La componente umana e sociale della sostenibilità è sempre più rilevante nel mondo del lavoro. Lo conferma il fatto che a fine 2022 il Consiglio dell’Unione europea abbia approvato definitivamente la Direttiva sulla comunicazione societaria sulla sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD). La norma impone alle grandi imprese di rendere pubblici i dati sulla loro impronta non solo ambientale, ma anche dal punto di vista sociale.
I nuovi obblighi si applicheranno, dal 1 gennaio 2025, alle grandi imprese con più di 500 dipendenti e a tutte le aziende con più di 250 persone e con un fatturato pari o superiore ai 40 milioni di euro, mentre per le Piccole e medie imprese (PMI) è prevista una deroga fino al 2028.
Oltre ad avere un impatto sulla reputazione delle aziende, la Direttiva è destinata a influenzare le decisioni degli investitori legate agli indicatori ESG (Environmental, Social and Governance) che rappresentano i criteri di scelta degli investimenti sostenibili in tutte quelle attività che tengono in considerazione aspetti di natura ambientale, sociale e di governance. Si tratta di un trend in continua crescita, come conferma un recente studio di Gallup, secondo cui già oggi il 48% degli investitori è interessato proprio ai fondi per gli investimenti sostenibili.
Ai fini della redazione del bilancio di sostenibilità, agli indicatori ESG si affiancano gli SDG (Sustainable Development Goals) gli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti dalle Nazioni Unite, conosciuti anche come Agenda 2030, per contribuire allo sviluppo globale, promuovere il benessere umano e proteggere l’ambiente.
L’aspetto sociale della sostenibilità deve quindi essere centrale nella strategia futura delle aziende. Non bisogna dimenticare che il primo utilizzo del termine ‘sostenibilità’ fa proprio riferimento alla componente umana. Risale al 1987, quando un gruppo di politici guidati dall’allora premier norvegese Gro Harlem Brundtland dichiarò – nel rapporto “Il nostro futuro comune” sotto l’egida delle Nazioni Unite – che lo sviluppo, per essere davvero sostenibile, deve soddisfare i bisogni del presente senza compromettere il benessere delle generazioni future.
Lasciare in eredità un mondo sostenibile è un’attività che riguarda anche le aziende, nelle quali la gestione quotidiana e la valorizzazione delle persone spettano alla Direzione HR, chiamata a favorire il benessere organizzativo e a garantire il futuro dell’impresa. Lo sviluppo organizzativo e quello personale, infatti, sono sempre interconnessi. Oltre al profitto, l’azienda può produrre valore sociale per la collettività e il territorio in un’ottica di comunità, come sosteneva l’imprenditore Adriano Olivetti.
Per realizzare questo tipo di sostenibilità, le aziende non possono più scegliere tra benessere e sviluppo. Solo smettendo di vedere un trade-off tra queste due componenti, la Direzione Risorse Umane potrà lasciare la sua ‘HR footprint’, l’impronta sul presente e sul futuro dell’azienda e della società.
Lifeed promuove la sostenibilità nel mondo del lavoro e, in questa direzione, contribuisce al raggiungimento degli obiettivi SDG e ESG delle imprese, in particolare riguardo agli indicatori di sviluppo del capitale umano utili per redigere il bilancio di sostenibilità. A conferma di questo, Lifeed è stata inserita in numerosi report di sostenibilità da parte delle aziende nel corso del tempo.
Nello specifico, a livello SDG Lifeed contribuisce con le proprie attività al raggiungimento degli obiettivi:
A livello ESG, Lifeed contribuisce con le proprie attività ad agire sugli indicatori:
L’iniziativa Caring Company di Lifeed cresce sempre di più grazie all’impegno delle numerose aziende protagoniste della community. Il progetto è nato nel 2022 come riconoscimento alle imprese che:
Oggi Caring Company è ancora di più: uno spazio di condivisione e confronto tra imprese che vogliono fare la differenza nella valorizzazione delle persone per guidare il cambiamento mettendo la cura al centro delle loro strategie.
Le Caring Company hanno sfide importanti da affrontare in un contesto lavorativo che vede le persone allontanarsi dai valori aziendali. Secondo il Report 2022 State of the Global Workplace di Gallup, solo il 4% degli italiani si sente coinvolto nel proprio lavoro. I dati dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, raccolti negli anni attraverso le riflessioni di 40 mila lavoratori in più di 100 aziende italiane e globali, invece, dimostrano che quando le imprese investono nello sviluppo delle persone grazie a percorsi di self-coaching aumentano l’engagement e le risorse disponibili.
Nello scenario particolarmente complesso di oggi, le aziende sono chiamate ad affrontare nuove sfide che vedono le persone al centro dello sviluppo e delle strategie di sostenibilità. Per questo motivo, Lifeed ha accolto con favore la crescita del numero delle Caring Company che con coraggio alimentano il progetto dando vita a una community di innovatori.
Nel 2023 Lifeed riconosce quindi 14 nuove aziende con il titolo di Caring Company tra cui: BCC Banca Iccrea e BCC Roma (Gruppo BCC Iccrea), Biogen Italia, Cassa Depositi e Prestiti (CDP), Gruppo Casillo, Happy Child, Leonardo, Liu Jo, Nespresso Italiana, Sperlari, Takeda Italia, Valore D.
