La pandemia ha innescato una vera e propria rivoluzione nel sistema-lavoro, scardinando certezze manageriali sedimentate nel corso degli anni. Sono emerse così necessità nuove per i leader di oggi: come gestire questa transizione salvaguardando il business e senza tralasciare, allo stesso tempo, le esigenze delle persone?

A questa e ad altre domande si è cercato di trovare risposte attraverso la tavola rotonda La nuova flessibilità e le ricadute sulla leadership. Come guidare il team in una fase di incertezza e quali priorità per agire il cambiamento? organizzata da HRC, a cui hanno partecipato manager e direttori HR di diverse aziende.

Dopo l’arrivo della pandemia, le aziende si sono ritrovate a vivere un cambiamento forzato nei modi di lavorare e a cercare risposte senza seguire schemi prestabiliti. In questo contesto, secondo quanto emerso dall’osservatorio di Lifeed, i dipendenti hanno sviluppato caratteristiche come autoconsapevolezza, problem solving e altre competenze che riguardavano loro stesse, singolarmente, mentre sono calate le competenze legate al lavoro con gli altri. “All’opposto, però, abbiamo visto che collaborazione, supporto verso gli altri e delega sono le competenze più sviluppate nella vita privata”, spiega Emanuela Vignotti, Chief Revenue Officer di Lifeed. “Questo perché le transizioni di vita, compresa la pandemia, sono protagoniste dello sviluppo delle competenze”.

Lo sforzo più grande che dovrà affrontare il leader del futuro sarà quello di “essere flessibile e continuare a far lavorare in maniera produttiva le persone con modalità diverse, puntando proprio sulle competenze soft sviluppate nella vita privata”. Non bisogna infatti dimenticare che il fulcro dell’azienda è sempre la persona: conoscere i dipendenti a 360 gradi e valorizzarne le competenze è la chiave per raggiungere gli obiettivi aziendali nella ‘nuova normalità’.

Dal controllo alla fiducia

Un ruolo delicato, quello del leader, soprattutto in questo momento storico. “Empatia, necessità di ascoltare e di costruire rapporti sempre di più basati sulla fiducia, che va oltre la dimensione del controllo” sono le priorità secondo Francesca Fraulini di The Kraft Heinz Company. Quali sono, dunque, le caratteristiche del leader del futuro? La chiave, per Fraulini, è saper ispirare il proprio team e creare connessioni con l’esterno.

Gli HR manager si sono ritrovati ad affrontare una situazione inaspettata a causa della pandemia. La percezione della necessità di come agire sul cambiamento in atto, supportato da un sistema di valori e di cultura aziendale, sono gli spunti offerti da Gianpaolo Corti di The Kraft Heinz Company, che ribadisce come sia “necessario un sistema di soft skills veicolato attraverso network informali per cambiare l’approccio ‘command & control’, con cui spesso le aziende guidano il loro modo di lavorare e che oggi non è il modello più adatto”.

Un cambiamento che deve essere congruente con la propria identità aziendale, secondo Antonio Guarrera di Aboca, che sottolinea come il leader del futuro debba avere tre caratteristiche: competenza (essere tecnicamente preparato), virtù (essere un buon esempio), sollecitudine, ovvero essere al servizio degli altri “perché l’azienda è come un organismo vivente e in quanto tale la fiducia è fondamentale”.

Una leadership accogliente

Per Stefania Capelli di Cisco il momento che stiamo vivendo, seppur faticoso, è ricco di opportunità per “riportare in una nuova dimensione la cultura manageriale”. Nuove dimensioni che spingono Capelli a ragionare sul futuro come ‘open source’ in cui il vero leader punterà sull’inclusione per il raggiungimento degli obiettivi, lasciando spazio ad inventiva e iniziativa personale, perché “la carta vincente è la fiducia che si dà”.

Flessibilità e fiducia, concetti alla base di una nuova leadership e di un contesto in cui, secondo Fabio Comba di KPMG, “il network è un punto cardine per un team leader e bisogna creare le condizioni performative anche con il divertimento, perché ogni investimento sul benessere organizzativo è una ricaduta sulla soddisfazione del cliente”.

