti con impatti notevoli sul fronte del mercato del lavoro e dell’employability: innanzitutto c’è stata un’accelerazione della transizione digitale e, di conseguenza, è aumentato lo skill mismatch. La pandemia ha anche portato le persone a focalizzarsi maggiormente su se stesse, un aspetto che si lega al fenomeno delle Grandi dimissioni.

Come è cambiato, quindi, il concetto di benessere per le persone e per le aziende? Quali sono le nuove priorità e quali capacità sono state sviluppate? Se ne è discusso nel corso della Presentazione dei risultati dell’Osservatorio Vita-Lavoro di Lifeed basati sulla Survey 2021 e di quelli dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano.

Dalla ricerca del Politecnico è emerso che solo il 9% dei lavoratori dichiara di sentirsi bene su tutte e tre le dimensioni del benessere (fisica, psicologica, sociale) e che l’engagement è sceso dal 20% dell’anno scorso (già un dato basso) al 14% attuale.

Come spiega Martina Mauri, Direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice, per la funzione HR delle aziende diventa necessario mettere in pratica una strategia di “Connected People Care” volta a connettere le persone attraverso strumenti digitali, per favorire il loro empowerment e coinvolgimento, valorizzandole a 360 gradi e considerando anche le loro competenze soft. In questo contesto, l’utilizzo dei dati e di strumenti digitali risulta fondamentale per la presa di decisioni, la personalizzazione dei servizi, la comunicazione e il coinvolgimento delle persone.

Il 70% dei talenti si trova nei ruoli personali

Lo studio evidenzia, però, che poche organizzazioni hanno consapevolezza delle risorse e dei talenti che hanno al loro interno, relative alle competenze di ruolo delle persone. Proprio su questo aspetto, dai dati dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed presentati da Chiara Bacilieri, Head of Data di Lifeed, emerge che la maggior parte dei talenti delle persone si trova nella vita privata, dunque fuori dai confini organizzativi: il 70% nei ruoli personali, il 30% nei ruoli professionali.

Questo suggerisce alle aziende che partire dall’ascolto e dallo sviluppo della consapevolezza delle persone, con un approccio Data-driven, è la strada per aiutarle a trasferire competenze tra vita privata e professionale, facendole esprimere in modo più aperto e trasformando le difficoltà in opportunità, sia a livello individuale sia organizzativo.

Serve un approccio olistico alle persone

D’altra parte, come sottolinea Fortunato Costantino, People care, Employees & Unions Relationship Manager di Q8 Kuwait Petroleum Italia, la pandemia ha aumentato l’autoconsapevolezza degli individui, i quali richiedono oggi un ascolto più attento ai loro bisogni, anche in ambito professionale. Nel valorizzare le molteplici dimensioni identitarie delle persone, Q8 promuove una formazione omnicomprensiva e interdisciplinare che favorisce l’esercizio delle competenze allenate dagli individui nei loro diversi ruoli di vita.

Ma per trarre vantaggio da questa visione, secondo Costantino, serve innanzitutto un cambiamento culturale che permetta di creare un’organizzazione socialmente sostenibile, con un approccio olistico alle varie dimensioni di vita delle persone.

Questa visione ha un impatto anche sul raggiungimento degli obiettivi finanziari e sulla misurazione delle performance. Dal punto di vista del profitto aziendale, la chiave è creare un legame tra gli impegni di sostenibilità e i risultati finanziari, favorendo l’equilibrio con i bisogni delle persone. Sul fronte delle prestazioni dei singoli, il passaggio richiesto alle aziende è quello dalla verifica statica e periodica dei risultati a una valutazione dinamica che guarda più al futuro che al passato, anche attraverso la pratica del feedback continuo.

Non possiamo dividere competenze ‘soft’ e ‘hard’

Oggi, dunque, non è più sostenibile separare le dimensioni di vita privata e professionale. Ne è convinto Federico Pistillo, Marketing & Communication Strategy di Grenke Italia, secondo cui non possiamo nemmeno dividere le ‘soft’ skill da quelle ‘hard’, perché le prime permettono di sviluppare le seconde e per far funzionare l’organizzazione servono entrambe.

Favorire una contaminazione tra la sfera privata e quella lavorativa, accogliendo in modo positivo la somma di transizioni di vita di ognuno, porta vantaggi a tutti gli attori coinvolti: Pistillo evidenzia come, quando una persona è più soddisfatta, è più portata a dare di più anche sul lavoro e questo fa evolvere l’organizzazione in modo più efficace.

Per realizzare tutto ciò, è necessario che l’impresa renda le proprie azioni coerenti con ciò che dichiara, attraverso il ‘buon esempio’ del management.