Oggi nel mondo del lavoro i livelli di coinvolgimento e soddisfazione sono ai minimi storici, mentre quelli relativi a stress e burnout sono in costante aumento.

Dopo la pandemia, il ‘sistema’ basato su regole, dinamiche e stereotipi del passato ha definitivamente smesso di funzionare. Le persone oggi cercano un nuovo senso del lavoro nel quale tornare a mettere la propria passione, il proprio cuore.

In un mondo sempre più dipendente dalla tecnologia, dagli algoritmi e dall’Intelligenza Artificiale (AI), la sfida è quella di riumanizzare il lavoro per migliorare i livelli di benessere e coinvolgimento e far tornare le persone ad “amare” quello che fanno.

Per raggiungere questo obiettivo, la leadership delle aziende è chiamata ad ampliare la mappa con cui cui guarda alle persone: ciò significa valorizzare tutti i ruoli di vita e di lavoro, tutti i talenti che rendono uniche le persone.

Solo con questo sguardo innovativo, le imprese riusciranno a creare le condizioni per far prosperare le persone e per liberare tutto il loro potenziale, con benefici per la sostenibilità umana dell’intera organizzazione.

La creatività ci salverà dal dominio dell’AI

Di tutto questo si è discusso nel Caring Company Summit 2023 promosso da Lifeed, dal titolo La sfida dell’umano, che ha riunito manager ed esperti delle organizzazioni per condividere visioni ed esperienze sul mondo del lavoro.

In particolare, dal dialogo tra Riccarda Zezza, CEO di Lifeed e autrice di Cuore Business. Per una nuova storia d’amore tra persone e lavoro, e Tomas Chamorro-Premuzic, psicologo, professore e autore di I, Human: AI, Automation, and the Quest to Reclaim What Makes Us Unique è emerso che oggi ci troviamo di fronte a una sfida epocale: l’AI sta condizionando sempre di più le persone, i loro comportamenti, il loro modo di pensare e di vivere le relazioni con gli altri.

In un contesto in cui la maggior parte delle decisioni è influenzata dagli algoritmi (con notevoli rischi di superficialità e prevedibilità), tornare a essere umani significa fare spazio alla creatività, alla capacità critica, alla curiosità e all’unicità di ognuno.

Nel corso dell’evento Lucia Monaci, Head of Development Italy and DE&I Manager Italy di UniCredit ha spiegato come è possibile valorizzare l’identità delle persone raccontando il caso concreto dell’azienda attraverso il progetto Talento Diffuso.

Il crescente disallineamento tra i bisogni delle persone e i tradizionali modelli organizzativi nel periodo post-pandemia è alla base di fenomeni come Grandi dimissioni e Quiet Quitting che vedono le persone sempre meno ingaggiate nei confronti del lavoro.

In questo scenario, la Direzione HR si trova di fronte alla grande sfida di ridefinire il rapporto tra persone e aziende: un rapporto che oggi deve essere impostato su una nuova visione dell’equilibrio tra vita e lavoro.

Ciò riguarda in particolare i dipendenti genitori e caregiver, che in estate molto spesso non possono contare su servizi e prestazioni di supporto alla gestione dei carichi di cura familiari come nel resto dell’anno. Se i bisogni di queste persone non vengono intercettati in tempo, aumenta il rischio di malessere e scarso coinvolgimento, con conseguenze negative sulla relazione tra dipendenti e aziende.

Basti pensare che oltre 52mila genitori (di cui il 72% mamme) si sono licenziati in un solo anno dopo l’arrivo della pandemia e che oggi già sette lavoratori su 10 si occupano della cura di un familiare. Inoltre, sono sempre di più le persone nella cosiddetta “Generazione Sandwich”, che devono gestire contemporaneamente la cura dei figli e quella dei genitori anziani. Ma le aziende sanno vederle?

Vita privata e professionale: integrate o separate?

Come spiega la ricerca 2023 dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano dal titolo “Vita, lavoro, felicità: disegnare una nuova relazione tra organizzazione e persone”, i cambiamenti degli ultimi anni hanno fatto emergere due differenti approcci al lavoro da parte delle persone: la Work-life integration e la Work-life separation.