Dunque una leadership energica e accogliente, non solo per produrre migliori performance, ma anche per far sentire tutti “parte del team, indipendentemente da dove scelgano di lavorare”, sottolinea Massimiliano Sacco di Electronic Arts. Sacco pone l’accento sulla necessità di trovare un equilibrio in una fase ibrida in cui alcuni processi lavorativi, come quelli creativi, necessitano di una presenza e non possono svolgersi da remoto. Il leader dovrà calibrare bene queste fasi per valorizzare e rinforzare il team per centrare gli obiettivi.

Le relazioni contano sempre di più

Ugo Venier di Snam pone l’accento sulla necessità di creare consapevolezza nei leader su come gestire il team e sulla capacità di ascolto “fondamentale per una leadership in un contesto più incerto, perché se si ascoltano le persone e si capiscono le loro esigenze, si riesce ad essere più efficaci”.

La leadership è stata messa alla prova da un evento inaspettato come la pandemia, da cui però nascono nuove opportunità di cambiamento e di equilibrio vita-lavoro, tassello imprescindibile nella vita delle persone. Lo evidenzia Monica Chiari di Cameo che delinea come la leadership futura si “esplica dentro il cambiamento. Al leader stanno a cuore più le relazioni piuttosto che le performance, la sua è una leadership che mostra la direzione e non è più controllante, nell’indicare la rotta si fa diffusore di fiducia”.

Una leadership della trasformazione per Maurizio Audizi di Ania, che include una ridefinizione dei valori che rispondono a nuovi bisogni “perché il contesto ci ha portato a dare più rilevanza a cose che prima erano meno rilevanti”.

Tante le parole chiave emerse, una tra tutte quella della fiducia, che torna come un mantra per il leader del futuro. Fiducia prima di tutto nei componenti del proprio team, nei valori dell’azienda e nel desiderio di costruire una leadership nuova per un futuro migliore.

Dopo l’arrivo della pandemia, nelle aziende si è parlato sempre più spesso di cambiamento nei modi di lavorare, comunicare e collaborare. Questa trasformazione coinvolge direttamente la funzione HR, chiamata ad ascoltare le persone in modo nuovo, di guidare i capi e di rendere più responsabili tutti i collaboratori (non solo i manager) nell’ambito di una transizione epocale.

Questa fase storica può essere il momento giusto per ‘fare la rivoluzione’ nella gestione delle persone nella nuova normalità. Ma il compito non è facile, perché il ‘sistema’ tende a resistere al cambiamento tornando al passato che già conosce (con una sorta di effetto-elastico) e il rischio è di non far evolvere realmente la gestione delle persone. Per questo motivo, “quella dell’HR è una funzione eroica”, ha spiegato Riccarda Zezza CEO di Lifeed nel corso dell’incontro dal titolo Abbiamo veramente cambiato il modo di fare HR? organizzato da HRC.

Nelle transizioni identitarie per le persone e le società (come la pandemia) l’ascolto non può essere parziale, perché in questo modo si riducono le risorse a disposizione. Servono invece diversi strumenti di ascolto, soprattutto digitali, che permettono di allargare le mappe. In questo senso, le domande aperte sono un elemento molto potente per ridefinire le cornici e scardinare vecchi stereotipi, perché hanno la potenza di autorizzare le persone a raccontare le loro dimensioni identitarie.

E gli HR manager? Possono far diventare questa complessità un’opportunità, attraverso l’uso dell’Intelligenza Artificiale che trasforma le informazioni a loro disposizione in dati azionabili a beneficio delle loro imprese.

Un’occasione per nuovi modelli di leadership

La funzione HR è cambiata in tutti i suoi processi, come hanno testimoniato Donatella De Vita, Global Head of Development, Learning, Engagement and Welfare di Pirelli e Miriam Spezzacatena, HR Business Partner di Pirelli. Con la pandemia, sono venute meno alcune dimensioni come il contatto visivo con gli spazi aziendali, ma dall’altro lato sono stati abbattuti i confini geografici ed è possibile acquisire competenze in tutto il mondo. “In questo cambiamento ci sono tante opportunità da cogliere e, nel complesso, abbiamo imparato a valorizzare di più le persone”.

