Oggi l’Italia è al 104esimo posto su 146 Paesi nell’indicatore di partecipazione economica e pari opportunità delle donne al mondo del lavoro (Global Gender Gap Report 2023, The World Economic Forum). Il gender gap ancora molto presente nello scenario lavorativo italiano è strettamente legato al calo delle nascite e alla disoccupazione femminile.
Nel 2022 in Italia è stato raggiunto il nuovo record minimo di nascite che conferma la contrazione della natalità in corso ormai da decenni. Inoltre, come emerso dal rapporto Le Equilibriste di Save the Children, oggi nel nostro Paese il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63% (e con due figli minori scende fino al 56%), contro il 90% di quello dei papà.
Tra gli elementi fondamentali su entrambi i fronti, gioca un ruolo decisivo la disparità di genere anche nel tempo dedicato alla cura: secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, le mamme lavoratrici dedicano in media cinque ore e cinque minuti al lavoro di cura dei figli, mentre i papà lavoratori meno della metà. Se invece prendiamo un campione che include oltre alle lavoratrici anche le donne che non lavorano, la media di ore dedicate alla cura sale drasticamente arrivando fino a 16 ore (sette per gli uomini).
Questo sbilanciamento dei carichi di cura sulle spalle delle donne, in particolare le mamme, comporta che queste ultime siano più penalizzate dal punto di vista lavorativo in termini di occupazione e di carriera. La conciliazione famiglia-lavoro è la principale causa di dimissioni delle donne: rappresenta infatti il 65,5% delle motivazioni delle dimissioni secondo il rapporto di Save The Children.
In un contesto lavorativo che vede ancora la maternità come un ostacolo, cosa possono fare le aziende per invertire la rotta e favorire la parità di genere? Quali sono gli abilitatori per una genitorialità condivisa?
Di tutto questo si è parlato nel Caring Company digital talk “La cura condivisa: la parità di genere attraverso la genitorialità” promosso da Lifeed, con le testimonianze di esperti del mondo HR, la condivisione dei dati dell’Osservatorio vita-lavoro presentati da Benedetta Di Cesare, Research & Innovation Analyst di Lifeed e la moderazione di Elisa Vimercati, Trainer & Researcher di Lifeed.
Come emerge dall’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, le aziende possono favorire una nuova cultura della genitorialità attraverso alcuni abilitatori: una cultura aziendale “caring” attenta al work-life balance dei dipendenti; la condivisione, il dialogo e il supporto tra colleghi e manager; iniziative ad hoc dedicate ai genitori. Ma contano anche l’autodeterminazione e la spinta individuale. Attraverso queste azioni, le imprese possono ottenere risultati in termini di sostenibilità umana utili ai fini degli obiettivi SDG e ESG.
I benefici riguardano anche i dipendenti genitori che, sentendosi visti e valorizzati, stanno meglio e si sentono più vicini all’azienda e più capaci. Tra i partecipanti delle aziende della community Caring Company che hanno partecipato ai percorsi Lifeed, il 66% dichiara di sentirsi meglio, il 71% ha migliorato le proprie competenze e il 77% sente maggiore vicinanza all’azienda.
Questa visione consente ai dipendenti genitori di trasferire sul lavoro le competenze allenate nelle esperienze di vita privata. Si tratta di competenze organizzative, relazionali, di gestione del cambiamento, di innovazione e di leadership sempre più richieste nel mondo del lavoro.
Ciò vale, in particolar modo, per i genitori-caregiver di bambini neurodivergenti (il cui cervello elabora, apprende e si comporta in modo diverso da quello considerato tipico). Da una ricerca congiunta dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed e del Centro Tice emerge che avere doppie responsabilità di cura permette di sviluppare anche doppie competenze.
Come spiega Francesca Cavallini, Fondatrice e Presidente di Centro Tice, essere genitori e caregiver di bambini neurodivergenti comporta un lavoro aggiuntivo ed è molto spesso una dimensione invisibile. Ciò rende il genitore doppiamente affaticato. Nella nostra cultura ciò impatta soprattutto sulle madri, sulla loro salute mentale e sulla loro carriera. Ma è proprio dalle difficoltà che emergono capacità che possono essere trasferite in altri contesti, come il lavoro, se viste e valorizzate in modo corretto.
Secondo Lucia Pellino, Diversity & Inclusion Director di Lavazza Group, il lavoro da fare è soprattutto culturale: la cultura patriarcale vede la donna come la figura più adatta ai ruoli di cura. Ciò rappresenta una barriera nel mondo del lavoro e nella società. Le aziende possono fare la loro parte in termini di sensibilizzazione e comunicazione per rompere i pregiudizi esistenti e realizzare il cambiamento culturale necessario.
Pellino sottolinea come la genitorialità condivisa sia un fattore determinante per la parità di genere e non debba essere alternativa alla carriera. Creare dei role model interni all’azienda di lavoratori e leader che sono anche padri presenti in famiglia può aiutare a superare gli stereotipi: essere bravi padri, infatti, può migliorare anche le competenze di leadership sul lavoro. Alle iniziative più ‘hard’ e concrete, dunque, le aziende devono affiancare anche iniziative culturali per creare un meccanismo virale positivo e sensibilizzare tutti sul bisogno di favorire la parità di genere.