Il primo approccio connota chi trova nel proprio lavoro una componente significativa della propria soddisfazione ed è portato a gestire in maniera integrata questi due aspetti. Il secondo riguarda chi trova la propria soddisfazione personale al di fuori del lavoro ed è portato a tenere separata la vita lavorativa da quella privata.

Se non correttamente gestita, l’integrazione vita-lavoro porta al cosiddetto ‘job creeping’, cioè la tendenza a non smettere di lavorare anche in momenti che dovrebbero essere dedicati alla vita privata. Una separazione tra vita e lavoro non correttamente gestita, invece, porta a uno scarso coinvolgimento delle persone nell’attività lavorativa. Come è possibile trovare una soluzione positiva a questa situazione?

Il potere della transilienza

Un approccio innovativo è rappresentato dalla sinergia vita-lavoro. Come dimostrato scientificamente dal Life Based Learning (il metodo di apprendimento ideato da Lifeed che permette alle persone di trasferire sul lavoro le competenze soft apprese nella vita quotidiana e viceversa, con benefici per le loro aziende) l’area della vita privata e quella professionale possono ricaricarsi a vicenda.

Se pensiamo ai ruoli personali e lavorativi come cerchi concentrici che si accumulano e si rinforzano a vicenda (anziché come una torta divisa in spicchi), le competenze espresse in questi ruoli si moltiplicano e possono essere trasferite tra le diverse dimensioni identitarie: genitore, figlio, collega, manager, sportivo, musicista, ecc. Questo succede grazie alla “transilienza”, una meta-competenza che viene esercitata quando le abilità, le energie e le risorse emotive delle persone fluiscono da un ruolo all’altro.

Tutto ciò ha un impatto positivo sul benessere, il coinvolgimento e la produttività delle persone. Sentendosi viste e riconosciute nei loro ruoli personali e professionali, infatti, le persone migliorano l’equilibrio vita-lavoro e la loro efficacia, con conseguenti vantaggi per le aziende anche in termini di sostenibilità.

Talenti in viaggio tra vita e lavoro

Le attività di cura come la genitorialità e il caregiving sono grandi esempi di sinergia vita-lavoro: competenze come gestione del cambiamento, empatia, gestione dello stress, collaborazione e gestione della complessità vengono allenate da mamme, papà e caregiver nel rapporto quotidiano con i figli e i genitori anziani o non autosufficienti. Questo vale ancora di più durante l’estate, quando tipicamente vengono a mancare gli aiuti pratici nella gestione dei carichi di cura familiari.

Queste competenze rappresentano risorse preziose anche per il mondo del lavoro. Ma per non essere sprecate, hanno bisogno di uno sguardo innovativo da parte delle organizzazioni. Infatti, solo vedendo e usando i talenti che i propri dipendenti sviluppano ogni giorno nelle attività di cura e in tutti i loro ruoli (privati e professionali), le aziende possono favorire il benessere, la produttività, l’engagement e la retention. E così, saranno in grado di garantire la propria sostenibilità futura. 

E.ON Italia (tra i principali operatori energetici presenti sul mercato) voleva supportare inizialmente i dipendenti genitori impattati dalle nuove modalità di lavoro da remoto, in particolare le mamme.

Negli anni successivi E.ON ha ritenuto necessario ampliare la popolazione aziendale a cui rivolgere le proprie azioni di caring, con l’obiettivo di far emergere tutti i loro talenti, creando anche in loro consapevolezza rispetto ai molteplici ruoli di vita che ognuno ricopre.

E.ON ha quindi scelto i percorsi Lifeed Genitori che nascono, genitori che crescono e Work-Life Synergy per accompagnare le persone nelle diverse transizioni di vita.

Inoltre, con lo strumento di people insight Lifeed Radar l’azienda ha voluto far emergere e valorizzare i talenti che le persone esprimono in tutti i ruoli di vita, personali e professionali.

“Grazie anche a Lifeed, la cultura della cura è entrata a tutto tondo nel modello di leadership aziendale che ha tra i suoi pilastri la valorizzazione della diversità. Siamo orgogliosi di essere riconosciuti come una Caring Company pronta per affrontare la sfida di costruire un futuro più sostenibile”, spiega Daniela Leotta, Chief Digital & Innovation Officer & Board Member di E.ON Italia.