A cambiare è stato anche il modo di fare il leader: per Annalisa Sala, Global Chief People Officer di Arcese, “i modelli di leadership tradizionali sono stati messi in discussione, abbiamo bisogno di leader con un nuovo mindset e diverse capacità di guidare le persone”, di conseguenza anche la funzione HR deve cambiare se stessa ed è chiamata a “guidare questo processo con iniziative che puntino alla formazione dei leader, al dialogo, all’ingaggio e all’interazione con le persone”.

Il mondo intorno a noi che è cambiato, ma ora l’HR ha un’occasione straordinaria di “uscire dalla ‘periferia’, di diventare fondamentale e di essere ‘un Napoleone’ al centro della scena”, sostiene Graziano Marcuccio, Chief HR Officer di De Nora, secondo cui “dal punto di vista professionale questa è la nostra Rivoluzione Francese”.

Una responsabilità più diffusa

Rispetto al passato, oggi l’HR ha un posto ai tavoli aziendali più importanti. Per Mauro Ghilardi, Direttore People & Transformation di A2A, è l’occasione di puntare sul “coinvolgimento di capi, sindacati e persone nel design del future work e sulla capacità di ascoltare grazie all’uso di strumenti digitali. Bisognerà anche trovare un valore per andare fisicamente in ufficio”. E soprattutto “sarà importante trattare tutti come adulti, non considerare l’azienda come una ‘mamma’, ma piuttosto come un club dove ognuno decide se partecipare”.

Fabrizio Tripodi, Regional HR Director, Emerging Markets Division-Europe & IMEA di Brown-Forman evidenzia come nel periodo della pandemia “siamo stati più agili nel prendere decisioni, anche più vulnerabili, ma più autentici” e sottolinea l’importanza dei concetti di care e active listening nei confronti delle persone. “Abbiamo imparato a sfruttare meglio il tempo per essere più produttivi e per dedicarci anche ai nostri affetti”.

Le organizzazioni sono diventati più flessibili, veloci e focalizzate sull’essenziale, più aperte alla sperimentazione e all’ascolto: “Si è aperta una finestra emotiva che coinvolge anche la funzione HR”, afferma Marina Capizzi, Co-founder di Primate. “Il purpose dell’HR può evolvere verso nuovi modelli di leadership con un allargamento delle autonomie, maggiore diffusione delle responsabilità, in modo sostenibile, facendo saltare le gerarchie che non funzionavano più”.

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Lunedì 24 maggio 2021 – LA NUOVA FLESSIBILITÀ E LE RICADUTE SULLA LEADERSHIP. COME GUIDARE IL TEAM IN UNA FASE DI INCERTEZZA E QUALI PRIORITÀ PER AGIRE IL CAMBIAMENTO?

Martedì 22 giugno 2021 –
 INCLUSIONE: VERSO UNA CULTURA DELL’APPARTENENZA

Ripensare, ridisegnare, trasformare: sono alcune delle parole chiave del percorso delle aziende verso il cosiddetto new normal post pandemia. In questo scenario, le competenze richieste dal mercato sono in continua evoluzione e la Direzione HR gioca un ruolo determinante per valorizzare il potenziale delle persone.

Oggi qualunque planning rischia di diventare obsoleto in poco tempo. Le competenze trasversali, legate alla capacità di apprendere e di pensare, sono le uniche su cui è possibile pianificare e servono in tutte le professioni, anche quelle tecniche. Ma la capacità di sapere quali competenze saranno utili in futuro non può essere attribuita solo in direzione top-down: è invece possibile utilizzare l’intelligenza collettiva, perché le persone stesse possono scoprire le proprie attitudini.

L’HR è protagonista del business

D’altra parte, oggi l’HR “non è più solo business partner, ma è il business stesso”, ha spiegato Alessandro Agosti, Direttore Risorse Umane di Findomestic. “L’HR accompagna le trasformazioni e può dare un’accelerazione decisiva al cambiamento anticipando i bisogni di nuove competenze”.

Secondo Andrea Bellina Head of Talent & Organization di Engie, la strategia è guidata dal business, ma a stretto contatto con l’HR che contribuisce a rendere concreta la strategia attraverso percorsi di formazione e riqualificazione. La tendenza oggi riguarda la ricerca di competenze legate alla gestione dei dati per comprendere gli scenari attuali e prevedere i trend del futuro.