I valori di Caring Company sono sintetizzati nel Manifesto che accompagna le aziende nel percorso di innovazione intrapreso con Lifeed. Le Caring Company contribuiscono così alla crescita della loro comunità e a un cambiamento culturale necessario al Paese.
L’appartenenza alla community delle Caring Company permette alle aziende di essere riconoscibili come pronte per il futuro e capaci di mettere davvero le persone al centro, esprimendo un ruolo sociale con azioni concrete e misurabili in un’ottica di sostenibilità umana.
“L’attenzione verso le persone ripaga le aziende: la vita può diventare motore di risorse e innovazione, ma occorre avere il coraggio di cambiare alcune prospettive obsolete. Le Caring Company che lo fanno, e hanno voglia di fare sistema intorno a una nuova definizione di capitale umano, ne raccoglieranno i frutti”, dichiara Riccarda Zezza, CEO di Lifeed.
L’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed accompagna l’iniziativa Caring Company e rappresenta un punto di vista privilegiato sul rapporto tra aziende e persone, rilevando le emozioni, le aspettative, i bisogni e i talenti di chi è coinvolto nei percorsi Lifeed.
Celebrando l’ingresso di nuovi membri nella community, l’Osservatorio ha lanciato un’indagine per fotografare il mondo del lavoro attraverso la lente dei membri della community e il coinvolgimento degli esperti HR delle aziende.
Barbara Falcomer, Direttrice Generale di Valore D ha commentato: “Per Valore D, in quanto associazione che si occupa dal 2009 di cultura e leadership inclusiva nelle organizzazioni, è un dato di fatto che l’innovazione scaturisce dalla diversità, dalla pluralità di punti di vista, e che la competitività di un impresa è legata alla valorizzazione del capitale umano. Come team di persone abbiamo l’ambizione di essere una Caring Company, capace di riconoscere il contributo individuale, prendersi cura delle persone e del loro potenziale, per generare innovazione, benessere organizzativo e individuale. In questo siamo molto in sintonia con il lavoro di Lifeed”.
“La valorizzazione della genitorialità e delle competenze ad essa associate è stata al centro del progetto BCC Banca Iccrea dedicato a tutti dipendenti di Capogruppo e Società del Perimetro Diretto con figli da 0 a 18 anni. Il percorso “Genitori che nascono, genitori che crescono” è finalizzato a favorire il benessere ed a migliorare la sinergia vita-lavoro, rappresentando un’occasione unica di crescita personale e professionale, attraverso il potenziamento di capacità relazionali, emozionali, organizzative spendibili anche in ambito lavorativo. Tutto questo perché…essere genitori è un master!” dichiara Paolo Tripodi, Chief Human Resources Officer e Chief Operating Officer di BCC Banca Iccrea.
“Siamo convinti che il vero cuore della scienza sia l’umanità: innovazione e progresso sono possibili solo se si rimane focalizzati sulle persone e sulle loro esigenze. E questo vale anche per i bisogni delle persone che lavorano con noi. – spiega Cecilia Masserini, Head of HR e Chief Happiness Officer di Biogen Italia – Essere riconosciuti come Caring Company da Lifeed ci riempie di orgoglio ed è una testimonianza del nostro impegno quotidiano per creare un ambiente di lavoro stimolante, coinvolgente e flessibile, in cui le persone possano crescere, sia professionalmente sia umanamente. Abbiamo voluto offrire ai neogenitori che lavorano con noi la possibilità di formarsi attraverso il master ‘Genitori che nascono’: un’occasione per imparare a sfruttare in modo trasversale alcune capacità utili sia in famiglia che sul lavoro. Si tratta di un percorso in linea con il nostro modello organizzativo innovativo, B-Positive, basato sulla convinzione che la felicità sia una competenza e che come tale possa essere allenata: energia, creatività e diversità sono valorizzate attraverso soluzioni altamente flessibili e personalizzate, per abbracciare le esigenze di tutte e tutti, genitori in primis”.
“Takeda è un’azienda che da sempre mette al centro le proprie persone. Il percorso Caregiver Lifeed si inserisce nel nostro impegno per tutelare e promuovere il benessere delle persone attraverso una cultura inclusiva, che favorisca sempre di più un’equilibrata integrazione tra vita personale e professionale. Supportiamo i nostri dipendenti nel percorso di vita, personale, professionale e sociale, perché riteniamo che la valorizzazione delle diverse competenze possa essere di aiuto per le persone e per l’azienda stessa. Prendersi cura di altri è un prezioso gesto di altruismo, un incredibile esercizio di analisi introspettiva ed un’occasione di sviluppo delle proprie capacità che ci porta a trasformare una sfida in opportunità. Opportunità per apprendere qualcosa di nuovo, di necessario e per crescere” afferma Giovanna Nazzaro, Ethics & Compliance Head Takeda Italia.
“Happy Child affronta quotidianamente la sfida della maternità sia sul fronte dei dipendenti, che delle famiglie clienti – dice il CEO di Happy Child, AnnaChiara Zecchel -La popolazione prettamente femminile e giovane dell’azienda richiede un forte commitment sul supporto alle neo mamme e l’adesione al percorso Lifeed può essere un valido aiuto per chi sta affondando il delicato momento del rientro al lavoro. L’attenzione alle neo-mamme si propaga anche alle famiglie del network HC che, a oggi, conta oltre 25 asili nido bilingue con oltre 900 famiglie iscritte. I temi della conciliazione, del bilanciamento, dell’equilibrio sono argomenti di formazione continua e la grande sfida è trovare modi nuovi perché i valori diventino un percorso efficace per le persone coinvolte”.