Purtroppo gli stereotipi di genere sono ancora molto radicati nella nostra cultura e le donne stesse sono costrette a limitare le proprie prospettive di carriera. Per Chiara Brina, Responsabile Gestione Executive e Welfare di Gruppo BCC Iccrea, essere una Caring Company significa anche agire per un cambio di paradigma attraverso una leadership di cura, con l’obiettivo di aiutare le donne a colmare il divario che si crea tra le esperienze di vita e il lavoro.
Per essere sostenibile nel tempo, l’impatto delle iniziative aziendali a favore della parità di genere deve dare vantaggi sia alle persone sia all’organizzazione (per esempio in termini di benessere ed engagement). Connettere le esperienze di vita con l’esperienza professionale fa sì che le due dimensioni si alimentino a vicenda in un’ottica di sinergia positiva.
Da parte delle aziende serve quindi una forte attenzione alla diversità (cioè le caratteristiche uniche di ognuno) e all’inclusione (la scelta dell’azienda di accogliere quelle diversità). Così sarà possibile valorizzare tutti i talenti delle persone, creando in ciascuno la consapevolezza delle proprie risorse e favorendo la parità di genere nel lungo periodo.
Chiesi Group è tra le prime 50 aziende farmaceutiche al mondo. Per le sue iniziative di people care è entrata a far parte di Caring Company, la community di Lifeed dedicata alle imprese capaci di valorizzare le persone e di esprimere un ruolo sociale tramite azioni concrete e misurabili.
Chiesi aveva l’esigenza di offrire servizi personalizzati ai dipendenti, in particolare i neogenitori, per migliorare il loro benessere e sviluppare le loro competenze e performance.
Con il percorso ‘Genitori che nascono’ di Lifeed, Chiesi intende sviluppare nelle persone le competenze relazionali e organizzative trasferibili dalla vita privata al lavoro.
“La genitorialità è una di quelle esperienze extra-lavorative ‘non convenzionali’ che fanno curriculum. Con Lifeed le persone hanno capito quanto sia importante trovare un’armonia nella vita, che include ovviamente anche il lavoro e prendersi il giusto tempo per sé”, spiega Arianna Conca, Global Diversity & Inclusion and Wellbeing Manager di Chiesi Group.
“Si è creato un nuovo mindset orientato a una maggiore responsabilità individuale. Se le persone stanno meglio, ne beneficia anche il business”.
Barilla – multinazionale italiana che opera nel settore alimentare – crede fermamente che diventare ed essere genitori, come tutte le transizioni di vita e in particolare quelle di caring, rappresenti un’esperienza potenziante e possa rafforzare molte human skills utili in futuro sul lavoro e viceversa.
Dopo aver condotto una serie di focus group interni, Barilla nel 2018 ha lanciato Winparenting Program con l’obiettivo di supportare i genitori e i loro manager nella transizione della genitorialità, attraverso iniziative di valorizzazione delle persone e di supporto concreto.
L’azienda ha scelto di inserire i percorsi di apprendimento di Lifeed nel 2018, dapprima per i neo-genitori e dal 2021 anche per i genitori con figli fino a 18 anni.
“Lifeed ha contribuito a innescare un fortissimo processo di consapevolezza su come fasi di vita delicate, come la genitorialità, diventino occasione di crescita e sviluppo per le nostre persone e per l’azienda”, spiega Elena Scolaro, HR Business Partner di Barilla.
Barilla ha raccontato la sua esperienza con Lifeed in occasione dell’evento 4Weeks4Inclusion attraverso la testimonianza di Valeria Icardi, Customer Team Director & D&I ERG Balance Italy Leader di Barilla. Ecco il video:
La genitorialità viene considerata spesso un’esperienza che mette a rischio l’efficacia professionale. In realtà, diventare genitori è una straordinaria occasione di crescita, anche sul lavoro. Nel rapporto quotidiano con i figli, le persone allenano skill relazionali, organizzative e dell’innovazione creando una sinergia tra vita privata e lavorativa.
Va proprio in questa direzione la strategia di EY per promuovere una nuova cultura aziendale dove la possibilità di dedicarsi alla cura di sé e dei propri figli non sia soltanto un concetto astratto, ma una realtà concreta e attuabile. Da questo spunto prende il via un duplice impegno: da una parte la trasformazione e l’ampliamento di programmi e di policy aziendali ispirate a strumenti innovativi e nuove possibilità per dipendenti e collaboratori. Dall’altra, l’introduzione di un percorso di alta formazione, realizzato in collaborazione con Lifeed, a supporto della cura dei genitori (con figli di età da 0 a 3 anni) sia come professionisti che come individui.