Gli input di business e quelli dell’HR possono far trovare un equilibrio tra la ricerca di risorse sul mercato e la valorizzazione di competenze interne. In questo senso, “un approccio ‘plug-and-play’ non funziona, ma serve tempo per trasferire e sviluppare nuove competenze, anche in ottica generazionale”, ha affermato Alessandra Rizzi Group HR & Organization Director di BFF Banking Group. “La Direzione HR non basta da sola per anticipare le competenze, è un lavoro di squadra con il top management, serve un forte mandato di vertice per riuscire a non disperdere competenze e per garantire l’employability delle persone in questo periodo delicato”.

Le attitudini contano sempre di più

Oggi il tempo è un fattore chiave. “Dobbiamo prepararci al momento in cui il business cambierà per far fronte alla trasformazione dei consumi”, ha sottolineato Silvia Sulpizi, Senior HR manager Global Supply Chain di Baker Hughes, secondo cui è utile analizzare i comportamenti (non solo le hard skill) che serviranno nella transizione futura, per capire chi sarà pronto a mettersi in discussione.

Il workforce planning è fortemente legato alla strategia aziendale: per Luca Barbera, Head of Planning & Organization Global Power Generation di Enel Group, “capire i principali driver del business permette di pianificare l’evoluzione delle risorse interne. L’HR rappresenta una leva di creazione di valore all’interno della strategia dell’azienda, con l’obiettivo di riuscire a prevedere il futuro del lavoro”.

In questo contesto, non bastano competenze tecniche, ma servono anche “attitudini, startup mentality e approccio data-driven”. Sulla base delle attitudini, le persone possono anche cambiare ambito di lavoro e trovare nuove opportunità, per questo puntare sulla “contaminazione di saperi” può rivelarsi una strategia vincente, soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo oggi.

I modelli organizzativi in continua trasformazione e la cultura aziendale hanno un impatto sullo sviluppo delle persone che passa anche attraverso una nuova formazione dei leader. Oggi le modalità di apprendimento tradizionali non bastano più, nemmeno per i capi. Le aziende hanno l’occasione di passare dal concetto di ‘formare’ a quello di ‘essere’, maturando una consapevolezza del fatto che le dimensioni identitarie delle persone sono una risorsa, non un ostacolo.

Anche l’assessment può considerare lo spessore umano come se fosse un insieme di cerchi concentrici che rappresentano la complessità (positiva) delle persone, come è emerso nel corso dell’evento La sfida dello sviluppo parte dalla formazione dei capi organizzato da HRC, a cui ha partecipato anche Riccarda Zezza, CEO di Lifeed.

La funzione HR ha un ruolo determinante per dare ai manager i giusti strumenti in grado di valorizzare le dimensioni identitarie delle persone. Ma “valori e purpose devono essere incarnati innanzitutto dai leader, soprattutto quelli intermedi”, come spiegato da Laura Bruno, Head of HR di Sanofi.

Le relazioni capo-collaboratore sono state rese più complicate dalla distanza a cui ci ha costretti la pandemia. La Direzione HR “può essere facilitatrice e regista di questo rapporto, anche provocando il manager a ‘fare il capo’ con coraggio, gentilezza e generosità”, sostiene Tiziano Suprani, Corporate HR Officer di Ferroli. Per farlo, servono sia “uno stimolo dal basso da parte dei collaboratori, chiamati a puntare sull’autoapprendimento”, sia una proattività dei leader che “devono saper indirizzare le capacità delle persone”.

Gli allenatori devono scendere in campo

Non basta però essere allenatori: bisogna scendere in campo, dal momento che oggi le organizzazioni sono fluide e i modelli gerarchici del passato non funzionano più. “I capi operano in un terreno magmatico, essere leader è un processo di trasformazione continua che richiede flessibilità”, afferma Marina Collautti, Head of Employer Branding, Recruiting & Mobility di Generali Italia.

Un buon manager oggi deve essere “visionario e anticipatore, per comprendere l’effetto del cambiamento sulle persone”, puntando anche su una nuova cultura dell’errore, aperta alla sperimentazione, e sulla comunicazione per creare un clima di fiducia con i collaboratori.