Nell’attuale scenario macroeconomico e lavorativo segnato dalla complessità e da fenomeni come Great resignation e Quiet quitting, le aziende sono chiamate a mettere la sostenibilità umana al centro delle loro strategie. Per farlo, è fondamentale considerare le persone come individui a 360 gradi, non solo come professionisti. Secondo l’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, in una persona convivono ogni giorno mediamente 5 ruoli di vita, la maggior parte dei quali sono personali o familiari: un’intersezionalità che rende ogni individuo unico, con i talenti che esprime nei suoi diversi ruoli.
L’importanza della diversità è stata al centro del Caring Company digital talk “La ricchezza dell’unicità” promosso da Lifeed, attraverso le testimonianze di esperti del mondo HR, la condivisione dei dati presentati da Martina Borsato, Data Strategist di Lifeed e la moderazione di Chiara Sivieri, Customer Executive di Lifeed.
Un fattore importante di diversità nelle aziende è quello generazionale. Dalle analisi dell’Osservatorio di Lifeed è emerso che le generazioni hanno espresso emozioni diverse di fronte al cambiamento innescato dalla pandemia: un esempio di come, tra più e meno giovani, possano esserci differenze importanti di cui tenere conto nella gestione delle Risorse Umane.
Proprio sul tema generazionale, Michelangelo Ceresani, Vice President Human Resources & Organization Italy di Capgemini, racconta una best practice dell’azienda che ha un’elevata percentuale di dipendenti Millennials e della Generazione Z. Capgemini ha dato vita a un board di giovani colleghi che ha affiancato il board della società. Tutte le persone interessate hanno lavorato in un’ottica di community sui diversi temi aziendali.
La vera ricchezza – racconta Ceresani – è stata lo scambio tra senior e più giovani, che ha creato una contaminazione positiva. Tutto questo si è concretizzato in workshop trimestrali che hanno portato all’implementazione delle idee proposte dai più giovani. Ascoltare i giovani permette inoltre di intercettare meglio i loro bisogni, per esempio in termini di benessere ed engagement, con vantaggi in termini di retention, specialmente in settori con un alto tasso di turnover.
Saper ascoltare, dunque, è fondamentale per rispondere in modo puntuale ai bisogni delle persone. Ma, ancora prima, bisogna saper vedere chi è poco visibile in azienda, come i caregiver. Questi ultimi rappresentano spesso un ‘mondo sommerso’ nelle aziende, anche se il 73% dei lavoratori ricopre ruoli di cura (Harvard Business University).
Dall’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed emerge che solo l’8% dei caregiver si identifica in questo ruolo, ma la percentuale aumenta notevolmente nelle aziende che hanno adottato percorsi di autoconsapevolezza per i caregiver, come Crédit Agricole Italia che ha registrato un 20% attraverso il master Care di Lifeed. Lo conferma Rosanna Maserati, Responsabile del Servizio Diversity e Inclusion di Crédit Agricole Italia, spiegando che l’azienda ha aperto appositi tavoli di ascolto dei dipendenti per eliminare lo stigma culturale sui caregiver, spesso visti come defocalizzati dal lavoro per dedicarsi alla cura di un familiare.
Successivamente l’azienda ha fatto sì che tutta l’azienda parlasse del caregiving come una transizione di vita che allena competenze utili anche sul lavoro e ha fornito iniziative di supporto psicologico e socio-assistenziale ai suoi dipendenti caregiver. Secondo Maserati, il lavoro di cura unisce tutti, è la tematica di diversità e inclusione meno divisiva perché accompagna chiunque nel corso della vita. L’unicità è la somma delle caratteristiche innate e delle esperienze di vita di ognuno (come quelle di cura) e, in questo senso, la D&I è un vero e proprio motore di innovazione.
Gli stereotipi culturali che creano disparità sul lavoro non riguardano solo i caregiver, ma anche i genitori. Da una parte, per esempio, c’è la fatica delle madri legata al fatto di avere maggiori carichi di cura, che crea una grande pressione sociale sulle loro spalle e genera sensi di colpa che impattano sul loro benessere. Dall’altra, c’è la frustrazione dei padri che non si sentono ‘visti’ come tali, pur avendo talenti di cura da esprimere, perché nella nostra cultura sono considerati ‘genitori di serie B’.
La parità di genere fa bene anche agli uomini, sostiene Lucia Pellino, Diversity & Inclusion Director di Lavazza Group, che racconta come l’azienda dal 2020 abbia avviato un progetto interno chiamato ‘Gap Free’ che punta su quattro goal dell’Agenda 2030 dell’Onu, tra cui il numero 5 sulla Parità di Genere. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di eliminare tutte le barriere che ostacolano la creazione di un ambiente di lavoro inclusivo, nel quale può emergere l’autenticità di ognuno.
La sostenibilità a 360 gradi, compresa quella umana, sta a cuore a Lavazza che (tra le varie attività della sua strategia di inclusione) ha promosso appositi webinar per aumentare la consapevolezza delle persone sui temi di Diversity & Inclusion, ha coinvolto le sue persone nella co-creazione del proprio Manifesto e promuove lo sviluppo di una leadership che sappia valutare le persone oltre ai risultati, considerando importanti anche i loro comportamenti rispetto ai valori aziendali.