“Vogliamo supportare la genitorialità permettendo alle nostre persone di dedicare più tempo ai figli, mettendo a loro disposizione ambiziosi percorsi di crescita personale e professionale. Per questo abbiamo scelto un programma di eccellenza per accompagnare i neo-genitori nel loro percorso e dotarli di strumenti utili a valorizzare le competenze acquisite durante la cura della propria famiglia”, dichiara Massimo Antonelli, AD di EY in Italia e Managing Partner dell’Area Mediterranea.
L’arrivo di un figlio è un’esperienza unica a livello emotivo e psicologico che corrisponde a un cambiamento radicale e di grande crescita nella vita di ambedue i genitori. Il concetto di cura presuppone lo sviluppo e il rafforzamento di competenze relazionali, creative e organizzative che in precedenza venivano poco o per nulla sfruttate.
Problem solving, risk taking, decision making, sono solo alcune delle skills connesse alla genitorialità, ma che possono essere decisive non solo a livello personale ma anche professionale. Alla base del progetto You Care You Learn di Lifeed per EY c’è il presupposto che diventare genitore non debba essere visto come un ostacolo alla sfera professionale, ma anzi restituisca professionisti con competenze accresciute. Il percorso di alta formazione digitale mette al centro self learning e crescita personale e si basa su un approccio rivoluzionario di sinergia tra genitorialità e lavoro.
Il programma, che si fonda sulla metodologia Life Base Learning, è articolato in diversi strumenti:
– lezioni in modalità micro-learning con materiali multimediali
– moduli formativi incentrati sulle diverse competenze
– missioni real-life per confrontare quanto emerso durante il percorso con la propria realtà quotidiana
– stanze collettive per condividere e confrontare esperienze e riflessioni con gli altri genitori presenti sulla piattaforma
Grazie al percorso formativo di Lifeed possono essere allenate diverse competenze chiave nella vita professionale e personale di ciascuno di noi:
– Relazionali: empatia, ascolto, comunicazione
– Organizzative: delega, gestione del tempo e delle complessità, saper prendere decisioni
– Di innovazione: problem solving, creatività, gestione del cambiamento
You Care You Learn di Lifeed permette ai neogenitori di EY di vivere l’esperienza genitoriale e del prendersi cura, sviluppando nuove competenze e imparando il metodo per trasferirle da un ambito all’altro della vita.
Secondo la filosofia EY, essere genitore è una fondamentale esperienza di crescita personale in grado di creare valore umano per entrambi i genitori. A tale scopo l’azienda ha deciso di supportare i neo genitori sia in termini di tempo a disposizione da dedicare alla cura dei figli che di sostegno economico.
Nel primo caso, EY riconosce ai nuovi papà con figli anche adottivi ulteriori 10 giorni in aggiunta ai 10 giorni di congedo di paternità previsti per legge (per la donna tale periodo è di 5 mesi). L’obiettivo è permettere ai propri dipendenti di poter stare con la famiglia per un periodo di 20 giorni consecutivi.
La nuova policy aziendale inoltre prevede la trasformazione del bonus mamme in bonus genitori. In pratica, il rimborso economico disponibile per aiutare le neo mamme nel sostenere le spese di asili nido e baby sitter nei primi mesi dopo il rientro al lavoro, già presente nel welfare aziendale, viene esteso anche ai papà, sia dipendenti dell’azienda che liberi professionisti.
La cultura delle pari opportunità e dell’inclusione guida la corporate governance di Accenture, tra le principali società della consulenza aziendale con una presenza globale sintetizzata dai numeri: 505mila dipendenti, 6mila clienti in oltre 120 Paesi, 200 sedi e uffici operativi in 51 Paesi, 185 partner, 7.400 brevetti e richieste di brevetto in tutto il mondo. Dal 2001 è quotata alla Borsa di New York.
Accenture aveva l’obiettivo di rafforzare la costruzione di una cultura inclusiva su cui lavora da tempo affinché a tutte le sue persone siano garantite pari opportunità di avanzamento e progressione.
La genitorialità rappresenta una straordinaria occasione di crescita, secondo la visione di Accenture, per sviluppare nuove energie, competenze e abilità indispensabili anche nella vita professionale e costituisce un valore aggiunto per l’individuo, il team e tutta l’organizzazione.
Affiancata da Lifeed e attraverso il progetto Your child your master per neo-genitori, l’azienda ha quindi deciso di supportare chi vive il doppio ruolo di professionista e di genitore.
“Le soluzioni offerte da Lifeed si sono dimostrate in linea con la nostra vision che investe per migliorare il benessere e di conseguenza la produttività delle nostre persone”, spiega Accenture Italia.
Immagina di essere una torta, una bella torta di compleanno, che tutti gli invitati non vedono l’ora di fare a fette e assaggiare. Ad ogni fetta messa nel piattino corrisponde un assottigliarsi del dolce, fino a sparire del tutto. Prova ad immaginare, ora, di quante fette è composta la tua torta. Probabilmente ti visualizzerai mentre dai una fetta ai tuoi figli, una fetta alla tua compagna o al tuo compagno, una fetta ai tuoi genitori, una ai tuoi amici e ai tuoi colleghi, e poi alla fine, se rimane, una anche a te.