Non c’è una ricetta unica per essere capi: dipende dal contesto e da tante variabili. Per questo, oggi servono leader empatici, sintonizzati con le persone nelle diverse situazioni, in grado di dialogare con loro in modo più autentico e capaci di creare relazioni basate sull’ascolto.

Come evidenziato da Lavinia Lenti, Direttrice HR di Sace, “il leader del futuro deve essere empatico, inclusivo, aperto al digitale e all’innovazione”. Per questo l’azienda, nella formazione dei capi, punta su tre leve principali: gestione collaboratori da remoto; valutazione e sviluppo dei collaboratori (con focus su diversità di genere); innovazione e digital con centralità del dato.

L’HR ha l’opportunità di lavorare a quattro mani con il capo per favorire l’ingaggio e l’elemento motivazionale, che può dare una spinta ulteriore agli stessi leader, dei quali “bisogna valorizzare il ruolo come guida per la crescita dei collaboratori. Come ci prendiamo cura dei nostri figli, così dovremmo fare anche con i nostri collaboratori”, aggiunge Lenti, secondo cui “servono più job rotation e mix generazionale e di genere ai livelli più alti dell’organizzazione”.

La formazione tradizionale non basta più

In questo contesto, la formazione tradizionale “non serve a niente”, afferma Fabio Nebbia, HR Director di Coopservice. “La cultura si traduce nel ‘saper essere’, cioè nel modo in cui si fanno le cose in azienda”. Per creare cultura, dunque, non bastano le classiche modalità di apprendimento: “Lo spessore umano va tenuto più in considerazione. E le competenze vanno tradotte in comportamenti agiti misurabili”.

D’altra parte, oggi non ci sono più silos divisivi tra casa e lavoro, è tutto interconnesso e in ambito professionale alcuni aspetti come flessibilità e welfare diventano più importanti dello stipendio o del ruolo. Per Nebbia, “il capo dovrebbe essere consapevole del ben-essere delle persone e del motivo per cui ogni mattina vengono al lavoro”.

Un nuovo tipo di formazione deve essere accompagnata anche da un nuovo ‘role modeling’ dei leader. “Ai manager è richiesto di rompere gli schemi e per farlo serve uno spessore culturale”, sostiene Fabio Colacicco, Group HR Director di Banca Sella, che indica tre leve su cui puntare: disruption, crescita e libertà.

La complessità delle persone porta più risorse, perché i tratti caratteriali fanno esprimere competenze che altrimenti restano inespresse sul lavoro. Scomporre le competenze in comportamenti permette di scoprire risorse trasferibili tra vita e lavoro. L’autoconsapevolezza legata alle esperienze di vita può dunque sostituire la formazione tradizionale, anche perché più le persone trovano coerenza in quello che fanno, più si comportano in modo etico. Per questo, ai capi è richiesto di avere uno sguardo in grado di catturare la complessità delle persone. E di farne tesoro.

Scopri come aumentare il senso di appartenenza e la motivazione tra le tue persone

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Lunedì 19 aprile 2021 – STRATEGIC WORK FORCE PLANNING: COME ANTICIPARE LE NUOVE COMPETENZE E COME SVILUPPARLE? (UP-SKILLING /RE –SKILLING)
Giovedì 6 maggio 2021 – ABBIAMO VERAMENTE CAMBIATO IL MODO DI FARE HR?
Lunedì 24 maggio 2021 – LA NUOVA FLESSIBILITÀ E LE RICADUTE SULLA LEADERSHIP. COME GUIDARE IL TEAM IN UNA FASE DI INCERTEZZA E QUALI PRIORITÀ PER AGIRE IL CAMBIAMENTO?
Martedì 22 giugno 2021 – INCLUSIONE: VERSO UNA CULTURA DELL’APPARTENENZA

L’ascolto è emerso con forza come azione fondamentale per gestire le transizioni dall’evento Come ridisegnare la cultura organizzativa e il purpose aziendale post integrazione organizzato da HRC, a cui ha partecipato anche Riccarda Zezza, CEO di Lifeed.

