Grazie anche alla spinta data dalla certificazione per la parità di genere, oggi le iniziative di Diversity & Inclusion giocano un ruolo sempre più fondamentale nelle strategie di sviluppo delle aziende. In particolare, accrescere le soft skill delle persone aiuta a raggiungere gli obiettivi di inclusione e parità di genere.

Chiara Bacilieri, Head of Research & Innovation di Lifeed, ne ha parlato nella RoundTable organizzata da Laborability insieme con Michele Riccardi, Direttore Risorse Umane di Edenred Italia ed Elisa Pavanello, socia e avvocata di WI LEGAL.


Oggi nel mondo del lavoro, fenomeni come Grandi dimissioni e Quiet quitting rappresentano le conseguenze della ‘rottura’ del patto tra persone e aziende. Per far tornare le persone a sentirsi più vicine al loro lavoro, le imprese sono chiamate a incentrare la loro strategia HR su azioni che favoriscono il benessere, la retention, l’inclusione e lo sviluppo di competenze. Ma come è possibile realizzare concretamente la sostenibilità umana in azienda? Ne parliamo con Chiara Bacilieri, Head of Research & Innovation di Lifeed.

Chiara Bacilieri, Head of Research & Innovation di Lifeed

Come è possibile vincere queste sfide prioritarie per le aziende e gli HR manager?

Innanzitutto è necessario saper vedere e valorizzare tutto il potenziale delle persone: non solo le competenze che stanno già usando sul lavoro, ma anche i loro talenti “nascosti”. Secondo i risultati dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, le persone usano sul lavoro solo il 30-40% del loro potenziale, in termini di competenze ‘soft’. Il restante 60-70%, sviluppato nelle esperienze e nei ruoli di vita personali, resta spesso nascosto e rischia così di essere sprecato. E quando le persone non si sentono valorizzate per tutto ciò che sono e hanno da dare, è più probabile che vadano via.

Fatte queste premesse, come è possibile favorire benessere, inclusione e sviluppo di competenze?

Vedendo le persone meglio e di più di quanto sia mai stato fatto prima. Valorizzando sul lavoro le risorse che le persone hanno e usano anche fuori dal lavoro, nei ruoli personali e familiari. Per farlo, abbiamo creato una soluzione rivoluzionaria che permette all’azienda di scoprire, misurare e attivare sul lavoro tutto il potenziale delle persone e dei team: Lifeed Radar.

Cos’è Lifeed Radar?

Lifeed Radar è una soluzione digitale di sviluppo basata sulla metodologia di apprendimento proprietaria di Lifeed, il Life Based Learning, che poggia su teorie e ricerche scientifiche e psicologiche. Questa soluzione unica al mondo rivela e attiva tutto il potenziale delle persone per migliorare il benessere, accrescere le competenze e favorire l’inclusione in azienda.

Quali sono i vantaggi per le persone?

Grazie a Lifeed Radar, le persone diventano più consapevoli di sé e di tutte le risorse che hanno, dentro e fuori dal lavoro, quindi si sentono più forti e capaci sia nella vita lavorativa sia in quella privata. Tutto ciò ha un impatto diretto sul loro benessere e la loro efficacia. Lifeed Radar consente inoltre alle persone di scoprire quali competenze stanno usando in alcuni ruoli e non ancora in altri, per poi invitarle a trasferirle anche in nuovi ruoli, per esempio dalla sfera familiare a quella lavorativa.

Quali sono i vantaggi per le aziende e per i team leader?

Le aziende ne beneficiano in termini di coinvolgimento, benessere, empowerment e crescita delle persone – perché scoprono come attivare sul lavoro il loro “pieno potenziale”. Dando un messaggio importante di attenzione e di cura, le organizzazioni hanno più leve per motivare e trattenere le persone. Inoltre hanno a disposizione un report che restituisce la mappa completa delle soft skill presenti nei ruoli personali e lavorativi, possono misurare quante sono e dove si trovano e possono attivarle sul lavoro quando serve. Se usato a livello di team, Lifeed Radar diventa un efficace strumento manageriale di conoscenza, team building, engagement e sviluppo della leadership

Qual è l’impatto sugli obiettivi di sostenibilità delle aziende?

