Stiamo attraversando una vera e propria transizione. E’ come se tutti stessimo vivendo una forma di “congedo di maternità” forzato. Siamo a casa, continuando a lavorare, tanti dei nostri ruoli si sovrappongono e si accumulano. Come ogni transizione, anche questa causata dall’emergenza sanitaria del Coronavirus, richiede una ridefinizione cognitiva, sia a livello individuale sia a livello sociale, e uno sforzo di ridefinizione.

Per riflettere su questi temi e capire come le aziende si stanno preparando, abbiamo incontrato 4 Direttori delle Risorse Umane di 4 diverse industry che, in totale, gestiscono più di 10.000 persone. Abbiamo chiesto loro come stanno immaginando il ritorno alla “normalità” e come si stanno preparando al dopo Covid-19. Ecco cosa ci hanno raccontato nella nostra nuova Life Ready Conference che si è tenuta lo scorso 2 aprile.

Aggiornamento dell’8 aprile
Leggi l’articolo Un capo del personale su due: l’impatto sarà strutturale che Il Sole 24 Ore Lavoro ha dedicato ai contenuti emersi durante questa Life Ready Conference.


Video dell’intero live streaming

Fabio Comba, HR Director KPMG

La crisi come strumento di valutazione della performance

“All’emergere della complessità nelle organizzazioni, la gestione delle risorse umane diventa fondamentale. Inevitabilmente, anche nella situazione di discontinuità che stiamo vivendo, il faro si è acceso sui Direttori HR. Chi di noi ancora non era inserito nei processi decisionali ha iniziato a confrontarsi nei livelli più alti dei leadership team. La crisi è dunque diventata un’occasione per noi HR di giocare un vero e proprio ruolo da Leader. 

In termini più ampi, la questione della leadership che proprio dalla crisi è stata messa in discussione, ci sta consentendo di individuare i fattori del leader vero, al di là degli strumenti di valutazione delle performance che tutti noi utilizziamo. La crisi ha messo in luce che il vero leader è colui che riesce a dare una direzione precisa, senza ambiguità, e sa fornire una positività strategica ai propri messaggi. Con queste due caratteristiche è possibile creare un ambiente performante. 

Da questa crisi ci portiamo, inoltre, a casa la necessità di garantire flessibilità a tutti i livelli. L’accelerazione tecnologica è stata guidata dal Covid-19 e ci farà tornare in un mondo in cui delega e obiettivi saranno fondamentali: questo telelavoro e, speriamo con continuità successiva, diventi vero e proprio smart working ha bisogno di questi due elementi, senza i quali non sarà possibile lavorare con efficacia”. 

Sonia Malaspina, HR Director South Europe Danone Specialized Nutrition

Nella crisi è necessario lavorare sul pilastro psico-affettivo delle persone

“Con la mia azienda e con Life Based Value abbiamo fatto un grande viaggio negli ultimi anni per valorizzare la genitorialità, per mettere la maternità e la paternità nel conto economico delle aziende. 20 anni fa quando ho iniziato la mia carriera professionale la maternità era un tabù; oggi sappiamo che il congedo è una grandissima risorsa e patrimonio anche per le organizzazioni. Il top management ne è consapevole grazie ai dati che siamo in grado oggi di fornire sulla crescita delle competenze e il miglioramento della produttività dopo il congedo di maternità. Grazie a questa crisi siamo riusciti a traslare quello che succede durante il congedo di maternità a tutta l’azienda; è proprio come se fossimo tutti in un grande ‘congedo collettivo’, che al pari della maternità, può diventare una grande opportunità. 