La metafora è semplice: più sono le persone e le attività di cui ti occupi, più piccole sono le fette di torta che puoi dare ad ognuna di queste. Ma se potessi dedicarti a una sola cosa, quanta energia potresti mettere solo di essa? Ti sembra che nella tua torta ci sia abbastanza spazio per tutto? Probabilmente no.
Ma non devi preoccuparti: abbiamo una buona notizia! L’idea di noi come delle torte è stata superata. Le ultime ricerche sociologiche hanno mostrato una storia completamente diversa, ovvero che più ruoli nella stessa persona si accumulano e più si accumulano, più si rinforzano l’un l’altro, trasferendo tra loro energie e competenze.
Pensiamo all’amore che doniamo alle persone che ci circondano: esso non è esclusivo. Siamo in grado di amare genitori, partner, figli, amici, ognuno in modo diverso, ma senza che l’affetto per l’uno diminuisca quello a disposizione per gli altri. L’amore si moltiplica, non si divide. Vale anche per le (buone) idee: se io ho due mele e ne regalo una ad un amico, ne avremo una a testa. Ma se io e il mio amico abbiamo due buone idee e ci rendiamo partecipi di esse vicendevolmente, avremo entrambi due buone idee. Ebbene, la stessa cosa vale per le competenze e l’energia: vengono moltiplicate, non divise e ci ritroviamo ad averne di più.
Le ultime ricerche sociologiche hanno mostrato che più ruoli nella stessa persona si accumulano e più si accumulano, più si rinforzano l’un l’altro, trasferendo tra loro energie e le competenze.
Cambiamo prospettiva, allora, alla visualizzazione della nostra torta. Adesso, immaginate che ogni ospite, invece di accaparrarsi una porzione, la aggiunga, fino a far diventare enorme il nostro dolce. MultiMe è un prodotto digitale che nasce proprio per scardinare lo stereotipo delle “fette di torta”, che non solo abbiamo su noi stessi ma che, spesso, anche la nostra azienda ha su di noi.
Nonostante la metafora suggestiva, MultiMe ha basi scientifiche molto solide, frutto di una ricerca multidisciplinare, che prosegue negli anni arricchendosi di nuovi contributi. Anche questa volta, partiamo da un esempio.
Marco è un pompiere, ed è anche marito e padre. Scoppia un incendio mentre è in servizio e deve accorrere. Giunto sul posto, si rende conto che il fuoco sta bruciando la una casa, in cui sono presenti due adulti e due bambini. In questa situazione, Marco si comporterà da pompiere o da padre di famiglia? Chi ha provato MultiMe, sa che la domanda è mal posta. Marco potrà unire il coraggio da pompiere all’amore del padre di famiglia, agendo con razionalità e salvando le persone dalle fiamme, come se fossero i suoi familiari, i suoi bambini. Questo perché i diversi ruoli che ricopriamo non annullano o escludono gli altri, ma si arricchiscono a vicenda.
L’esempio è volutamente estremo, ma pensiamo alle nostre vite più ordinarie. La capacità di ascolto e di mediazione che esercitiamo coi figli, o al contrario alcune competenze manageriali che esercitiamo coi colleghi, sono tutte abilità maturate tra i nostri ruoli, e che ci portiamo sempre con noi. Siamo più della somma delle nostre parti, e MultiMe ci permette di rendercene conto. MultiMe, in ultimo, permette il passaggio dal “role conflict” al “role accumulation”.
Il tool è stato realizzato da un team scientifico composto da Riccarda Zezza, dalle ricercatrici di Lifeed e dalla professoressa Maferima Touré-Tillery, ricercatrice della Kellogg School of Management della Northwestern University. Si avvale di anni di ricerca nel campo della “teoria dei ruoli”.
Come sempre, partiamo dalla definizione. Viene in nostro aiuto Roger Barker, tra i fondatori della psicologia di comunità, che spiega le teorie dei ruoli come “un gruppo di concetti, basati su ricerche socioculturali e antropologiche, che riguardano il modo in cui le persone sono influenzate nei loro comportamenti dalla varietà delle posizioni sociali che ricoprono e dalle aspettative che li accompagnano”.
La “teoria dei ruoli” comprende due linee divergenti di pensiero e ricerca, che sono quella del role conflict e quella del role facilitation. I primi studi sul role conflict risalgono agli anni Sessanta, ad opera di William Goode. Egli elaborò la teoria del role strain, sostenendo che ricoprire diversi ruoli sociali è impegnativo, in quanto richiede risorse di tempo ed energia conflittuali tra loro, che causano, quindi, un forte disagio. Poi, gli studi successivi si sono concentrati sull’impatto positivo del ricoprire contemporaneamente più ruoli. In particolare, Sieber e Marks, negli anni Settanta, hanno dato risalto al fatto che rivestire più ruoli produce un maggiore benessere, perché i benefici associati all’accumulo di ruoli, generalmente, superano lo stress correlato al ruolo.