Per approfondire questi temi, Lifeed ha realizzato il whitepaper “La cura come leva di inclusione, benessere e sviluppo di talenti” che spiega come il prendersi cura di sé e degli altri faccia emergere le risorse delle persone e le faccia stare meglio, anche sul lavoro: una strategia vincente per le aziende.
Nel contesto incerto di oggi, favorire diversità e inclusione è diventato un motore di competitività per le aziende. Ciò è possibile attraverso una leadership che “fa crescere” le persone, facendo emergere i talenti che esprimono in tutte le loro dimensioni identitarie.
I manager influenzano il coinvolgimento e le performance del team più di qualsiasi altro fattore all’interno delle organizzazioni. Basti pensare che, secondo una ricerca di Gallup, il 70% della variazione dell’engagement dei gruppi di lavoro dipende esclusivamente dai manager.
Proprio per attivare tutto il potenziale delle persone nelle aziende, la soluzione Caring leadership di Lifeed permette ai People Manager di acquisire un nuovo stile di leadership in grado di gestire i cambiamenti e far emergere il meglio dai collaboratori attraverso la cura.
Il percorso unisce il meglio dell’esperienza individuale e di gruppo, sincrona e asincrona, per il massimo dell’engagement e dell’efficacia. La soluzione Caring leadership si distingue per i workshop in presenza, incontri con i nostri Master Trainer per introdurre i partecipanti alla Lifeed experience.
Nella modalità “social” le persone si incontrano e si confrontano, tra loro e col trainer. Nella modalità “individual” i partecipanti effettuano le attività riflessive e le pratiche real-life.
La hybrid classroom è strutturata con un’introduzione da parte del trainer, a cui seguono l’attività riflessiva su piattaforma Lifeed e la pratica real-life. Infine è previsto un momento di confronto e condivisione collettiva col trainer. In questo modo, i partecipanti sviluppano una leadership in grado di gestire i cambiamenti e fare emergere tutto il potenziale delle persone.
La Giornata mondiale della salute mentale (il 10 ottobre di ogni anno) è stata istituita nel 1992, ma è servita una pandemia per dare visibilità globale a questo tema così importante per le singole persone e per le aziende che sono abitate e vissute, appunto, dalle persone.
Basti pensare che, secondo l’ultimo report Gallup sullo “Stato globale del mondo del lavoro”, passiamo in media 81.396 ore della nostra vita al lavoro: una quantità di ore inferiore solo al tempo che passiamo dormendo.
Eppure, quella del benessere rappresenta ancora una sfida da vincere per le organizzazioni. Ciò vale anche in Italia, dove un lavoratore su quattro si è dimesso nel 2021 per preservare la propria salute fisica e mentale, quattro persone su 10 hanno avuto almeno un’assenza per malessere emotivo e solo il 9% dichiara di stare bene sul lavoro (Fonte: Osservatorio HR Innovation Practice, Politecnico di Milano).
Tra le principali cause c’è la difficoltà a conciliare vita privata e professionale, che è legata al conflitto tra le due dimensioni esistente nella nostra cultura. Come emerge dall’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, in ognuno convivono in media cinque ruoli di vita (la maggior parte di essi non lavorativi) che possono creare benessere personale e organizzativo, ma solo se vengono visti in sinergia tra loro.
La consapevolezza di avere molti ruoli aumenta infatti la propensione a prendersi cura di sé. Per dare alle persone un’opportunità concreta per prendersi cura di sé, le aziende possono inserire nella loro strategia di benessere appositi percorsi di self-coaching basati sulla pratica dell’auto-riflessione che permettono di acquisire maggiore consapevolezza di sé e di stare meglio con gli altri.
Tutti questi temi sono stati approfonditi nel Caring Company digital talk “Il benessere mentale attraverso la cura” promosso da Lifeed, attraverso le testimonianze di esperti del mondo HR, la condivisione dei dati presentati da Martina Borsato, Data Strategist di Lifeed e la moderazione di Chiara Sivieri, Customer Executive di Lifeed.
Innanzitutto è necessario considerare che ogni persona ha delle specialità, che sono legate alle sue esperienze e definiscono il suo stile personale. Ne è convinta Arianna Conca, Global Diversity & Inclusion and Wellbeing Manager di Chiesi, che sottolinea l’importanza di riconoscere questo valore in ambito HR anche nella selezione, valutazione e promozione delle persone in azienda.
Prendersi cura delle persone in tutte le loro componenti, anche emotive e umane, favorisce la salute mentale ed è la chiave per lavorare meglio. Secondo Conca, l’attenzione alla salute mentale deve essere sia una parte del Dna delle aziende, sia una responsabilità diffusa delle persone perché prendersi cura di se stessi e dedicarsi tempo è fondamentale per stare bene e trovare la necessaria armonia tra le varie dimensioni identitarie di ognuno.
Tutto ciò – aggiunge Conca – riguarda direttamente la leadership aziendale: il benessere organizzativo è anche una responsabilità dei capi e le aziende sono chiamate a creare le condizioni per praticare uno stile di leadership umano.
Condivide questo punto di vista sulla leadership Raffaella Maderna, People & Communication Director di Lundbeck Italia, spiegando che chi gestisce persone ha un ruolo critico per facilitare la diffusione di una cultura del people care in azienda.