Le organizzazioni sono sostenute da 4 pilastri: quello economico, quello organizzativo, quello culturale e quello psico-affettivo. In tutte le situazioni di crisi, non solo in quella attuale, bisogna dare priorità e attenzione al pilastro psico-affettivo dell’organizzazione. Le organizzazioni sono fatte di persone che hanno sentimenti, paure, ansie, reazioni. I leader, dall’Amministratore Delegato a tutta la sua prima linea, sono chiamati a gestire anche la dimensione psico-affettiva, nonostante anche loro siano altrettanto preoccupati del futuro. Noi in Danone abbiamo preso in tutto il mondo un impegno: Danone ha dichiarato che nessuno perderà il proprio posto di lavoro a causa del Coronavirus.

In questo modo abbiamo lasciato spazio alle persone di esprimere la propria creatività, con loro stiamo riscrivendo il nostro Business Model e introducendo nuove modalità lavorative. Ogni persona a qualsiasi livello può avere un’idea creativa, ma la esprime solo se il management crea uno spazio di fiducia e di conforto. Mettiamoci nei panni delle persone, avere cura di loro nella loro interezza, non vederli sono come dei professionisti, solo così possiamo ottenere un grandissimo ritorno.

Credo che questa crisi ci lascerà più ricchi di idee, tutto ciò che abbiamo pensato per far fronte a questa situazione e reinventarci, resterà anche dopo, diventerà patrimonio dell’azienda”.

Marco De Rosa, HR Director Italy & Switzerland Alstom

Parole d’ordine per il futuro: nuove competenze e condivisione

“Da quanto è scoppiata l’emergenza, abbiamo intrapreso una serie di azioni urgenti e necessarie, dalla salvaguardia delle persone attraverso l’azione dei protocolli sanitari, all’estensione dello smart working a tutta la popolazione impiegatizia, alla salvaguardia sociale e l’adozione di strumenti di integrazione salariale. A ciò si aggiunge la salvaguardia psicologica su cui stiamo lavorando adesso: stiamo per attivare uno sportello di ascolto e alcuni seminari sull’equilibrio personale. Il lavoro è parte integrante della nostra vita e anche la nostra routine oggi viene meno: si è costretti a vivere in casa, spesso in uno spazio fisico ridotto con la propria famiglia, tutto ciò richiede un diverso equilibrio. 

I prossimi passi sono quelli più complicati e anche difficili da definire. Perchè non sappiamo la durata delle misure di contenimento attuali, ma anche perchè che siamo consapevoli che “percorrere il metro che ci separa sarà difficile” (citando il responsabile della Protezione Civile Angelo Borrelli). La domanda che ci dobbiamo porre è come possiamo mantenere il distanziamento sociale, che probabilmente continuerà come misura di profilassi a lungo dopo l’emergenza, senza diminuire, anzi, aumentando l’inclusione? Questo è uno dei nostri obiettivi. Pensiamo, ad esempio, al valore della pausa caffè: quando si potrà rifare? E come la sostituiremo? 

I punti su cui ci dobbiamo impegnare in azienda sono essenzialmente quattro. 

  1. La necessità di ripensare gli spazi. Dovremo ripensare l’assetto di uffici, open space, fabbriche, mensa, meeting room.
  2. La necessità di ripensare la formazione. Noi ne facciamo molta, soprattutto tecnica, che avviene in aula. Andrà rivista, pur sapendo che non potremmo pensare solo ai webinar, ma dovremo individuare altre modalità. 
  3. Organizzare lo smart working. Nel nostro settore lo smart working è ancora una modalità operativa marginale, ma probabilmente diventerà strutturale. Per i tecnici dovrà richiedere lo sviluppo di dotazioni aggiuntive, non solo a carico della nostra azienda, ma anche dell’intero Paese. Penso ad esempio alle infrastrutture tecnologiche e di rete: nel momento in cui lavoriamo tutti da casa sperimentiamo il limite di una connessione spesso debole e instabile. 
  4. Resta, infine, centrale il tema della comunicazione. Questa crisi ha messo in evidenza il tema forte di come comunicare con tutta la popolazione aziendale. I nostri ‘blue collar’ al momento sono a casa, le attività di cantiere sono ferme, dobbiamo definire un nuovo protocollo di comunicazione con loro che spesso non dispongono di un computer portatile e, in alcuni casi, nemmeno di una email.