I risultati di Lifeed Radar hanno un impatto positivo sulla cultura aziendale e sull’employer branding, sia a livello dell’intera azienda sia a livello di team, e possono essere utilizzati per la misurazione dell’impatto ESG. Ricevendo dati da utilizzare per i report di sostenibilità, gli HR manager e i people manager possono contribuire attivamente alla crescita delle aziende e alla strategia di sviluppo del capitale umano, con vantaggi anche in termini di attrazione dei giovani talenti e di retention di tutte le persone.

Oggi nel mondo del lavoro la definizione di ‘talento’ è radicalmente diversa rispetto al passato. Se negli scorsi decenni il talento era considerato qualcosa di esclusivo, unico e molto raro, i cambiamenti degli ultimi anni hanno portato una nuova prospettiva: il talento è diventato inclusivo, diffuso e può essere sviluppato e trasferito tra più ambiti e ruoli (professionali e personali).

Ma le aziende hanno uno sguardo innovativo nei confronti dei talenti delle proprie persone? Dove risiede il talento? E come le organizzazioni possono attivare e moltiplicare i talenti nascosti delle persone nel loro percorso verso la sostenibilità?

Di tutto questo si è discusso nel Caring Company digital talk “Talenti e sostenibilità: un investimento a lungo termine” promosso da Lifeed, attraverso le testimonianze di esperti del mondo HR, la condivisione dei dati dell’Osservatorio vita-lavoro presentati da Martina Borsato, Research & Innovation Senior Analyst di Lifeed e la moderazione di Chiara Sivieri, Customer Executive di Lifeed.

Il talento risiede in tutti i ruoli di vita

Come spiega Stefano Angilella, HR & Facility Lead di Avanade, la concezione attuale del talento ha sostituito quella tradizionale di ‘risorse umane’ e va al di là di ciò che è immediatamente spendibile nel lavoro (le competenze hard). Per essere pronti alle sfide del futuro, è sempre più necessario sviluppare competenze di tipo soft.

Nell’ambito della cosiddetta ‘guerra dei talenti’ sul mercato, la cura delle persone a 360 gradi rappresenta un vantaggio competitivo per le aziende che vogliono attrarre talenti. Secondo Angilella, questa cura deve andare nella direzione della valorizzazione di talenti non solo collegati alla job description, ma che permettono di esprimere la molteplicità dei ruoli di vita delle persone. L’asse si sposta, dunque, dalle competenze professionali a quelle che le persone allenano in tutti i ruoli di vita, personali e professionali.

Per questo Avanade punta a creare una ‘Future ready workforce’, una popolazione aziendale pronta al domani con un bagaglio di competenze, anche soft, che consenta di restare sempre aggiornati. Nell’ambito dell’inclusione dei giovani talenti va anche la creazione, da parte dell’azienda, di un comitato chiamato Next generation board che affianca il board aziendale con l’obiettivo di capire meglio la percezione e l’impatto nell’organizzazione delle diverse iniziative aziendali.

Il talento va allenato e sviluppato

Ognuno ha almeno un talento da esprimere, perché ognuno di noi può avere una disposizione innata ad eccellere in almeno un determinato ambito. Secondo Emanuela Corsi, Talent & Inclusion Global Lottery Director di IGT, questa predisposizione può essere allenata con ambizione, spirito di collaborazione e curiosità per far emergere il talento di ciascuno.

Alle persone è dunque richiesta una learning agility che permette di continuare a imparare e crescere nel tempo. Lo sviluppo dei talenti parte dal singolo, che può definire il proprio piano di sviluppo individuale. Spetta poi alle organizzazioni abilitare tutto ciò, considerando anche le competenze soft oltre a quelle hard e favorendo la sinergia vita-lavoro. In questo modo, per le aziende è possibile raggiungere gli obiettivi di inclusione, sostenibilità e produttività.

Il talento è diffuso e inclusivo

Per Lucia Monaci, Head of Development e DE&I Manager di Unicredit, avere un talento significa essere unici, con caratteristiche distintive rispetto agli altri da identificare, formare e sviluppare. Il talento accomuna tutti ed è ciò che permette di fare bene quello che facciamo ogni giorno. Tutto questo si traduce in una visione più inclusiva del talento.