Riccarda Zezza, CEO e fondatrice di Lifeed, torna in libreria con C(u)ore business. Per una nuova storia d’amore tra persone e lavoro (edito da Il Sole 24 Ore), per proporre una rivoluzione culturale nel mondo del lavoro e nel rapporto tra persone e organizzazioni.

Un potente manifesto per riflettere su come i ruoli delle persone, dalla vita privata al lavoro, influenzino le carriere, i modelli di leadership e l’intera società. Al centro di questa ridefinizione della relazione tra persone e lavoro c’è la cura, nella quale portiamo amore, emozioni e visione a lungo termine: non solo nelle esperienze di vita privata, ma anche in quelle professionali.

Portare nel lavoro solo una delle nostre dimensioni, quella produttiva, non basta più. Oggi il mondo del lavoro ha bisogno di cura, sostenibilità, nuove relazioni: una dimensione d’amore che viviamo già in altri ambiti della nostra vita.

“Scientificamente, si è scoperto da tempo che ricoprire ruoli diversi genera un arricchimento del sé, non un conflitto. Avere più ruoli (genitore, figlio, marito, manager, volontario, collega, ecc), aumenta la quantità complessiva delle risorse a disposizione delle persone, in un insieme che è maggiore della somma delle parti. Di questo però non si parla molto, e infatti non capita mai che ci chiedano quali parti di noi portiamo sul lavoro“, dichiara Riccarda Zezza.

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In occasione della Festa della Mamma, Lifeed mette in luce le competenze delle madri di bambini con neurodivergenza

Milano, 12 maggio 2023 – In occasione della Festa della Mamma, che si celebra il 14 maggio, Lifeed mette in luce  le competenze sviluppate dalle madri di bambini con neurodivergenze: doppie responsabilità di cura che forniscono dosi doppie di competenze soft. 

Con l’obiettivo di far emergere le competenze e le risorse sviluppate dalla pratica genitoriale di mamme di bambini con neurodivergenza, Lifeed Progress – divisione scientifica di Lifeed dedicata a progetti sociali – e Tice – una cooperativa sociale ONLUS che si occupa di servizi, formazione e ricerca in psicologia – hanno realizzato un progetto che ha coinvolto le madri di bambini con neurodivergenza, ovvero il cui “cervello elabora, apprende e/o si comporta in modo diverso da quello considerato tipico”. Autismo, disturbo da deficit di attenzione e iperattività sono solo alcuni tra gli esempi di neurodivergenza più comuni.

I primi risultati sono stati sorprendenti: nonostante il destinatario delle cure fosse lo stesso, molte delle madri  coinvolte si sono infatti descritte con un doppio ruolo di cura, quello di di “mamma” e quello di “caregiver”, attribuendo competenze diverse all’uno e all’altro.
Mamma e Caregiver sono dunque due ruoli complementari, in cui vengono usate competenze diverse: nel ruolo materno, prevalgono quelle relazionali, come l’empatia, l’ascolto, la collaborazione, e quelle organizzative, come il problem solving e il pensiero analitico. Nel ruolo di caregiver, si aggiungono competenze di leadership come l’autoefficacia e la capacità di dare e ricevere feedback.

Le mamme caregiver, quasi invisibili nel mondo del lavoro, nascondono capacità empatiche e di leadership di cui società e organizzazioni hanno un grande bisogno. Nella sfera familiare, sviluppano importanti competenze trasversali: un potenziale nascosto che, se visto e valorizzato, è un valore aggiunto per il mondo del lavoro“, ha dichiarato Chiara Bacilieri, Head of Research & Innovation di Lifeed.

Lifeed è uno strumento prezioso per le madri di bambini neurodivergenti, un modo semplice ma intenso per avvicinarle alla comprensione di una nuova idea di identità fatta di molteplici modi di esprimere il proprio sé”, ha concluso Francesca Cavallini, Docente a contratto di psicologia e disturbi del neurosviluppo presso l’Università di Parma, Founder di Tice.