Prendersi cura delle persone a 360 gradi significa anche considerare l’emotività di ognuno perché, come afferma Maderna, la salute parte dal cervello che è il vero protagonista del nostro benessere psico-fisico. Oggi, infatti, le persone vivono l’azienda come persone nella loro interezza, non più solo come dipendenti, e vanno considerate nella loro molteplicità.
La pandemia, nel bene e nel male, ha abbattuto le barriere tra vita privata e lavorativa e le aziende non possono ignorare questo cambiamento di prospettiva. Il passaggio richiesto alle organizzazioni è quello da ‘preoccuparsi’ del benessere delle persone a ‘occuparsi’ di loro, attraverso l’ascolto e attività che favoriscono la consapevolezza e la responsabilità delle persone.
Come sottolinea Francesca Merzagora, Presidente di Fondazione Onda, il tema della salute mentale impatta in particolare le donne, che ricoprono più spesso il ruolo di caregiver nella vita privata e che, dopo l’arrivo della pandemia, ne hanno subito maggiormente gli effetti in termini di ansia e depressione.
L’obiettivo di Fondazione Onda è promuovere una cultura della salute di genere a livello istituzionale, sanitario-assistenziale, scientifico-accademico e sociale per garantire alle donne il diritto alla salute secondo principi di equità e pari opportunità.
Infine, secondo Merzagora, nei veloci cambiamenti del mondo di oggi è anche necessario fermarsi e compiere un’auto-riflessione, per dare un senso alla propria esistenza e ritrovare quel benessere mentale e fisico così importante per le persone e per le aziende.
Proprio per approfondire l’importanza dell’auto-riflessione per gli individui e per le organizzazioni, Lifeed ha realizzato il whitepaper “Il potere del self-coaching per le aziende” che raccoglie anche le testimonianze di alcuni manager della funzione HR.
Oggi le aziende mettono a disposizione dei dipendenti numerosi servizi con l’obiettivo di favorire il loro benessere e la produttività, ma spesso questi servizi non vengono utilizzati dalle persone. Perché?
L’Harvard Business School l’ha definito un “circolo vizioso della cura”, spiegando che la motivazione è prima di tutto culturale: le dimensioni della vitalità e della passione restano spesso fuori dai confini dell’ufficio, dove il professionista viene prima del genitore, caregiver, partner e di qualsiasi altro ruolo di vita privata. In questo modo, le aziende non riescono a vedere le persone nei loro molteplici ruoli e non intercettano i loro reali bisogni.
Se viste e valorizzate, invece, queste dimensioni rappresentano una fonte di talenti nascosti utili anche sul lavoro e già a disposizione delle imprese. Secondo i dati dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, il 70% dei talenti si trova nella sfera personale, solo il 30% in quella lavorativa. Come far emergere quel prezioso 70%? Basta saperlo vedere.
Per approfondire i temi legati alla cura delle persone nelle organizzazioni, Lifeed ha realizzato un whitepaper che raccoglie le testimonianze di alcuni manager della funzione HR, i quali raccontano le sfide del mondo del lavoro, condividendo priorità, bisogni e opportunità per il futuro delle Risorse Umane.
Le persone hanno vite complesse: questa può essere una fonte di stress e scarsa produttività, oppure un’occasione per avere più risorse a disposizione in azienda. I molteplici ruoli di ognuno, dalla vita privata a quella professionale, nascondono competenze e talenti utili al business. Ma come è possibile attivare questo potenziale?
La risposta è conoscere meglio le persone, mettendole al centro di percorsi formativi che permettono loro di scoprire i talenti nascosti che esprimono nei diversi ruoli di vita e di trasferirli in modo efficace anche sul lavoro.
Per supportare le aziende nel raggiungimento di questo obiettivo, Lifeed ha lanciato MultiMe® Finder, il nuovo strumento di “self discovery” realizzato in collaborazione con la Kellogg School of Management della Northwestern University di Chicago che consente alle persone di costruire la mappa dei propri ruoli di vita, profili comportamentali e competenze associate.
Grazie a questo strumento, le aziende possono rafforzare la personalizzazione dei percorsi formativi, conoscere meglio le loro persone e mettere al centro l’esperienza dell’utente.
MultiMe® Finder è una soluzione che le imprese possono utilizzare sia in modalità stand-alone, sia come tool complementare e integrato ai programmi Lifeed negli ambiti di Diversity & Inclusion, Talent e Wellbeing. Lo strumento è infatti ideale per la “messa a terra” di azioni e programmi in diversi ambiti:
Sviluppo D&I
Mappatura dei profili comportamentali attraverso la lettura dei ruoli di vita e della diversità di ciascuna persona con l’obiettivo di far emergere l’unicità, i punti di forza e i talenti nascosti delle persone. Spesso l’utilizzo avviene come ice-breaker in occasione di eventi, per esempio il kick-off di avvio dei programmi Lifeed, oppure come strumento di indagine e di ascolto della popolazione aziendale.
Acquisizione di talenti e sviluppo delle persone
Lo strumento è molto adatto anche in fase di talent acquisition e development, perché consente all’azienda di vedere i talenti nascosti delle persone e di valorizzarli all’interno del percorso di crescita aziendale.
Sviluppo del benessere in azienda
Multime® Finder può essere usato come strumento di immediata applicazione di iniziative di welfare volte a migliorare il benessere psicologico perché la scoperta delle risorse nascoste e dei profili comportamentali favorisce la relazione tra l’azienda e le sue persone.