Questa visione inclusiva è necessaria in particolare oggi, alla luce di fenomeni come Great resignation e Quiet quitting, con cui le aziende devono fare i conti. C’è inoltre un profondo solco tra generazioni, in particolare fra boomer che ricoprono ruoli apicali e giovani millennials e Generazione Z che danno maggiore importanza alla qualità del lavoro e della vita. Le aziende sono chiamate a intercettare i loro bisogno e a prendersi cura delle persone.

Secondo Monaci, essere una Caring Company è l’unica via da seguire per le aziende che vogliono garantire la propria sostenibilità nel tempo.

Con questa visione, Unicredit ha lanciato il progetto ‘Talento diffuso’, iniziativa di ascolto per rispondere al bisogno di riconoscimento e coinvolgimento delle persone. Il progetto punta ad accelerare la trasformazione culturale, concentrandosi sulla cura dei colleghi e sulla responsabilizzazione dei manager, e mira a mappare i punti di forza delle persone per massimizzare la loro efficacia nei rispettivi ruoli.

Le leve del talent management

Attrarre e trattenere talenti è una delle priorità considerate business critical delle aziende oggi. Secondo i dati dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, rappresenta la sfida principale per il 54% degli HR: un dato che trova corrispondenza con numerose ricerche internazionali.

Ma quali sono le leve su cui puntare per vincere questa sfida? Per rispondere a questa domanda, Lifeed ha realizzato l’Impact Report 2023 “Le 4 leve della talent attraction e retention”.

GRENKE, società specializzata nel noleggio operativo B2B, aveva l’obiettivo di rimuovere le criticità e gli ostacoli tra le situazioni di vita privata delle persone (genitorialità, caregiving) e le loro performance al lavoro.

L’azienda cercava uno strumento per dare sostegno concreto alle persone nella loro gestione dell’equilibrio vita-lavoro e per valorizzare tutte le competenze allenate nelle esperienze private di cura.

GRENKE ha introdotto inizialmente il percorso Lifeed per i dipendenti neogenitori con figli da zero a tre anni.

Questa esperienza positiva ha convinto l’azienda ad ampliare la collaborazione nel corso degli anni successivi con l’aggiunta del percorso Lifeed per i dipendenti caregiver.

“Siamo fieri di essere riconosciuti come una Caring Company. Insieme a Lifeed abbiamo dimostrato che le esperienze come la genitorialità e il caring sono in grado di far sviluppare competenze utili anche sul lavoro. Investire nella cura delle persone rappresenta un ritorno in termini di obiettivi aziendali”, spiega Chiara Ros, Team Leader HR People & Culture di GRENKE Italy.

Chiesi Group è tra le prime 50 aziende farmaceutiche al mondo. Per le sue iniziative di people care è entrata a far parte di Caring Company, la community di Lifeed dedicata alle imprese capaci di valorizzare le persone e di esprimere un ruolo sociale tramite azioni concrete e misurabili.

Chiesi aveva l’esigenza di offrire servizi personalizzati ai dipendenti, in particolare i neogenitori, per migliorare il loro benessere e sviluppare le loro competenze e performance.

Con il percorso ‘Genitori che nascono’ di Lifeed, Chiesi intende sviluppare nelle persone le competenze relazionali e organizzative trasferibili dalla vita privata al lavoro.

“La genitorialità è una di quelle esperienze extra-lavorative ‘non convenzionali’ che fanno curriculum. Con Lifeed le persone hanno capito quanto sia importante trovare un’armonia nella vita, che include ovviamente anche il lavoro e prendersi il giusto tempo per sé”, spiega Arianna Conca, Global Diversity & Inclusion and Wellbeing Manager di Chiesi Group.

“Si è creato un nuovo mindset orientato a una maggiore responsabilità individuale. Se le persone stanno meglio, ne beneficia anche il business”.

La pandemia ha rivoluzionato il modo in cui le persone vedono il rapporto tra vita e lavoro. Oggi l’81% dei lavoratori considera la carriera professionale solo una parte di una vita piena e realizzata (ManpowerGroup, The New Human Age: 2023 Workforce Trends).

I lavoratori di ogni età e genere cercano aziende capaci di riconoscere e sostenere attivamente l’importanza di un equilibrio più sano tra lavoro e vita privata.