A che età si possiedono (o si diventa) dei talenti? Solo da giovani oppure tutti abbiamo, sempre, molto da dare indipendentemente dall’età senza una ‘scadenza’ precisa? E come è possibile gestire la compresenza di generazioni diverse in azienda?

Sono queste alcune delle domande a cui si è cercato di rispondere nel Caring Company digital talk “Il talento non ha età: generazioni a confronto” promosso da Lifeed, attraverso le testimonianze di esperti del mondo HR, la condivisione dei dati dell’Osservatorio vita-lavoro presentati da Martina Borsato, Research & Innovation Senior Analyst di Lifeed e la moderazione di Chiara Sivieri, Customer Executive di Lifeed.

Un nuovo Age Management

Oggi, per la prima volta, all’interno delle aziende convivono ben quattro generazioni diverse: Baby Boomers, Generazione X, Millennials e Generazione Z. Una complessità senza precedenti, che può rappresentare un ostacolo oppure una fonte di ricchezza, se gestita in modo corretto.

Secondo la PwC 2015 Annual Global CEO Survey, oggi solo l’8% delle organizzazioni include l’età come parte della propria strategia di Diversity, Equity & Inclusion. Come è possibile, dunque, realizzare quello che l’Harvard Business Review chiama Age Management, cioè la gestione delle diverse generazioni in maniera strategica?

Sempre l’Harvard Business Review, nell’articolo Getting Serious About Diversity, sostiene che l’aumento del numero di persone appartenenti a gruppi diversi nella forza lavoro non basti per produrre automaticamente dei benefici. Ciò che conta è come un’organizzazione lavora sulla diversità.

In particolare sono tre i fattori per rendere la diversità una risorsa: potere (le persone sono in grado di riflettere e discutere il funzionamento del team e del modo di lavorare); parità (gli individui appartenenti a gruppi diversi hanno le stesse possibilità di accedere alle risorse economiche, decisionali, di status) apprendimento (le persone sono abilitate a riconoscere le loro differenze e ad apprendere da esse, anziché minimizzarle o negarle).

Le emozioni, i comportamenti e i talenti delle persone di diverse età funzionano in modo positivo se vengono messi in sinergia, facendo lavorare insieme le generazioni presenti in azienda.

Collaborazione tra generazioni

Tra le best practice aziendali in questo ambito, Capgemini lavora sia in modo verticale con strumenti specifici in base alle esigenze delle diverse generazioni (per esempio l’onboarding dei giovani, la figura interna del buddy, il sostegno ai caregiver e ai genitori), sia in modo orizzontale attraverso attività di ascolto, dialogo e feedback per intercettare i bisogni delle persone.

In Capgemini convivono quattro generazioni e il 65% della popolazione aziendale è composto da Generazione Z o Millennials. Come spiega Michelangelo Ceresani, VP of Human Resources & Organization Italy, l’azienda ha deciso di affiancare al board senior un ‘Next Generation Board’ composto da giovani dipendenti della Generazione Z e Millennials per collaborare attivamente su tematiche della vita aziendale come inclusione, spazi di lavoro e nuovi modi di lavorare.

La partecipazione alla vita aziendale e la collaborazione tra diverse generazioni hanno un ritorno positivo in termini di sostenibilità per le organizzazioni che vogliono essere pronte per il futuro.

Secondo Ceresani, è inoltre importante guardare all’aspetto emozionale delle persone nelle organizzazioni. Soprattutto vanno guardate le human skills e bisogna rompere gli stereotipi legati all’età, perché ognuno è portatore di unicità.

Il futuro si costruisce insieme

Anche in NTT Data convivono quattro generazioni diverse e il 53% della popolazione aziendale è composto da under 35. Per Francesca Oldani, Responsabile Culture, Mindset Change e De&I, l’ascolto è fondamentale per interpretare i diversi punti di vista e capire le aspettative delle persone. Questo permette di migliorare il senso di appartenenza e favorire così la retention dei talenti.

L’azienda, in un settore come l’IT a maggioranza maschile, lavora molto sull’inclusione di profili femminili e promuove webinar per superare i bias legati alle diverse generazioni.