L’interesse per gli effetti delle interazioni tra ruoli diversi è aumentato negli ultimi decenni, poiché la partecipazione femminile al mercato del lavoro è aumentata e le donne hanno raggiunto livelli più alti nella gerarchia aziendale, aumentando le loro responsabilità all’interno delle organizzazioni. Inizialmente, gli studi organizzativi si sono concentrati sull’aspetto conflittuale del rapporto lavoro-famiglia, suggerendo che le donne che cercavano di conciliare famiglia e carriera soffrissero di stress psicologico e fisico. Tuttavia, nei primi anni Duemila comparvero studi (es. Ruderman, 2002) che evidenziavano i benefici a livello di competenze, ma anche psicologici, del “multitasking”.
Sieber e Marks, negli anni Settanta, hanno dato risalto al fatto che rivestire più ruoli produce un maggiore benessere, perché i benefici associati all’accumulo di ruoli, generalmente, superano lo stress correlato al ruolo.
Di fronte ad evidenze qualitative e quantitative, la ricerca di Lifeed ha approfondito questi aspetti di “role accumulation”, volti a raggiungere non tanto la conciliazione o l’equilibrio tra i ruoli, quanto una reale sinergia tra le diverse aree che interessano le nostre vite. Le risorse che abbiamo in noi “traboccano” tra i diversi ruoli, ma solo se riconosciamo la sinergia tra le parti della nostra vita e, tenendole insieme, le rafforziamo reciprocamente.
La teoria della role accumulation afferma che l’intera persona è più della somma delle parti che la compongono: ricoprire alcuni ruoli può generare risorse da utilizzare in altri. Il metodo Lifeed stimola, rende le persone consapevoli e innesca questo spillover positivo (“overflow positivo”), da un ruolo all’altro della vita. Lifeed migliora il potenziale educativo delle transizioni (come la genitorialità, la cura di un proprio caro, una crisi…), trasformando queste fasi di vita in uno strumento di sviluppo professionale.
Nasce così il concetto di transilienza, una combinazione di due parole: transizione e resilienza (Vitullo, Zezza, 2014). La transilienza è una meta-competenza (cioè una competenza delle competenze) che viene esercitata quando le abilità, le energie, le risorse emotive fluiscono da un ruolo all’altro. Per attivare la transilienza, l’individuo deve essere consapevole di essere una torta che cresce sempre e non si assottiglia.
Il metodo Lifeed usato nei nostri master si arricchisce oggi, dicevamo, di un nuovo strumento. MultiMe è un tool interattivo che aiuta a vedersi e farsi vedere come quella torta di compleanno su cui tutti gli invitati aggiungono una fetta, invece che sottrarla.
Nel semplice esercizio proposto da MultiMe, che si può ripetere all’inizio e alla fine dei nostri master, dopo aver individuato i singoli ruoli che ricopriamo ci viene chiesto di associare ad ognuno tre o più qualità. Al termine, scopriremo che alcuni ruoli hanno in comune molti aggettivi: si sovrappongono su diversi punti. I livelli di coesione e coerenza tra le parti aumentano.
Un più alto indice di “self overlap” implica anche un maggiore coordinamento etico, come ha dimostrato la professoressa Maferima Touré-Tillery nelle sue ricerche. Più i ruoli si sovrappongono, più la persona tende a comportarsi in modo etico, a non percepirsi divisi in compartimenti stagni. Pensiamo alla ricaduta che ciò può avere su un professionista che ha grandi responsabilità decisionali in azienda: più è coerente nella definizione di sé e dei propri ruoli, più sarà propenso ad assumersi responsabilità nell’ottica del bene comune.
Più i ruoli si sovrappongono, più la persona tende a comportarsi in modo etico, come ha dimostrato la professoressa Tillery della Kellogg School of Management della Northwestern University.
MultiMe è in grado di misurare quantitativamente e qualitativamente il “self overlap” e la ricchezza che porta con sé. Rende possibile mappare i risultati ottenuti dai partecipanti, come dato aggregato, valutando dunque in maniera oggettiva l’impatto del master. Scopriamo così che lo sguardo può andare oltre la superficie di fatica, di tempo limitato che percepiamo dei nostri ruoli, riconoscendone invece l’arricchimento.
I numeri ci danno ragione: 8.3 partecipanti su 10 suggerirebbero ad un amico di provare il nostro metodo. Il prossimo autunno avremo a disposizione i dati di impatto preliminari: saremo in grado di valutare, numeri alla mano, l’evoluzione delle nostre… torte di compleanno. E le torte di compleanno, lo sappiamo tutti, devono essere belle grandi!
di Riccarda Zezza
Sensibili guerriere: sono le mamme che in questi giorni si stanno trovando davanti all’impossibile scelta tra figli e lavoro, pagando in prima persona il prezzo di una società che ancora poggia, per mantenere il proprio precario equilibrio, sulla loro resistenza e il loro spirito di sacrificio. E’ proprio così: oggi più che mai è alle madri che si chiede di fare un passo indietro, ed è alla loro forza accudente e resiliente che si chiede di sostenere quella parte di Italia che forse non vota, ma dà un volto al nostro futuro: i figli.