In uno scenario caratterizzato da trend globali come Quiet quitting, Great resignation, scarsa salute mentale e poco coinvolgimento nel proprio lavoro, le aziende possono avere un ruolo attivo nella cura delle loro persone per attrarre e trattenere i talenti, favorendo la sostenibilità dell’impresa. E i dati di Lifeed lo dimostrano.

Per attrarre, mantenere e sviluppare i talenti, le organizzazioni devono intervenire su quattro aree principali:

La ricerca

In questo report sono presentati i dati raccolti dalla Survey 2022 di Lifeed che ha analizzato le risposte di 1.125 partecipanti ai suoi percorsi di apprendimento. Sono emerse competenze e talenti sviluppati dalle persone nelle loro transizioni di vita: diventare genitori o caregiver o attraversare un periodo di forte cambiamento come affrontare le conseguenze della pandemia e cambiare lavoro.

L’analisi dei risultati dimostra l’efficacia del Life Based Learning, il metodo ideato da Lifeed che permette alle persone di trasferire le proprie competenze soft e i talenti dalla vita privata al lavoro e viceversa.

Dopo l’arrivo della pandemia, il fenomeno del parental burnout è sempre più diffuso. Oltre 52mila mamme e papà hanno dato le dimissioni in un anno in Italia (Dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro sul 2021). Un tesoro sprecato di energia, competenze e talenti per le aziende.

Il work-life balance rappresenta una corsa a ostacoli quotidiana per i genitori, alla continua ricerca di un equilibrio tra gli impegni della vita privata e quelli professionali.

Ma oggi le organizzazioni possono vedere e usare i talenti che i propri dipendenti genitori allenano ogni giorno prendendosi cura dei figli. In questo modo, le aziende migliorano benessere, engagement e produttività delle persone.

Come è possibile, dunque, attivare tutte le competenze soft di mamme e papà in azienda? Scoprilo nel whitepaper di Lifeed “Genitori, talenti al lavoro”.

La componente umana e sociale della sostenibilità è sempre più rilevante nel mondo del lavoro. Lo conferma il fatto che a fine 2022 il Consiglio dell’Unione europea abbia approvato definitivamente la Direttiva sulla comunicazione societaria sulla sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD). La norma impone alle grandi imprese di rendere pubblici i dati sulla loro impronta non solo ambientale, ma anche dal punto di vista sociale.

I nuovi obblighi si applicheranno, dal 1 gennaio 2025, alle grandi imprese con più di 500 dipendenti e a tutte le aziende con più di 250 persone e con un fatturato pari o superiore ai 40 milioni di euro, mentre per le Piccole e medie imprese (PMI) è prevista una deroga fino al 2028.

Oltre ad avere un impatto sulla reputazione delle aziende, la Direttiva è destinata a influenzare le decisioni degli investitori legate agli indicatori ESG (Environmental, Social and Governance) che rappresentano i criteri di scelta degli investimenti sostenibili in tutte quelle attività che tengono in considerazione aspetti di natura ambientale, sociale e di governance. Si tratta di un trend in continua crescita, come conferma un recente studio di Gallup, secondo cui già oggi il 48% degli investitori è interessato proprio ai fondi per gli investimenti sostenibili.

Ai fini della redazione del bilancio di sostenibilità, agli indicatori ESG si affiancano gli SDG (Sustainable Development Goals) gli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti dalle Nazioni Unite, conosciuti anche come Agenda 2030, per contribuire allo sviluppo globale, promuovere il benessere umano e proteggere l’ambiente.

L’impronta dell’HR sul futuro

L’aspetto sociale della sostenibilità deve quindi essere centrale nella strategia futura delle aziende. Non bisogna dimenticare che il primo utilizzo del termine ‘sostenibilità’ fa proprio riferimento alla componente umana. Risale al 1987, quando un gruppo di politici guidati dall’allora premier norvegese Gro Harlem Brundtland dichiarò – nel rapporto “Il nostro futuro comune” sotto l’egida delle Nazioni Unite – che lo sviluppo, per essere davvero sostenibile, deve soddisfare i bisogni del presente senza compromettere il benessere delle generazioni future.