Per approfondire tutti i vantaggi di MultiMe® Finder per le aziende, in particolare in ambito Diversity & Inclusion, Lifeed ha promosso l’evento dal titolo D&I Finder: come far emergere la ricchezza e l’unicità delle persone per portare benessere e inclusione in azienda in programma il 22 febbraio 2022 alle ore 12.
Attraverso questo percorso, i dipendenti scoprono: i propri super-talenti (quali caratteristiche positive li rendono più efficaci nel maggior numero di ruoli); i propri talenti nascosti (i talenti che esprimono in un solo ambito della loro vita e come possono usarli in altri ruoli); lo stile comportamentale (come si comportano in ognuno dei loro ruoli, l’essenza della loro efficacia).
Gli utenti ricevono un report che evidenzia il loro equilibrio tra i ruoli, i super-talenti, i talenti nascosti e il loro stile comportamentale prevalente. L’azienda riceve a sua volta un report con dati in forma anonima e aggregata sui ruoli e le caratteristiche che le persone esprimono, i loro talenti nascosti e i profili comportamentali. Il report indica inoltre il numero di competenze totali provenienti dalla vita che l’azienda aggiunge alle sue persone.
Tutto questo permette alle persone di stare meglio e lavorare meglio, aumentando la propria autoefficacia, mentre l’azienda trae vantaggio da un bacino più ampio di talenti nascosti e diversità già presenti al suo interno, basando le proprie scelte e facendo crescere la propria cultura su una conoscenza più profonda delle sue persone.
Per lavorare e competere in un mondo digitalizzato, servono persone con la giusta formazione. Finora le imprese hanno investito sulla diffusione delle competenze legate all’utilizzo degli strumenti di collaborazione da remoto, ma adattarsi ai cambiamenti già in atto non basta più. È tempo di compiere un passo in avanti e anticipare la trasformazione. Tocca alle Direzioni HR sviluppare nuovi percorsi formativi che abbraccino l’intera cultura organizzativa e che forniscano gli strumenti per fare la differenza nel mercato di domani.
Nell’arco dei prossimi due anni, per effetto delle tecnologie digitali, il 70% dei lavoratori dovrà aggiornare le competenze chiave per svolgere le proprie mansioni. Secondo un rapporto del World Economic Forum, l’84% delle aziende prevede di accelerare la digitalizzazione dei processi e accrescere l’impiego di strumenti digitali per il lavoro. La priorità è riqualificare la forza lavoro attraverso programmi di upskilling e di reskilling. L’impiego del digitale assume così una doppia veste: obiettivo da raggiungere, per avere collaboratori capaci di interfacciarsi con le tecnologie, e al contempo mezzo attraverso il quale offrire i contenuti formativi.
La formazione dei propri collaboratori rappresenta una delle sfide prioritarie per ogni organizzazione. Il trend monitorato dall’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano suggerisce un aumento del 7,5% degli investimenti in iniziative digitali rispetto al 2020, uno dei valori più alti negli ultimi anni. Più della metà delle Direzioni HR ha riscontrato, negli ultimi mesi di lavoro da remoto, criticità nelle attività di supporto alle persone. La ‘svolta digitale’ è motivata, dunque, non solo dalla necessità di garantire continuità alle attività, ma anche dalla volontà di migliorare i processi.
Oggi il 35% delle organizzazioni prevede di aumentare gli investimenti fino al 15% rispetto a quelli dello scorso anno. L’aumento si concentra soprattutto su formazione, analisi e sviluppo di nuove competenze. In uno scenario sempre più “ibrido” tra fisico e virtuale, occorre far evolvere i ruoli interni all’azienda: le organizzazioni puntano su percorsi di sviluppo delle digital soft skill, competenze trasversali, relazionali e comportamentali delle persone per utilizzare efficacemente i nuovi strumenti digitali.
La Direzione HR ricopre in questo contesto un ruolo centrale. Partner strategico del management, ha il compito di guidare internamente lo sviluppo o operare all’esterno per l’acquisizione di competenze rilevanti per il futuro. Fondamentale resta, quindi, la capacità di trasmettere ai collaboratori i benefici di un approccio improntato al life-long learning, un apprendimento continuo che accompagni tutta la vita lavorativa della persona. È ai Responsabili HR che si richiede l’impegno diretto alla costruzione di percorsi personalizzati, sia in termini di contenuti sia in termini di format, che siano ingaggianti ed efficaci anche in digitale.
La risposta sembra fin qui positiva. Le persone che operano all’interno delle organizzazioni, consapevoli dei cambiamenti in atto, sono ben predisposte ad acquisire nuove competenze e capacità in un’ottica di continuous learning. Gli ultimi mesi, alle prese con la trasformazione tecnologica e le nuove modalità di lavoro a distanza, hanno sviluppato la cosiddetta learning adaptivity di migliaia di lavoratori. È cresciuta, cioè, l’efficacia dell’apprendimento di competenze e capacità che consentono di adattarsi ai cambiamenti richiesti dalla propria professione.
Già oggi più della metà delle organizzazioni utilizza strumenti digitali per il microlearning. Le pillole formative garantiscono continuità nell’aggiornamento professionale e facilitano l’integrazione dell’apprendimento nella quotidianità. Si rivelano utili anche per l’attraction delle generazioni più giovani, interessate a imparare in fretta contenuti brevi e immediatamente spendibili sul lavoro. È il nuovo trend in materia di formazione: apprendimento personalizzato, gestibile in autonomia, flessibile negli orari.