In particolare, secondo Oldani, i giovani hanno il desiderio di attivarsi per migliorare la società, quindi le aziende stesse devono scendere in campo per andare incontro a questa volontà e riscrivere insieme la storia delle organizzazioni, instaurando un rapporto fondato su una comunicazione trasparente, chiara e diretta. Dando ai giovani più spazio di responsabilità, è possibile metterli in condizione di essere ‘architetti’ del proprio futuro, con vantaggi per la retention aziendale.

Nell’ottica di inclusione e sostenibilità umana, risulta importante anche investire negli over 50 e rivedere la funzione dei role model facilitando il dialogo e il confronto tra profili senior e junior, andando oltre gli stereotipi. Per riuscire a valorizzare l’identità dei singoli, secondo Oldani bisogna saper vedere le competenze non solo tecniche, ma anche quelle soft, e serve un approccio agile e flessibile.

La diversità è ricchezza se condivisa

Dall’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed emerge che le diverse generazioni, di fronte al grande cambiamento portato dalla pandemia, hanno provato emozioni diverse e hanno espresso anche comportamenti e talenti diversi.

Questa diversità rappresenta una ricchezza se condivisa e se le caratteristiche e competenze di ognuno sono abilitate a essere usate in sinergia, quindi evitando di far lavorare solo giovani con giovani e senior con serior, ma creando gruppi di lavoro eterogenei che portano con sé le unicità.

L’identità generazionale dovrebbe essere sempre una fonte di apprendimento, non di divisione, e in questo senso sarà sempre più centrale la capacità delle aziende di combinare i talenti e le competenze delle persone in maniera strutturata e strategica.

Oggi i lavoratori di ogni età e genere cercano aziende capaci di riconoscere e sostenere attivamente l’importanza di un equilibrio più sano tra lavoro e vita privata.

La cura delle persone all’interno delle organizzazioni è diventata vitale per attrarre e trattenere i talenti e per garantire la sostenibilità delle imprese.

Per rimanere competitive nel lungo periodo, le aziende non possono più rimandare azioni concrete capaci di andare davvero incontro ai bisogni degli individui, considerandoli non solo come professionisti, ma come persone a 360 gradi in un’ottica di sinergia tra vita e lavoro.

Quali sono, dunque, le nuove priorità del mondo HR e le nuove sfide delle aziende? E quali sono i bisogni chiave delle persone al lavoro?

Per rispondere a queste domande, Lifeed ha realizzato una survey che ha coinvolto 100 manager delle Risorse Umane e 500 dipendenti delle aziende. Scopri tutti i risultati nel whitepaper dedicato.

Grazie anche alla spinta data dalla certificazione per la parità di genere, oggi le iniziative di Diversity & Inclusion giocano un ruolo sempre più fondamentale nelle strategie di sviluppo delle aziende. In particolare, accrescere le soft skill delle persone aiuta a raggiungere gli obiettivi di inclusione e parità di genere.

Chiara Bacilieri, Head of Research & Innovation di Lifeed, ne ha parlato nella RoundTable organizzata da Laborability insieme con Michele Riccardi, Direttore Risorse Umane di Edenred Italia ed Elisa Pavanello, socia e avvocata di WI LEGAL.


Oggi nel mondo del lavoro, fenomeni come Grandi dimissioni e Quiet quitting rappresentano le conseguenze della ‘rottura’ del patto tra persone e aziende. Per far tornare le persone a sentirsi più vicine al loro lavoro, le imprese sono chiamate a incentrare la loro strategia HR su azioni che favoriscono il benessere, la retention, l’inclusione e lo sviluppo di competenze. Ma come è possibile realizzare concretamente la sostenibilità umana in azienda? Ne parliamo con Chiara Bacilieri, Head of Research & Innovation di Lifeed.

Chiara Bacilieri, Head of Research & Innovation di Lifeed

Come è possibile vincere queste sfide prioritarie per le aziende e gli HR manager?