Lasciare in eredità un mondo sostenibile è un’attività che riguarda anche le aziende, nelle quali la gestione quotidiana e la valorizzazione delle persone spettano alla Direzione HR, chiamata a favorire il benessere organizzativo e a garantire il futuro dell’impresa. Lo sviluppo organizzativo e quello personale, infatti, sono sempre interconnessi. Oltre al profitto, l’azienda può produrre valore sociale per la collettività e il territorio in un’ottica di comunità, come sosteneva l’imprenditore Adriano Olivetti.

Per realizzare questo tipo di sostenibilità, le aziende non possono più scegliere tra benessere e sviluppo. Solo smettendo di vedere un trade-off tra queste due componenti, la Direzione Risorse Umane potrà lasciare la sua HR footprint’, l’impronta sul presente e sul futuro dell’azienda e della società.

Il contributo di Lifeed per aziende sostenibili

Lifeed promuove la sostenibilità nel mondo del lavoro e, in questa direzione, contribuisce al raggiungimento degli obiettivi SDG e ESG delle imprese, in particolare riguardo agli indicatori di sviluppo del capitale umano utili per redigere il bilancio di sostenibilità. A conferma di questo, Lifeed è stata inserita in numerosi report di sostenibilità da parte delle aziende nel corso del tempo.

Nello specifico, a livello SDG Lifeed contribuisce con le proprie attività al raggiungimento degli obiettivi:

A livello ESG, Lifeed contribuisce con le proprie attività ad agire sugli indicatori:

L’iniziativa Caring Company di Lifeed cresce sempre di più grazie all’impegno delle numerose aziende protagoniste della community. Il progetto è nato nel 2022 come riconoscimento alle imprese che:


Oggi Caring Company è ancora di più: uno spazio di condivisione e confronto tra imprese che vogliono fare la differenza nella valorizzazione delle persone per guidare il cambiamento mettendo la cura al centro delle loro strategie.

Le Caring Company hanno sfide importanti da affrontare in un contesto lavorativo che vede le persone allontanarsi dai valori aziendali. Secondo il Report 2022 State of the Global Workplace di Gallup, solo il 4% degli italiani si sente coinvolto nel proprio lavoro. I dati dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, raccolti negli anni attraverso le riflessioni di 40 mila lavoratori in più di 100 aziende italiane e globali, invece, dimostrano che quando le imprese investono nello sviluppo delle persone grazie a percorsi di self-coaching aumentano l’engagement e le risorse disponibili.

Nello scenario particolarmente complesso di oggi, le aziende sono chiamate ad affrontare nuove sfide che vedono le persone al centro dello sviluppo e delle strategie di sostenibilità. Per questo motivo, Lifeed ha accolto con favore la crescita del numero delle Caring Company che con coraggio alimentano il progetto dando vita a una community di innovatori.

Nel 2023 Lifeed riconosce quindi 14 nuove aziende con il titolo di Caring Company tra cui: BCC Banca Iccrea e BCC Roma (Gruppo BCC Iccrea), Biogen Italia, Cassa Depositi e Prestiti (CDP), Gruppo Casillo, Happy Child, Leonardo, Liu Jo, Nespresso Italiana, Sperlari, Takeda Italia, Valore D.

Aziende pronte per il futuro

I valori di Caring Company sono sintetizzati nel Manifesto che accompagna le aziende nel percorso di innovazione intrapreso con Lifeed. Le Caring Company contribuiscono così alla crescita della loro comunità e a un cambiamento culturale necessario al Paese.

L’appartenenza alla community delle Caring Company permette alle aziende di essere riconoscibili come pronte per il futuro e capaci di mettere davvero le persone al centro, esprimendo un ruolo sociale con azioni concrete e misurabili in un’ottica di sostenibilità umana.

“L’attenzione verso le persone ripaga le aziende: la vita può diventare motore di risorse e innovazione, ma occorre avere il coraggio di cambiare alcune prospettive obsolete. Le Caring Company che lo fanno, e hanno voglia di fare sistema intorno a una nuova definizione di capitale umano, ne raccoglieranno i frutti”, dichiara Riccarda Zezza, CEO di Lifeed.

L’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed accompagna l’iniziativa Caring Company e rappresenta un punto di vista privilegiato sul rapporto tra aziende e persone, rilevando le emozioni, le aspettative, i bisogni e i talenti di chi è coinvolto nei percorsi Lifeed.