Una scelta resa più facile dagli strumenti digitali. Grazie al loro impiego, le Direzioni HR possono raccogliere ed elaborare i dati per progettare esperienze personalizzate in base alle caratteristiche di candidati e collaboratori. Gli algoritmi di raccomandazione basati su Intelligenza Artificiale sono già oggi in grado di suggerire alle persone contenuti e format in base ai propri interessi ed esigenze. E possono indicare all’organizzazione quali competenze sviluppare per rimanere competitiva.
Il potenziale offerto dai dati è, tuttavia, ancora poco sfruttato: in base ai report dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, solo l’8% delle organizzazioni effettua elaborazioni di tipo predittivo sui trend futuri. In ambito formazione e sviluppo, le Direzioni HR si limitano a elaborare analisi descrittive della situazione attuale, mentre resta basso il numero di informazioni raccolte sui risultati dei percorsi. E, senza un’analisi accurata dei risultati raggiunti, non è possibile verificare l’efficacia della formazione.
L’analisi dei dati a disposizione, l’utilizzo di strumenti digitali a supporto dei processi HR e il coinvolgimento delle persone sono i tre elementi costitutivi del cosiddetto “Connected People Care”, il nuovo ruolo della Direzione HR che si prende cura delle persone, personalizzando i servizi, rimanendo allineata rispetto alle esigenze del mercato e ‘connessa’ con l’intera organizzazione.
La diffusione del lavoro ibrido legato alle conseguenze della pandemia ha allargato le distanze all’interno delle organizzazioni. Per questo, oggi è diventato ancora più importante mantenere saldi i contatti tra le persone. Stimolare l’inclusione e il senso di appartenenza, attraverso un atteggiamento di cura, può aiutare organizzazioni e team di lavoro ad affrontare meglio i cambiamenti. Lo dimostra l’esperienza degli ultimi mesi: venuta meno la barriera che separava la dimensione professionale da quella familiare, le aziende hanno imparato a considerare le persone nella loro interezza, scoprendone nuovi bisogni e differenti fragilità.
Secondo un report della School of Management del Politecnico di Milano (Lifeed è partner della Ricerca 2021/2022 dell’Osservatorio HR Innovation Practice), nonostante otto lavoratori su 10 abbiano ben chiari gli obiettivi da raggiungere e il proprio ruolo all’interno dell’organizzazione, nel complesso le persone sono meno ingaggiate e coinvolte nelle attività lavorative. Il 79% dichiara di aver raggiunto un buon equilibrio tra vita privata e lavorativa e il 76% considera l’ambiente di lavoro più inclusivo. Eppure, la distanza tra l’organizzazione e le persone si avverte ancora.
Comunicazione interna e gestione del clima aziendale sono i processi considerati più critici. Se nell’ultimo anno è rimasta invariata la proficiency, ovvero l’efficienza e l’accuratezza nell’esecuzione delle attività, è invece calata tra i lavoratori la proactivity, l’indicatore che misura la capacità di introdurre miglioramenti in maniera proattiva a vantaggio dell’organizzazione. Le persone meno ingaggiate e meno coinvolte hanno avuto difficoltà a sviluppare idee utili a migliorare le attività lavorative.
La componente dell’engagement che si è ridotta in misura maggiore è quella del “vigore”, ovvero la condizione psicologica legata all’energia e al desiderio di lavorare. L’impegno che le aziende hanno messo in atto per motivare i propri collaboratori non è bastato a farle sentire oggetto di reale attenzione. È necessario allora intervenire per rendere le nuove modalità di lavoro davvero sostenibili, mettere in campo iniziative che stimolino il coinvolgimento e la motivazione e strutturare forme di leadership più attente e “gentili”.
Come conferma il report del Politecnico, è tempo di delineare un nuovo ruolo della Direzione HR, di “cura” e “guida” delle persone. Recuperare l’impegno dei collaboratori e stimolare in loro una maggiore motivazione significherebbe ‘convertire’ di nuovo alla causa del business e della produttività menti fresche e desiderose di collaborare. Investire nel benessere delle persone, senza perdere di vista le esigenze di business, è possibile: empatia e ascolto fanno bene alle persone e contribuiscono anche ad accrescere la produttività dell’azienda.
Ma come si sviluppa uno stile di leadership improntato alla cura? Essere leader “gentili” non significa dimenticare i propri compiti di guida e organizzazione. Al contrario, la gentilezza nel leader coincide con la capacità di riconoscere i bisogni delle persone e si manifesta nella scelta di permettere a tutti di esprimere in sicurezza emozioni e stati d’animo. Anche a se stessi: la vulnerabilità oggi può essere considerata un sintomo di forza del leader, non solo perché accorcia le distanze con i propri collaboratori, ma anche perché offre un esempio da seguire a quanti temono di mostrarsi deboli condividendo le proprie emozioni. Un leader empatico, ben predisposto all’ascolto e attento alle relazioni umane è un leader inclusivo, che riconosce il valore delle sue persone e lo trasforma in punti di forza al servizio del business.
Come dice Richard Davidson, fondatore del Centro per la Ricerca su Menti Sane dell’Università del Winsconsin, anche la compassione, come le competenze fisiche e accademiche, può essere allenata mediante la formazione e la pratica. La compassione esercitata dall’azienda contribuisce ad alimentare fiducia e collaborazione tra i lavoratori. Per Davidson, “le persone possono effettivamente costruire il loro ‘muscolo’ della compassione e rispondere alle sofferenze degli altri con attenzione e desiderio di aiutare”. Proprio nelle situazioni di forte stress emotivo, è importante prendersi cura del benessere psico-fisico delle persone.