Innanzitutto è necessario saper vedere e valorizzare tutto il potenziale delle persone: non solo le competenze che stanno già usando sul lavoro, ma anche i loro talenti “nascosti”. Secondo i risultati dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, le persone usano sul lavoro solo il 30-40% del loro potenziale, in termini di competenze ‘soft’. Il restante 60-70%, sviluppato nelle esperienze e nei ruoli di vita personali, resta spesso nascosto e rischia così di essere sprecato. E quando le persone non si sentono valorizzate per tutto ciò che sono e hanno da dare, è più probabile che vadano via.

Fatte queste premesse, come è possibile favorire benessere, inclusione e sviluppo di competenze?

Vedendo le persone meglio e di più di quanto sia mai stato fatto prima. Valorizzando sul lavoro le risorse che le persone hanno e usano anche fuori dal lavoro, nei ruoli personali e familiari. Per farlo, abbiamo creato una soluzione rivoluzionaria che permette all’azienda di scoprire, misurare e attivare sul lavoro tutto il potenziale delle persone e dei team: Lifeed Radar.

Cos’è Lifeed Radar?

Lifeed Radar è una soluzione digitale di sviluppo basata sulla metodologia di apprendimento proprietaria di Lifeed, il Life Based Learning, che poggia su teorie e ricerche scientifiche e psicologiche. Questa soluzione unica al mondo rivela e attiva tutto il potenziale delle persone per migliorare il benessere, accrescere le competenze e favorire l’inclusione in azienda.

Quali sono i vantaggi per le persone?

Grazie a Lifeed Radar, le persone diventano più consapevoli di sé e di tutte le risorse che hanno, dentro e fuori dal lavoro, quindi si sentono più forti e capaci sia nella vita lavorativa sia in quella privata. Tutto ciò ha un impatto diretto sul loro benessere e la loro efficacia. Lifeed Radar consente inoltre alle persone di scoprire quali competenze stanno usando in alcuni ruoli e non ancora in altri, per poi invitarle a trasferirle anche in nuovi ruoli, per esempio dalla sfera familiare a quella lavorativa.

Quali sono i vantaggi per le aziende e per i team leader?

Le aziende ne beneficiano in termini di coinvolgimento, benessere, empowerment e crescita delle persone – perché scoprono come attivare sul lavoro il loro “pieno potenziale”. Dando un messaggio importante di attenzione e di cura, le organizzazioni hanno più leve per motivare e trattenere le persone. Inoltre hanno a disposizione un report che restituisce la mappa completa delle soft skill presenti nei ruoli personali e lavorativi, possono misurare quante sono e dove si trovano e possono attivarle sul lavoro quando serve. Se usato a livello di team, Lifeed Radar diventa un efficace strumento manageriale di conoscenza, team building, engagement e sviluppo della leadership

Qual è l’impatto sugli obiettivi di sostenibilità delle aziende?

I risultati di Lifeed Radar hanno un impatto positivo sulla cultura aziendale e sull’employer branding, sia a livello dell’intera azienda sia a livello di team, e possono essere utilizzati per la misurazione dell’impatto ESG. Ricevendo dati da utilizzare per i report di sostenibilità, gli HR manager e i people manager possono contribuire attivamente alla crescita delle aziende e alla strategia di sviluppo del capitale umano, con vantaggi anche in termini di attrazione dei giovani talenti e di retention di tutte le persone.

Oggi nel mondo del lavoro la definizione di ‘talento’ è radicalmente diversa rispetto al passato. Se negli scorsi decenni il talento era considerato qualcosa di esclusivo, unico e molto raro, i cambiamenti degli ultimi anni hanno portato una nuova prospettiva: il talento è diventato inclusivo, diffuso e può essere sviluppato e trasferito tra più ambiti e ruoli (professionali e personali).

Ma le aziende hanno uno sguardo innovativo nei confronti dei talenti delle proprie persone? Dove risiede il talento? E come le organizzazioni possono attivare e moltiplicare i talenti nascosti delle persone nel loro percorso verso la sostenibilità?

Di tutto questo si è discusso nel Caring Company digital talk “Talenti e sostenibilità: un investimento a lungo termine” promosso da Lifeed, attraverso le testimonianze di esperti del mondo HR, la condivisione dei dati dell’Osservatorio vita-lavoro presentati da Martina Borsato, Research & Innovation Senior Analyst di Lifeed e la moderazione di Chiara Sivieri, Customer Executive di Lifeed.