Sensibili guerriere è il titolo di un saggio sulla forza femminile a cura di Federica Giardini, ed è anche il titolo preso in prestito dalla conferenza digitale organizzata il 7 maggio da Alley Oop – Il Sole 24 Ore e dalla società HR-tech Life Based Value di cui sono amministratrice delegata: mantenendo una promessa fatta durante una conferenza analoga organizzata con sette “CEO papà” in occasione della Festa del papà, eccoci a festeggiare la Festa della mamma del prossimo 10 maggio insieme a sei “CEO mamme”.
Le CEO mamme, questa era la provocazione lanciata dalla conferenza, combattono forse un doppio stigma: troppo CEO a casa e troppo mamme sul lavoro? La storia che ci hanno raccontato è stata molto più luminosa, tanto che non pochi dei 500 partecipanti hanno commentato ringraziando per aver aperto la loro giornata in modo positivo.
Video dell’intero live streaming della conference
Ma partiamo dai dati: sulla base un sondaggio tra 1.500 partecipanti ai webinar di Life Based Value, sappiamo che il 63% delle persone oggi ha bisogno di rassicurazioni sul futuro e che il 44,5% vuole anche essere coinvolto di più nella definizione delle soluzioni. Il modello di potere desiderato è un misto di collaborazione (26%), conoscenza (26%), rispetto (17%) ed empatia (13,5%), e dai manager della fase 2 ci si attende che sappiano soprattutto condividere (70%) e ascoltare (68%), ma anche, forse sorprendentemente, che sappiano prendersi dei rischi (60%).
Quasi l’unanimità dei partecipanti (l’89,8%) ritiene poi che in questi tempi di emergenza sia possibile e necessario usare un potere di tipo “generativo”: un potere che sappia disegnare oggi il futuro, seminando idee e progetti che gli sopravvivranno.
Che cosa c’entra la maternità? Molto, anche se, come ha detto lo psicanalista Erikson nel descrivere la generatività: “La semplice messa al mondo di figli non garantisce che il genitore svilupperà un senso di generatività. I prerequisiti per lo sviluppo in questo stadio sono fede nel futuro, fiducia nella specie e abilità a occuparsi degli altri. Invece che allevare figli, si può lavorare allo stesso modo per creare un mondo migliore per i bambini degli altri”. Ecco quindi cinque pillole di potere generativo emerse nella conferenza del 7 maggio:
Livia Cevolini, amministratrice delegata di Energica Spa, casa costruttrice di moto elettriche ad elevate prestazioni, e mamma di una bimba di due anni: diventare madre le ha dato un nuovo scopo, tanto che adesso punta tutto sull’energia verde “Perché voglio far sì che lei viva in un mondo migliore”. Oltre a ricevere un’energia meravigliosa da questa nuova dimensione personale, ritiene che migliori la sua capacità di comprensione degli altri e di valorizzazione dei talenti.
Isabella Fumagalli, amministratrice delegata di BNP Paribas Cardif, diventando mamma di due ragazze ha “ingranato una marcia in più”, sentendo la responsabilità di disegnare un futuro per le sue figlie; e dalle conversazioni con loro, dalle loro “domande autentiche” ha imparato che cosa vuol dire la faticosa ma essenziale ricerca di un senso di verità. In questa fase di quarantena, poi, Isabella sta scoprendo che anche le persone della sua azienda sono molto più che professionisti: ognuno e ognuna di loro ha molteplici dimensioni, che aprono prospettive nuove anche sul modo di lavorare insieme, sulle possibilità di vicinanza tra persone e azienda (mentre non sta parlando ma è comunque inquadrata, Isabella viene abbracciata e baciata da una figlia di passaggio).
Roberta La Selva, CEO di Ogilvy Italia, diventando mamma di Michele e Arianna ha scoperto come ri-bilanciare tutto con la leggerezza che avere molti “campi da gioco” dà, redistribuendo i pesi e imparando mentre insegna, affinando l’empatia e soprattutto l’agilità mentale richiesta dal continuo adattamento a situazioni nuove, “Come per esempio fare conferenze come questa dal balcone di casa, visto che tutte le altre stanze sono occupate!”.
Elena Riva, co-proprietaria e Presidente di Panino Giusto SpA, ha tre figli insieme al loro papà, con cui è anche socia in affari, e questo “insieme ” ci tiene a sottolinearlo, perché l’azienda è un quarto figlio che da sola non avrebbe mai potuto fare. Con i tre figli – e con i 450 dipendenti della sua azienda – ha scoperto il valore della diversità come effetto moltiplicatore. Come leader e come madre, riconosce nei propri figli così come nei propri dipendenti il senso di indipendenza, che la porta a definirsi una “custode”: una custode molto paziente, che semina, insiste e persevera con fiducia, sapendo che il momento del raccolto arriverà.