Celebrando l’ingresso di nuovi membri nella community, l’Osservatorio ha lanciato un’indagine per fotografare il mondo del lavoro attraverso la lente dei membri della community e il coinvolgimento degli esperti HR delle aziende.

Le testimonianze delle imprese

Barbara Falcomer, Direttrice Generale di Valore D ha commentato: “Per Valore D, in quanto associazione che si occupa dal 2009 di cultura e leadership inclusiva nelle organizzazioni, è un dato di fatto che l’innovazione scaturisce dalla diversità, dalla pluralità di punti di vista, e che la competitività di un impresa è legata alla valorizzazione del capitale umano. Come team di persone abbiamo l’ambizione di essere una Caring Company, capace di riconoscere il contributo individuale, prendersi cura delle persone  e del loro potenziale, per generare innovazione, benessere organizzativo e individuale. In questo siamo molto in sintonia con il lavoro di Lifeed”.

“La valorizzazione della genitorialità e delle competenze ad essa associate è stata al centro del progetto BCC Banca Iccrea dedicato a tutti dipendenti di Capogruppo e Società del Perimetro Diretto con figli da 0 a 18 anni. Il percorso “Genitori che nascono, genitori che crescono” è finalizzato a favorire il benessere ed a migliorare la sinergia vita-lavoro, rappresentando un’occasione unica di crescita personale e professionale, attraverso il potenziamento di capacità relazionali, emozionali, organizzative spendibili anche in ambito lavorativo. Tutto questo perché…essere genitori è un master!” dichiara Paolo Tripodi, Chief Human Resources Officer e Chief Operating Officer di BCC Banca Iccrea.

“Siamo convinti che il vero cuore della scienza sia l’umanità: innovazione e progresso sono possibili solo se si rimane focalizzati sulle persone e sulle loro esigenze. E questo vale anche per i bisogni delle persone che lavorano con noi. – spiega  Cecilia Masserini, Head of HR e Chief Happiness Officer di Biogen Italia – Essere riconosciuti come Caring Company da Lifeed ci riempie di orgoglio ed è una testimonianza del nostro impegno quotidiano per creare un ambiente di lavoro stimolante, coinvolgente e flessibile, in cui le persone possano crescere, sia professionalmente sia umanamente. Abbiamo voluto offrire ai neogenitori che lavorano con noi la possibilità di formarsi attraverso il master  ‘Genitori che nascono’: un’occasione per imparare a sfruttare in modo trasversale alcune capacità utili sia in famiglia che sul lavoro. Si tratta di un percorso in linea con il nostro modello organizzativo innovativo, B-Positive, basato sulla convinzione che la felicità sia una competenza e che come tale possa essere allenata: energia, creatività e diversità sono valorizzate attraverso soluzioni altamente flessibili e personalizzate, per abbracciare le esigenze di tutte e tutti, genitori in primis”.

“Takeda è un’azienda che da sempre mette al centro le proprie persone. Il percorso Caregiver Lifeed si inserisce nel nostro impegno per tutelare e promuovere il benessere delle persone attraverso una cultura inclusiva, che favorisca sempre di più un’equilibrata integrazione tra vita personale  e professionale. Supportiamo i nostri dipendenti nel percorso di vita, personale, professionale e sociale, perché riteniamo che la valorizzazione delle diverse competenze possa essere di aiuto per le persone e per l’azienda stessa. Prendersi cura di altri è un prezioso gesto di altruismo, un incredibile esercizio di analisi introspettiva ed un’occasione di sviluppo delle proprie capacità che ci porta a trasformare una sfida in opportunità. Opportunità per apprendere qualcosa di nuovo, di necessario e per crescere” afferma Giovanna Nazzaro, Ethics & Compliance Head Takeda Italia.