Volendo fare una sintesi, le mie parole d’ordine per il futuro saranno: nuove competenze e condivisione. Dobbiamo reinventarci e chi è stato generoso nella creazione e nell’ascolto del proprio network oggi ne trae un vantaggio competitivo importante”.

Guido Piacenza, HR Director Santander Consumer Bank

Le competenze che prima abbiamo imparato sulla carta e oggi stiamo sperimentando con la crisi, domani saranno il nostro modo di lavorare

“Fino a ieri, quando avevamo la possibilità di sperimentare tante modalità di fare formazione, abbiamo  ‘giocato’ sulla formazione di competenze soft, come creatività, apertura, innovazione, intraprendenza, imprenditorialità. Tutte queste competenze, con le quali ci siamo allenati finora sulla carta, oggi sappiamo che domani diventeranno il nostro nuovo modo di lavorare. 

Ma non è la formazione non è l’unico aspetto che dobbiamo ripensare. Un altro è la comunicazione interna. Attraverso la nostra intranet, oggi comunichiamo quotidianamente con i nostri dipendenti: stiamo traducendo i decreti, i moduli, le informazioni che arrivano dal governo le stiamo semplificando e spiegando a tutti i nostri dipendenti. Ma non solo… abbiamo anche un’app, che di solito usiamo per gli eventi aziendali e che oggi abbiamo riconvertito per sentirci tutti più vicini: ogni settimana lanciamo un tema per comunicare e confrontarci tutti in maniera continua. Anche per far emergere idee su come gestire il rientro dopo la crisi.

Su questo tema, stiamo cercando di fare rete con altre imprese, soprattutto quelle del nostro settore, per capire cosa stanno facendo, così da raccogliere anche altre idee per elaborare le azioni che possiamo intraprendere. 

Alcune delle nostre scelte passate sono state vincenti in questo periodo, altre andranno ripensate. Due anni fa, ad esempio, abbiamo inaugurato la nostra nuova sede. Nella stessa occasione, abbiamo dotato tutti i dipendenti di un PC portatile, avviando una sperimentazione di smart working senza limiti di tempo, affidandoci al buon senso dei nostri collaboratori. 

Un altro spunto per noi importante è che oggi possiamo insegnare qualcosa agli altri Paesi. Da essere considerati la piccola Business Unit, che performa bene ma che sta a guardare i grandi del Gruppo, oggi siamo visti come al Business Unit che può insegnare a quelle più grandi. Sia perché abbiamo vissuto con 4 settimane di anticipo questo tzunami, sia perchè la nostra anima ‘latina’ ha tirato fuori iniziative e idee oggi reputate come best practice dagli altri”.

Cascare dalla sedia ogni volta che un “evento della vita” irrompe nella dimensione lavorativa. Considerare ogni assenza una crisi, da cui rientrare è sempre difficile. Guardare l’orologio per decidere se il lavoratore è “serio”: se il suo tempo appartiene interamente all’azienda. Sono prassi del secolo scorso: la fotografia di una realtà che non c’è più.

Oggi, secondo una recente ricerca di Harvard, negli Stati Uniti il 73% dei lavoratori sono anche “caregiver”: ovvero prestatori di cura in ambito privato. Madri, ma non solo: padri, figli, fratelli, amici.

Persone che hanno responsabilità di cura per altre persone: a tratti più intense, a tratti meno, ma quotidiane, anche solo nel pensiero. Le relazioni, la vita in tutte le sue forme, sono entrate nel mondo del lavoro. Ma non sono ancora stati mappati, e la foto che stiamo guardando è quella di un mondo che non c’è più. Il problema sempre più evidente è che a quella foto obsoleta adattiamo nelle aziende anche regole e comportamenti, ed è ancora così: l’assenza come crisi, l’orologio come strumento di valutazione, la vita come “anomalia”.