I primi a dover allenare questo nuovo “muscolo” sono i Direttori HR, chiamati a sostenere le persone nel recupero dell’entusiasmo e della motivazione. Va ripristinata anche quella dimensione di socializzazione, venuta a mancare negli ultimi mesi, per ridare nuovo senso all’idea di appartenenza, lasciandosi alle spalle il senso di precarietà dovuto all’emergenza. Proviamo a imparare dall’esperienza vissuta: la sfida è interiorizzare e far tesoro dei cambiamenti portati dal modello di lavoro da remoto nella cultura aziendale e nei comportamenti delle persone, passando da una logica legata al presenzialismo a una basata sull’attenzione ai risultati. E, soprattutto, alle persone che li hanno ottenuti.
Oggi la sostenibilità è sempre più prioritaria nell’agenda delle aziende. Per realizzarla, non possiamo più scegliere tra benessere e sviluppo. Solo se smettiamo di vedere un trade-off tra queste due componenti (che possono invece alimentarsi a vicenda) è possibile consentire davvero alle persone di sentirsi “viste” e “trattate” nella loro interezza dalle loro aziende, farle stare meglio e ‘collegarle’ agli obiettivi aziendali.
Quando si parla di Human sustainability, è necessario riconoscere che gli esseri umani sono diversi, sfaccettati, in continuo cambiamento e quindi potenzialmente in continuo apprendimento, con capacità naturali di adattamento alle trasformazioni nel tempo. Ma queste caratteristiche possono essere valorizzate solo se le aziende sanno allargare le loro mappe e vedere le persone in modo diverso, nella loro interezza, con curiosità, coraggio e cura: tutte parole che hanno alla loro radice “cuore”.
Ne ha parlato Riccarda Zezza, CEO di Lifeed, nell’ambito del Forum Sostenibilità 2021 organizzato da Comunicazione Italiana, a cui hanno partecipato manager di alcune importanti aziende.
Come affermato da Marshall Goldsmith, esperto di fama mondiale nella formazione dei dirigenti d’azienda, ciò che ci portati fin qui non ci porterà nella prossima era. I vecchi sistemi non sono più adeguati ai nuovi modi di lavorare. Non c’è alternativa al fatto di saper guardare le persone in modo diverso, altrimenti si perdono quote di mercato: la scelta tra benessere e sviluppo e tra vita e lavoro non è mai stata sostenibile e la pandemia lo ha reso ancora più evidente.
Tra le attività principali di chi fa HR oggi ci sono quelle di favorire le pari opportunità, la meritocrazia, il work-life balance e il benessere psico-fisico delle persone. Secondo Giovanni Airoldi, HR Manager di Acea Holding, l’ascolto continuo è la capacità che gli HR dovranno avere, nell’ambito di un cambiamento culturale e dei modelli di leadership.
Un nuovo ascolto può essere possibile anche grazie alla potenza del digitale, che permette alle persone di narrare se stesse in modo diverso e alle aziende di ascoltarle in modo più profondo (senza i pregiudizi tipici della sintesi). Così è possibile realizzare l’HR footprint, l’impronta che la Direzione Risorse Umane può lasciare sulla gestione delle persone e sul futuro dell’azienda.
La sostenibilità è anche una questione di innovazione tecnologica legata ai comportamenti delle persone. Per Enrico Martines, Direttore Formazione, Sviluppo e Innovazione Sociale Hewlett Packard Enterprise, ciò si concretizza nel passaggio da un modello di economia lineare a quello di economia circolare, dove l’utilizzo della tecnologia è pay-per-use (a consumo) e permette un importante risparmio di risorse. Martines sottolinea inoltre l’importanza di valorizzare il work-life balance (e in particolare la genitorialità), perché se le persone stanno bene in famiglia ciò viene trasferito anche sul lavoro.
Per Michelangelo Ceresani, VP of Human Resources & Organization Capgemini Italia, oggi è necessario un lavoro profondo sulle competenze di leadership e ascolto delle persone: questa è la chiave di volta per far funzionare le nuove organizzazioni mentre riflettono su come rendere sostenibile un nuovo modello lavorativo basato su una gestione diversa dello spazio e del tempo.
Sugli effetti dei nuovi modelli organizzativi sulla produttività delle aziende si concentra anche Claudio Varani, Head of Compensation System & Benefit Gruppo TIM – Telecom Italia, secondo cui bisogna trovare una sintesi tra il modello normativo e quello lavorativo per garantire la sostenibilità nel tempo.
Quali leader dovranno accompagnare l’esecuzione della strategia di Human sustainability? Secondo Claudio Mennini, Chief Revenue Officer Giunti Psychometrics, le aziende oggi hanno bisogno di una leadership inclusiva e diversificata, che tenga insieme l’umanità e la competitività.
Infine è importante considerare che i lavoratori, specialmente i giovani talenti, si aspettano che le aziende siano responsabili e sceglieranno (a parità di offerta) le aziende portatrici di valori di sostenibilità. Come ricorda Gianluca Bonacchi, Evangelist, Employer Insights Indeed, la felicità sul lavoro è sempre più centrale in questa trasformazione e si fonda su azioni concrete di inclusione e coinvolgimento delle persone.