“Happy Child affronta quotidianamente la sfida della maternità sia sul fronte dei dipendenti, che delle famiglie clienti – dice il CEO di Happy Child, AnnaChiara Zecchel -La popolazione prettamente femminile e giovane dell’azienda richiede un forte commitment sul supporto alle neo mamme e l’adesione al percorso Lifeed può essere un valido aiuto per chi sta affondando il delicato momento del rientro al lavoro. L’attenzione alle neo-mamme si propaga anche alle famiglie del network HC che, a oggi, conta oltre 25 asili nido bilingue con oltre 900 famiglie iscritte. I temi della conciliazione, del bilanciamento, dell’equilibrio sono argomenti di formazione continua e la grande sfida è trovare modi nuovi perché i valori diventino un percorso efficace per le persone coinvolte”.

Tra i principi fondanti di Caring Company, la community di Lifeed dedicata alle imprese che vogliono fare la differenza nella cura delle persone, c’è la valorizzazione della diversità e unicità intesa come un motore di innovazione. Nello scenario fortemente complesso di oggi, questa tematica è diventata un’urgenza, in particolare all’interno delle aziende che considerano prioritario favorire il benessere organizzativo e la sostenibilità umana.

Di tutto questo abbiamo parlato con Lucia Pellino, Diversity & Inclusion Director di Lavazza Group, che racconta la sua visione e i progetti dell’azienda nell’ambito della sua strategia di inclusione.

Lucia Pellino, Diversity & Inclusion Director di Lavazza Group

La sostenibilità umana è legata alla valorizzazione delle diversità: come è possibile superare gli stereotipi e far emergere i talenti nascosti delle persone?

I bias e l’ignoranza, intesa come non conoscenza del diverso, rappresentano le grandi barriere allo sviluppo degli individui nelle aziende, con un impatto su chi assumiamo, chi valorizziamo, a chi diamo visibilità, chi premiamo, chi facciamo crescere e a chi diamo potere. Ma queste barriere si possono superare puntando su consapevolezza, informazione e conoscenza. La strada da fare è spesso in salita, perché la nostra mentalità ci vede sempre inclini a preferire ciò che già conosciamo o che è simile a noi, mentre non siamo attratti naturalmente dall’ignoto e da ciò che implica un maggiore impiego di energie e di tempo.

È un principio economico: si fa meno fatica…

Sì, ma quando il sistema diventa molto complesso, richiede la necessità di trovare soluzioni nuove, innovative, non le solite. Ciò è possibile se includiamo veramente la diversità, se siamo quindi capaci di ascoltare, comprendere e abbracciare punti di vista differenti, esperienze diverse, approcci e metodi diversi. Questo certamente richiede una grande fatica. Come diceva Albert Einstein, “è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”.

Quindi come si fa?

Si fa con tanta pazienza e coraggio, passo dopo passo, con continua sollecitazione, informazione, sensibilizzazione, ingaggio, formazione e alle volte anche qualche forzatura è necessaria. E a livello individuale, approfondendo la conoscenza della persona molto di più. La superficialità e la fretta non aiutano l’abbattimento dei pregiudizi, anzi li facilitano. Dobbiamo andare in profondità. Si tratta di un processo lungo che richiede a tutti noi di metterci in profonda discussione. Purtroppo questo richiede tempo, come tutto ciò che è sostenibile. Slow Food lo disse forse prima di tutti: è la lentezza che ci salverà!

Sempre in ambito D&I, nel 2020 Lavazza ha avviato il programma ‘Gap Free’: di cosa si tratta e quali sono gli obiettivi? 

Nell’ambito dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, Lavazza ha scelto di impegnarsi in particolare su quattro Sustainable Development Goals (SDG) tra cui il numero 5 sulla Parità di genere. Una decisione che si declina non solo nell’attività esterna dell’azienda, ma anche come progetto interno attraverso il programma ‘Gap Free’, lanciato in collaborazione tra i dipartimenti HR e Sustainability, che punta a eliminare tutte le barriere che ostacolano la creazione di un ambiente di lavoro diversificato e inclusivo, per valorizzare l’unicità e l’autenticità di ognuno e per innescare un cambiamento culturale profondo. L’obiettivo del progetto è far sì che ognuno si senta benvenuto e rispettato nella propria unicità per creare valore condiviso. Lo conferma in modo emblematico il fatto che il nostro Manifesto sia stato scritto con la collaborazione diretta delle persone di Lavazza in un’ottica di co-creazione.

Un cambio di paradigma culturale sta avvenendo anche sul tema della genitorialità al lavoro: qual è la vostra visione a riguardo?