Susanna Zucchelli, infine, Direttrice Generale di Heratech, non abbiamo scoperto quanti figli abbia, ma ha ben chiaro che la maternità le ha fatto portare anche nel suo ruolo di leader di un’azienda molto “hard” (ha la responsabilità della Direzione Ingegneria, delle strutture di Telecontrollo e Laboratori e della gestione dei processi e servizi) un atteggiamento materno e “avvolgente”, che sa far emergere una “bio-resilienza” nelle sue persone particolarmente utile in questa fase. Avere dei figli, aggiunge, le ha dato una visione a lungo termine e la capacità di chiedere aiuto quando serve. “E, se non te lo danno, alla fine li obblighi!” ha concluso con quel senso pratico e terrestre che hanno le persone che gestiscono tutti i giorni le sfide concrete della vita.
Auguri dunque alle sensibili guerriere: a tutte le donne che lavorano e si prendono cura di qualcuno. Fortunate se trovano la sinergia tra questi equilibrismi, avvantaggiate se lasciano per strada i sensi di colpa e di inadeguatezza che la nostra società elargisce loro in abbondanza, sono comunque sempre capaci di esprimere un potere che è fatto di forza ma, come ha detto la prima ministra neo zelandese Jacinta Ardern, anche di gentilezza e di capacità di stare insieme.
Post originariamente pubblicato su Alley Oop Blog de Il Sole 24Ore
Abbiamo messo insieme 7 key opinion leader, uomini, padri e capi di grandi aziende. Li abbiamo fatti parlare per più di 1 ora in live streaming, direttamente dai salotti delle loro abitazioni, e ci hanno spiegato, con grande trasparenza e umanità, come l’esperienza della paternità abbia influito sul loro modo di agire la leadership. E abbiamo scoperto che proprio i loro figli, 19 in tutto, sono stati la migliore palestra di competenze professionali. Ecco cosa ci hanno detto.
Video dell’intero live streaming
“Il mio modo di lavorare è cambiato da quando sono padre. Con i figli riscopriamo alcuni valori, come la responsabilità sociale, la sostenibilità verso le nuove generazioni. La situazione che tutti noi stiamo vivendo oggi, a causa del coronavirus, ci fa capire che questi stessi valori vanno riportati nelle aziende, affinché si crei nel medio lungo termine un’osmosi con i valori materiali, quelli tipici di un bilancio aziendale, rendendoli degli elementi strategici per le stesse aziende.
Nelle aziende il clima è fondamentale, devi fare in modo che i collaboratori stiano bene, partecipino, va cercata l’armonia e lo devi fare con pazienza, convincimento. Proprio come con i figli. Siamo tutti padri e madri ma quando entriamo in azienda sembriamo dimenticarcelo. Eppure se cominciassimo ad agire gli stessi comportamenti virtuosi, anche gli altri colleghi cominceranno a farlo”.
“La paternità mi ha insegnato almeno 3 cose importanti.
La prima: ho 3 figli e proprio da loro ho scoperto che sul lavoro, così come in famiglia, non ci sono ricette standard, servono approcci diversi in base a carattere, età. Lo stesso vale con i dipendenti, capita spesso che in azienda utilizziamo approcci standardizzati.
La seconda (suggerita da mia moglie!): la paternità fa bene al CEO perchè tiene a bada il suo ego, mantiene i piedi per terra, lo costringe a bagni di realtà quotidiana. Ho imparato, ad esempio, che con i miei figli ho solo 5 secondi per catturare la loro attenzione, prima che gli sguardi ritornino a fissare lo schermo di un telefono. In famiglia i ruoli si conquistano e cambiano ogni giorno con la crescita di tutti.
Infine: la situazione che stiamo vivendo dovuta all’emergenza coronavirus mi ha fatto capire che bisogna avere fiducia gli uni degli altri, i figli cercano rassicurazioni per evitare lo smarrimento, così come i collaboratori”.
“Faccio una prima distinzione: i figli sono per sempre, mentre i lavori cambiano. Superata la soglia dei 1.000 pannolini cambiati, ho capito che il lavoro non doveva più essere la scusa per spendermi poco nel mio nuovo ruolo famigliare, allora ho deciso di ridimensionare il mio tempo, ricalibrare sforzi ed energie. Ho smesso, ad esempio, di lavorare nei weekend, imparando a prioritizzare di più. E questa consapevolezza è stata per me un grande elemento di crescita.
Un’altra riflessione nella correlazione tra dimensione parentale e professionale è la ricerca di linee guida per la leadership che nel mio team sono: dare la direzione per creare un’unità d’intenti, saper incanalare l’energia per essere efficaci, celebrare successi e fallimenti. Sono tre elementi che ritrovo anche nella genitorialità.
Insomma, i parallelismi sono tanti. Con una differenza, però: il leader è solo, il modello di leadership aziendale classico lavora al singolare. In famiglia si è in due: questa dualità è estremamente proficua e importante, e andrebbe portata anche in azienda”.
