Prendersi cura: una palestra di soft skill

Le attività di cura familiare sostituiscono la formazione in aula per lo sviluppo di soft skill

Quando il futuro è in continua evoluzione e cresce la complessità, le persone devono sapersi adattare ai cambiamenti, reinventandosi continuamente e acquisendo le giuste attitudini per reagire a situazioni di stress e a scenari in rapida trasformazione.

Nelle aziende è alla funzione HR che viene assegnato il compito di accompagnare le persone verso i nuovi scenari, supportando lo sviluppo di adeguate competenze. Un modo efficace per farlo è strutturare percorsi che si inseriscono in maniera pertinente nelle reali esperienze di vita che le persone stanno attraversando in quel momento: questo le motiva maggiormente, perché sentono che la loro azienda sta offrendo un percorso formativo la cui utilità è reale e immediata.

Secondo una recente ricerca di Harvard Business University “The Caring Company”, nelle aziende 7 dipendenti su 10 sono ‘caregiver’, cioè si prendono regolarmente cura di qualcuno – i figli, i propri genitori, amici, compagni, o svolgono attività di volontariato.

Essere caregiver significa sperimentare sul campo, nella vita di ogni giorno, un enorme laboratorio di soft skill: per esempio una maggiore capacità di problem solving, una maggiore assertività, una maggiore capacità di organizzare i tempi o di reperire risorse, agilità mentale e velocità di giudizio, ma anche empatia, creazione di relazioni positive. Suona familiare? Certo! Si tratta delle stesse competenze soft che le aziende si aspettano di trovare nei propri dipendenti di talento e per le quali si spende più di 1 milione di euro l’anno solo in Italia per formarle in aula. Ma siamo sicuri che queste competenze possono essere apprese in un corso?

La ricerca “Family Caregiving Skill: Development of the Concept”, ad esempio, elaborata da un gruppo di ricercatori della University of Pennsylvania School of Nursing, individua addirittura 63 skill che vengono sviluppate grazie alle attività di cura familiare, e che si ricollegano ai 9 processi della cura:

  1. Osservazione
  2. Interpretazione
  3. Prendere decisioni
  4. Passare all’azione
  5. Individuare innovazioni e migliorie
  6. Attività pratiche legate alla cura
  7. Accedere alle risorse
  8. Interagire con il malato
  9. Negoziare con l’ambiente esterno

Ciò significa, ad esempio che cogliere i primi segnali di cambiamento nel corpo o nel comportamento di un proprio caro anziano o malato si traduce nella capacità di osservazione. Pensare alle possibili conseguenze di una terapia, considerando il malato nella sua interezza, è un efficace esercizio di decision making. Individuare modalità per convincere l’anziano a rispondere in un certo modo a uno stimolo o a una richiesta, significa entrare in empatia. E così via. Lo studio, inoltre, evidenzia che le stesse competenze che il lavoratore mette efficacemente in pratica nei contesti professionali o in altri ambiti della vita, rendono le attività di cura più incisive.

Quali sono alcune delle soft skill allenate dalla cura?

  • Autonomia. È la capacità di svolgere compiti rilevanti, senza il bisogno di una costante supervisione, facendo ricorso alle proprie risorse.
  • Flessibilità. Significa sapersi adattare a contesti mutevoli, essere aperti alle novità e disponibili a collaborare con persone che hanno punti di vista anche diversi dal proprio.
  • Resistenza allo stress. È la capacità di reagire positivamente alla pressione mantenendo il controllo, rimanendo focalizzati sulle priorità e senza trasferire su altri le proprie eventuali tensioni.
  • Capacità di pianificare e organizzare. È la capacità di realizzare idee, identificando obiettivi e priorità e, tenendo conto del tempo a disposizione, pianificarne il processo, organizzandone le risorse.
  • Capacità comunicativa. È la capacità di trasmettere e condividere in modo chiaro e sintetico idee ed informazioni con tutti i propri interlocutori, di ascoltarli e di confrontarsi con loro efficacemente.
  • Problem Solving. È un approccio che, identificandone le priorità e le criticità, permette di individuare le possibili migliori soluzioni ai problemi.

Un’offerta tra benessere e formazione per valorizzare i caregiver in azienda

Di fronte alla crescita dei caregiver lavoratori, le aziende stanno già attivando servizi di welfare volti a risolvere alcune necessità pratiche (come l’assistenza al malato o all’anziano, il supporto nel reperimento di informazioni e/o nella redazione delle pratiche burocratiche). L’attenzione, in questi casi, risulta spostata completamente sul “care taker”, ovvero chi su ricevere le cure – il malato, l’anziano, il disabile.

Eppure, considerando che le responsabilità di cura aumenteranno sempre di più (tra le cause: l’aumento dell’età media della popolazione), coinvolgendo le persone nel loro tempo extra-lavoro, e che la cura di un proprio caro rientra nelle transizioni della vita più intense in grado di generare sviluppo personale, le aziende non possono permettersi di ignorare questa dimensione, ma anzi, accogliendola, possono trarne importanti vantaggi.

Valorizzare i talenti, aumentare l’ingaggio, migliorare la retention, si generano anche abbattendo i confini tra i vari ambiti e ruoli della vita e consentendo alle persone di dimostrare e di portare tutto di sé anche sul lavoro. Riconoscere i momenti di cura come momenti di crescita e non di depotenziamento della capacità lavorativa, valorizzando anche le competenze che questa esperienza è in grado di allenare, consente alle persone di viverli con minore stress e, addirittura, di provare un senso di benessere. Più le aziende riescono a vedere in maniera strategica queste dimensioni umane, a metterle insieme e a dare una risposta sinergica ai vari fattori, più aumenta la competitività e migliorano i risultati.