Siamo un’azienda familiare, il concetto della famiglia (di qualsiasi tipo) ci è quindi molto caro. Per Lavazza è un valore essere genitore e portare questa esperienza nella vita professionale. Per noi la maternità non è un gap ma, anzi, rappresenta una risorsa. Riteniamo che vadano cancellati certi stereotipi per facilitare un maggior bilanciamento dei carichi e quindi anche valorizzare il ruolo della paternità non come surrogato della maternità. Anche attraverso i percorsi e i webinar di Lifeed, puntiamo a informare e sensibilizzare le persone sul superamento degli stereotipi della genitorialità e sul trasferimento di competenze dalla vita privata al lavoro.

A proposito di genitorialità, qual era l’esigenza che vi ha spinti a scegliere i percorsi Lifeed per i vostri collaboratori che hanno figli?

Nell’azione di ascolto che abbiamo fatto all’inizio del programma Gap Free è emerso, soprattutto dalla componente femminile, che la maternità è ancora circondata da molti stereotipi e che rappresenta ancora una potenziale barriera alla partecipazione, ala valorizzazione e al benessere delle donne sul lavoro. Per questo ci stiamo impegnando con azioni e iniziative a sostegno della genitorialità e della cancellazione degli stereotipi e pregiudizi che la circondano. La cura è un nostro carattere distintivo. Insieme a Lifeed abbiamo voluto dimostrare che avere ruoli di cura non è un ostacolo, ma un valore. Lifeed sposa appieno la nostra visione, attraverso i suoi percorsi che permettono alle persone di scoprire quanto le competenze che sviluppano e mettono in pratica a casa possano essere utili anche al lavoro con colleghi e collaboratori.

Qual è stato l’impatto dei percorsi Lifeed in Lavazza?

Lifeed ci ha aiutato ad aumentare la consapevolezza delle persone sul fatto che la cura è una competenza fondamentale da portare sul lavoro. Oggi i nostri collaboratori parlano più spesso di questi temi anche nei confronti dei colleghi, non solo riguardo alla cura dei propri familiari. Sentono di usare meglio le loro energie a casa e sul lavoro e di avere strumenti in più, che danno loro maggiore empowerment. Il beneficio principale è dunque la maggiore consapevolezza del fatto che le competenze allenate nelle esperienze di vita possono essere utili anche sul lavoro.
In particolare, l’83% dei partecipanti di Lavazza ai percorsi Lifeed ha allenato la capacità di analisi e problem solving. L’89% ha sviluppato la propria leadership, mentre il 90% ha migliorato la capacità di collaborare e l’87% ha allenato la propria intelligenza emotiva.

Quali sono i vostri progetti futuri per valorizzare la diversità e unicità delle persone?

Nell’ambito del progetto Gap Free, lavoriamo su tre filoni per valorizzare l’unicità di ognuno, andando oltre alle tradizionali categorie: il primo ha l’obiettivo di sviluppare una cultura bias free, attraverso apposite attività di formazione, informazione e ingaggio delle persone verso il cambiamento (anche riguardo ai gap generazionali).
Il secondo filone riguarda il modello di lavoro e la diversificazione di opportunità e profili. Le persone saranno presto coinvolte in gruppi di interesse, ERG, guidati dai nostri ambassador, che noi chiamiamo Activator. A livello centrale stiamo lavorando su vari processi HR, ad esempio per cercare di rendere il processo di recruiting meno soggetto a stereotipi e pregiudizi e per portare avanti il nostro programma sulla leadership femminile per creare sempre più role model a cui ispirarsi e diversificare gli stili di leadership all’interno dell’azienda.

Il terzo filone è quello della leadership inclusiva. Da quest’anno abbiamo introdotto i comportamenti inclusivi all’interno del nostro processo di performance, per cui le persone saranno valutate non solo sui risultati, ma anche sun un certo tipo di comportamenti allineati ai nostri valori.
Nel prossimo futuro vogliamo inoltre lavorare sull’intersezionalità. Ci piacerebbe poterlo fare raccontando le storie delle persone. Quando si conosce l’altra persona veramente, la sua storia, con tutte le difficoltà e gli ostacoli, si entra in una dimensione più empatica che fa comprendere e quindi anche apprezzare la sua unicità.