“Sono un papà di lunga data, ho avuto il primo figlio a 26 anni. Il fatto di essere diventato padre molto prima di aver ricoperto i primi ruoli di responsabilità sul lavoro ha avuto un forte impatto nel mio modo di vivere l’azienda. Con la prima figlia ci sono stati problemi di ospedalizzazione e dopo di lei avevamo fatto fatica ad averne altri: queste vicende mi hanno insegnato che non si può avere tutto sotto controllo, neanche sul lavoro, ci sarà sempre l’imprevisto. Mi hanno insegnato che nella vita devi fare tutto il possibile come se tutto dipendesse da te, ma sapendo che l’esito non lo determini tu.
Un altro aspetto della paternità riguarda il tema della libertà, lo chiamo “freedom management”, stimolare la libertà altrui porta a risultati molto superiori. È evidente con i figli, ma anche in azienda: come CEO penso che saremo ricordati per ciò che di più grande lasceremo in azienda, non per i margini più o meno alti”.
“Essere padre è una scelta, e non sempre facile. Diventare padre mi ha esposto a delle esperienze che hanno notevolmente cambiato il mio modo di essere. Io sono un manager con un background tecnico e poco umanistico, ed entrare in contatto con il carico di emotività di un bambino è stato un impatto immenso. Mi ha portato, ad esempio, ottimismo, fiducia nel futuro – che serve tantissimo soprattutto in azienda dove c’è molta incertezza.
Quando arrivano i figli ti sbattono in faccia la loro emotività, la loro ingenuità e questo ti cambia tutto: il feedback diretto alla Jobs, non funziona nè con loro nè con i collaboratori, nei quali vedo gli stessi occhi. Se sbaglio oggi chiedo più scusa di un tempo.
Anche alzare continuamente l’asticella non funziona: quando insegni a tuo figlio a tuffarti, viene automatico continuare a correggerlo per perfezionismo, ma lui probabilmente perderà a un certo punto entusiasmo. In azienda funziona allo stesso modo, servono obiettivi raggiungibili e motivanti, ma anche una diversa cultura dell’errore”.
“C’è un’altissima contaminazione tra essere leader e genitore, imparo tutti i giorni da questi due ruoli: ho imparato a sfruttare meglio il tempo, spesso poco per la famiglia, oppure mantenere maggiore distacco rispetto ai problemi e sviluppare empatia, mettendosi nei panni dell’altro. Non esiste palestra migliore per l’intelligenza emotiva della paternità!
In questi anni poi ho sviluppato anche la capacità di pensiero laterale: evitare quindi di guardare solo al rapporto causa-effetto ma spostare il punto di osservazione dal problema alla soluzione, come quando un figlio ha una difficoltà con una data materia scolastica.
Infine, c’è il tema dell’apprendimento continuo, che vale per vita privata e professionale”.
“Il mio ruolo da padre è arrivato dopo quello da General Manager, ma mi ha insegnato veramente molte cose. Innanzitutto ho scoperto che il più bravo negoziatore al mondo è un bambino di 5 anni: continuerà a chiedere una cosa fino allo sfinimento finché non l’avrà ottenuta. Da ciò ho appreso che spesso bisogna passare dal comandare al negoziare.
Ho dovuto imparare a dire tantissimi sì anziché tantissimi no, anche quando sono stanco e non vorrei giocare per la milionesima volta a quel gioco, ma ci si rende conto che la singola occasione di quel momento non tornerà.
Ho imparato a passare dal dare la regola al dare l’esempio, che è la cosa che ci rende più credibili sia a casa che sul lavoro. In ultimo, ma non per importanza, il tema della delega: se continuiamo a fare le cose al posto dei nostri figli anziché insegnargliele, proprio come i nostri dipendenti, non impareranno mai”.
“Dopo 8 anni di applicazione della policy che supporta la genitorialità il 100%, delle mamme di Danone rientrano in azienda e sul totale delle promozioni il 40% è rappresentato da donne rientrate dal congedo maternità. Senza contare il tasso di natalità, pari al 7%, 11 punti percentuali sopra la media nazionale (che si attesta al -4%)”. Sono queste le parole di Sonia Malaspina, HR director South Europe Danone Specialized Nutrition per spiegare gli impatti di una parental policy avviata nel 2011 e che, dal 2017 ha visto l’introduzione del master LBV per future mamme, neo-mamme e neo-papà con bambini fino a 3 anni.
“Grazie al master per i neo-genitori abbiamo avuto degli accrescimenti davvero interessanti e soprattutto misurabili. Sono migliorate l’abilità di lavorare per priorità (+35%), di prendere decisioni (+15%), di delegare (+35%) e di gestire la complessità (+10%) ma anche l’empatia (+35%) e l’agilità mentale (+20%)” – continua Sonia Malaspina.
Forte di questi numeri e di questa esperienza che ha permesso di scoprire come la fase dell’accudimento possa migliorare anche le capacità manageriali, Danone ha quindi deciso di rivolgere l’attenzione anche verso un altro tipo di cura: quello dei caregiver, che si prendono cura di genitori anziani o di parenti con disabilità e malattia.