Il talento risiede in tutti i ruoli di vita

Come spiega Stefano Angilella, HR & Facility Lead di Avanade, la concezione attuale del talento ha sostituito quella tradizionale di ‘risorse umane’ e va al di là di ciò che è immediatamente spendibile nel lavoro (le competenze hard). Per essere pronti alle sfide del futuro, è sempre più necessario sviluppare competenze di tipo soft.

Nell’ambito della cosiddetta ‘guerra dei talenti’ sul mercato, la cura delle persone a 360 gradi rappresenta un vantaggio competitivo per le aziende che vogliono attrarre talenti. Secondo Angilella, questa cura deve andare nella direzione della valorizzazione di talenti non solo collegati alla job description, ma che permettono di esprimere la molteplicità dei ruoli di vita delle persone. L’asse si sposta, dunque, dalle competenze professionali a quelle che le persone allenano in tutti i ruoli di vita, personali e professionali.

Per questo Avanade punta a creare una ‘Future ready workforce’, una popolazione aziendale pronta al domani con un bagaglio di competenze, anche soft, che consenta di restare sempre aggiornati. Nell’ambito dell’inclusione dei giovani talenti va anche la creazione, da parte dell’azienda, di un comitato chiamato Next generation board che affianca il board aziendale con l’obiettivo di capire meglio la percezione e l’impatto nell’organizzazione delle diverse iniziative aziendali.

Il talento va allenato e sviluppato

Ognuno ha almeno un talento da esprimere, perché ognuno di noi può avere una disposizione innata ad eccellere in almeno un determinato ambito. Secondo Emanuela Corsi, Talent & Inclusion Global Lottery Director di IGT, questa predisposizione può essere allenata con ambizione, spirito di collaborazione e curiosità per far emergere il talento di ciascuno.

Alle persone è dunque richiesta una learning agility che permette di continuare a imparare e crescere nel tempo. Lo sviluppo dei talenti parte dal singolo, che può definire il proprio piano di sviluppo individuale. Spetta poi alle organizzazioni abilitare tutto ciò, considerando anche le competenze soft oltre a quelle hard e favorendo la sinergia vita-lavoro. In questo modo, per le aziende è possibile raggiungere gli obiettivi di inclusione, sostenibilità e produttività.

Il talento è diffuso e inclusivo

Per Lucia Monaci, Head of Development e DE&I Manager di Unicredit, avere un talento significa essere unici, con caratteristiche distintive rispetto agli altri da identificare, formare e sviluppare. Il talento accomuna tutti ed è ciò che permette di fare bene quello che facciamo ogni giorno. Tutto questo si traduce in una visione più inclusiva del talento.

Questa visione inclusiva è necessaria in particolare oggi, alla luce di fenomeni come Great resignation e Quiet quitting, con cui le aziende devono fare i conti. C’è inoltre un profondo solco tra generazioni, in particolare fra boomer che ricoprono ruoli apicali e giovani millennials e Generazione Z che danno maggiore importanza alla qualità del lavoro e della vita. Le aziende sono chiamate a intercettare i loro bisogno e a prendersi cura delle persone.

Secondo Monaci, essere una Caring Company è l’unica via da seguire per le aziende che vogliono garantire la propria sostenibilità nel tempo.

Con questa visione, Unicredit ha lanciato il progetto ‘Talento diffuso’, iniziativa di ascolto per rispondere al bisogno di riconoscimento e coinvolgimento delle persone. Il progetto punta ad accelerare la trasformazione culturale, concentrandosi sulla cura dei colleghi e sulla responsabilizzazione dei manager, e mira a mappare i punti di forza delle persone per massimizzare la loro efficacia nei rispettivi ruoli.

Le leve del talent management

Attrarre e trattenere talenti è una delle priorità considerate business critical delle aziende oggi. Secondo i dati dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, rappresenta la sfida principale per il 54% degli HR: un dato che trova corrispondenza con numerose ricerche internazionali.

Ma quali sono le leve su cui puntare per vincere questa sfida? Per rispondere a questa domanda, Lifeed ha realizzato l’Impact Report 2023 “Le 4 leve della talent attraction e retention”.