Le persone hanno bisogno di ascolto reale

Nel corso dei cambiamenti c’è una lunga ‘terra di mezzo’ tra quel che si era e quel che si sarà, che nella scienza delle transizioni si chiama ‘zona neutra’: è qui che si può fare la differenza tra la creazione di una cultura organizzativa e di un nuovo purpose aziendale di successo e un lungo periodo di incertezza e confusione. Nelle transizioni ciò dipende dal modo in cui le persone di sentono viste nella loro identità.

“Ascolto, comunicazione e coinvolgimento sono i tre fattori chiave per tradurre la vision in purpose”, afferma Lea Tarchioni, Head of Pople & Organization Country Italy di Enel. “I nostri valori sono nati proprio dall’ascolto delle persone, che ci hanno chiesto di aprirci e di essere partecipi del cambiamento, quindi abbiamo sviluppato una filosofia ‘open power’. C’è bisogno di aprirsi al confronto, allo scambio di idee e di maggiore coinvolgimento a tutti i livelli nelle scelte”.

Nelle transizioni, infatti, le persone hanno bisogno di essere ascoltate e di fare un proprio punto mappa. Sono proprio la vicinanza e l’ascolto a far crescere l’engagement e il benessere.

Ma come è possibile ascoltare davvero? I focus group vanno in profondità ma non possono coinvolgere tutti, le domande chiuse delle survey possono limitare la ricchezza di quanto fanno emergere: sono strumenti appartenenti a una visione delle Risorse Umane pre-pandemia. E non si tratta di rispondere ai bisogni delle persone con la creazione di stanze ad hoc dove vederle, ascoltarle e farle stare bene.

Oggi la Direzione HR delle aziende ha a disposizione sufficiente conoscenza e tecnologia per effettuare un ‘ascolto mentre’: invece di pensare a nuovi luoghi per dedicarsi a questa attività, si può ascoltare le persone mentre si occupano di altro.

Secondo Marina Famiglietti, Head of HR di Borsa Italiana, “lo sforzo dell’HR deve andare verso un ascolto reale, anche se magari ciò consente di raggiungere meno persone rispetto alle survey, che spesso vengono viste dai dipendenti delle aziende come un finto ascolto”.

Ma non occorre scegliere tra molti e pochi: ascolto reale e benessere possono essere integrati in altre attività che già coinvolgono le persone, per esempio progetti di formazione, engagement, diversity o cultura, attraverso i percorsi di autoriflessione digitali Lifeed, che avvengono insieme al resto.

La cultura aziendale si forma con le persone

D’altra parte, oggi siamo tutti interconnessi. Attraverso appositi moduli digitali a domande aperte che stimolano riflessioni e autonarrazioni, è possibile ascoltare davvero le persone, senza ‘obbligarle’ a rispondere a sondaggi che creano cornici e bias. Così si possono generare contenuti che vanno ad arricchire la cultura aziendale e, allo stesso tempo, fanno sentire meglio le persone.

Si tratta quindi di innestare nell’organizzazione la possibilità di vedere le persone, ascoltarle e dare loro modo di contribuire mentre lavorano e mentre la nuova cultura aziendale si forma, perché si forma con loro, attraverso il loro modo di lavorare.

In questo senso, secondo Fausto Fusco, Direttore Risorse Umane del Gruppo Bip, “l’azienda deve capire chi vuole essere e coinvolgere la ‘pancia’ della popolazione aziendale. In Bip, per esempio, abbiamo creato nuovi percorsi di induction per i neoassunti per farli sentire davvero seguiti e ascoltati, a lungo”.

Certamente l’ascolto non deve essere fine a se stesso. “Deve avere uno scopo preciso per portare risultati tangibili”, sostiene Fabrizio Rauso, Director People, Organization and Digital eXperience di Sogei. “E il purpose deve essere ‘azionabile’, cioè deve trovare concretezza ogni giorno nell’attività delle persone”.

Purpose azionabile e motivazione possono nascere da un contesto dove le esperienze delle persone, ascoltate a valorizzate, arricchiscono la narrazione collettiva dell’azienda e le rendono co-autrici della cultura e della definizione del purpose, in quella che Ester Cadau, International HR Audit M&A, PAI-PMI Director di Groupe Atlantic definisce una vera e propria “visione filosofica delle risorse umane”.

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Giovedì 25 marzo 2021 – LA SFIDA DELLO SVILUPPO PARTE DALLA FORMAZIONE DEI CAPI
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