La conseguenza di questi comportamenti obsoleti sono costi altissimi, in parte chiari e in parte occulti. Quelli chiari sono i costi in termini di stress (chi dice 300, chi 500 miliardi di euro all’anno nel mondo), di produttività piatta o in declino nonostante la disponibilità di tecnologie sempre più avanzate, di sostituzione di persone che lasciano il lavoro – temporaneamente o per sempre – perché “non ce la fanno” a tenere il doppio ruolo. Quelli occulti citati dalla ricerca di Harvard sono i costi di perdita di talenti e di produttività per il semplice fatto che si fa finta di ignorare il ciclo di vita delle proprie persone – o lo si ignora davvero?

La volontà di ignorare il ciclo di vita delle persone di questo millennio è l’unica spiegazione possibile al modo in cui non stiamo facendo evolvere il nostro approccio al lavoro, assorbendo di conseguenza i costi di una volontaria ignoranza. I dati della ricerca di Harvard sono chiari (e noti anche da noi):

1) Sempre più famiglie sono “diverse”: le coppie sposate diminuiscono, mentre aumentano i nuclei con un solo familiare o con gruppi famigliari misti, per esempio più generazioni insieme.

2) La partecipazione delle donne al mondo del lavoro è sempre più essenziale alla sopravvivenza dell’intero sistema economico, e “negli Stati Uniti, buona parte della forza lavoro femminile altamente educata afferma di aver dovuto uscire dal mondo del lavoro o ridefinire il proprio apporto lavorativo a causa di responsabilità di cura”

3) Nel 2013, il 47% degli Americani di mezza età erano in una situazione cosiddetta “sandwich”: presi tra la cura dei propri figli e quella dei propri genitori. Intensi bisogni di supporto non solo di cura e finanziario, ma anche emotivo.

Al tempo stesso, l’Industria 4.0 ha acceso sempre più la guerra per la conquista dei talenti: come attrarre i più bravi, come trattenerli? Ma la funzione che in azienda si occupa del benessere delle persone non sempre è la stessa che investe sull’attrazione dei talenti. Da una parte uno sguardo spesso poco aggiornato su quel che i lavoratori sono diventati: le loro vite sempre più complesse e multi-dimensionali, i loro bisogni non solo pratici ma anche umani. Dall’altra la continua ricerca di strumenti per attrarre lavoratori di cui si vede e si riconosce solo la dimensione professionale, come se vivessero in un vuoto.

Si finisce con l’acquistare decine di benefit di cui spesso i lavoratori non sono a conoscenza e che non spostano l’ago delle loro preferenze, mentre si continua a (far finta di) ignorarli nelle loro dimensioni reali di vita: quelle di oggi ma anche e soprattutto quelle che saranno. Le assenze che arriveranno sempre inaspettate, i carichi di cura che verranno trattati come estranei al sistema, da disinnescare e contenere, i ritardi (o gli anticipi) che verranno letti come scarsa motivazione e peseranno sulle decisioni di carriera. Oggi ancora, come nel secolo scorso.
Quanto a lungo può sopravvivere un’azienda che agisce basandosi sulla mappa di una realtà che non esiste più? Secondo i professori Fuller e Raman, che guidano il progetto “Managing the future of work” ad Harvard:

“Per le aziende che sapranno prendersi cura e riconoscere le dimensioni della cura delle proprie persone, il ritorno andrà bel oltre l’ingaggio dei dipendenti. Avrà il potenziale di costituire un’importante fonte di vantaggio competitivo”.

E non si tratta solo di mettere a disposizione una serie di servizi utili: è importante ma non basta. Si tratta di cambiare proprio lo sguardo e la cultura, e rendere la dimensione della vita apertamente presente nel disegno del ciclo lavorativo. Tappe di vita previste e prevedibili disegnate insieme a tappe di carriera. Abbracciate, come lo sono già nella vita di tutti noi da moltissimo tempo ormai.

Riccarda Zezza, articolo scritto per Alley Oop