Il Gruppo BCC Iccrea è il maggiore gruppo bancario cooperativo, l’unico gruppo bancario nazionale a capitale interamente italiano e il quarto gruppo bancario in Italia per attivi.

Con l’obiettivo di supportare la crescita professionale e l’empowerment femminile, l’azienda ha scelto la soluzione digitale di sviluppo Lifeed Radar per far emergere i talenti di ciascuna delle partecipanti, valorizzarli e potenziarne il profilo di leadership.

Lifeed Radar è stato inserito all’interno del percorso che il Gruppo sta portando avanti in termini di sostenibilità e Diversity & Inclusion. “I dati emersi dal lancio della soluzione Radar sono stati sorprendenti”, afferma Fabiola Massimi, Head of Group People Development & Performance di Gruppo BCC Iccrea.

L’iniziativa Caring Company di Lifeed cresce sempre di più grazie all’impegno delle numerose aziende protagoniste della community. Il progetto è nato nel 2022 come riconoscimento alle imprese che:


Oggi Caring Company è ancora di più: uno spazio di condivisione e confronto tra imprese che vogliono fare la differenza nella valorizzazione delle persone per guidare il cambiamento mettendo la cura al centro delle loro strategie.

Le Caring Company hanno sfide importanti da affrontare in un contesto lavorativo che vede le persone allontanarsi dai valori aziendali. Secondo il Report 2022 State of the Global Workplace di Gallup, solo il 4% degli italiani si sente coinvolto nel proprio lavoro. I dati dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, raccolti negli anni attraverso le riflessioni di 40 mila lavoratori in più di 100 aziende italiane e globali, invece, dimostrano che quando le imprese investono nello sviluppo delle persone grazie a percorsi di self-coaching aumentano l’engagement e le risorse disponibili.

Nello scenario particolarmente complesso di oggi, le aziende sono chiamate ad affrontare nuove sfide che vedono le persone al centro dello sviluppo e delle strategie di sostenibilità. Per questo motivo, Lifeed ha accolto con favore la crescita del numero delle Caring Company che con coraggio alimentano il progetto dando vita a una community di innovatori.

Nel 2023 Lifeed riconosce quindi 14 nuove aziende con il titolo di Caring Company tra cui: BCC Banca Iccrea e BCC Roma (Gruppo BCC Iccrea), Biogen Italia, Cassa Depositi e Prestiti (CDP), Gruppo Casillo, Happy Child, Leonardo, Liu Jo, Nespresso Italiana, Sperlari, Takeda Italia, Valore D.

Aziende pronte per il futuro

I valori di Caring Company sono sintetizzati nel Manifesto che accompagna le aziende nel percorso di innovazione intrapreso con Lifeed. Le Caring Company contribuiscono così alla crescita della loro comunità e a un cambiamento culturale necessario al Paese.

L’appartenenza alla community delle Caring Company permette alle aziende di essere riconoscibili come pronte per il futuro e capaci di mettere davvero le persone al centro, esprimendo un ruolo sociale con azioni concrete e misurabili in un’ottica di sostenibilità umana.

“L’attenzione verso le persone ripaga le aziende: la vita può diventare motore di risorse e innovazione, ma occorre avere il coraggio di cambiare alcune prospettive obsolete. Le Caring Company che lo fanno, e hanno voglia di fare sistema intorno a una nuova definizione di capitale umano, ne raccoglieranno i frutti”, dichiara Riccarda Zezza, CEO di Lifeed.

L’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed accompagna l’iniziativa Caring Company e rappresenta un punto di vista privilegiato sul rapporto tra aziende e persone, rilevando le emozioni, le aspettative, i bisogni e i talenti di chi è coinvolto nei percorsi Lifeed.

Celebrando l’ingresso di nuovi membri nella community, l’Osservatorio ha lanciato un’indagine per fotografare il mondo del lavoro attraverso la lente dei membri della community e il coinvolgimento degli esperti HR delle aziende.

Le testimonianze delle imprese

Barbara Falcomer, Direttrice Generale di Valore D ha commentato: “Per Valore D, in quanto associazione che si occupa dal 2009 di cultura e leadership inclusiva nelle organizzazioni, è un dato di fatto che l’innovazione scaturisce dalla diversità, dalla pluralità di punti di vista, e che la competitività di un impresa è legata alla valorizzazione del capitale umano. Come team di persone abbiamo l’ambizione di essere una Caring Company, capace di riconoscere il contributo individuale, prendersi cura delle persone  e del loro potenziale, per generare innovazione, benessere organizzativo e individuale. In questo siamo molto in sintonia con il lavoro di Lifeed”.

“La valorizzazione della genitorialità e delle competenze ad essa associate è stata al centro del progetto BCC Banca Iccrea dedicato a tutti dipendenti di Capogruppo e Società del Perimetro Diretto con figli da 0 a 18 anni. Il percorso “Genitori che nascono, genitori che crescono” è finalizzato a favorire il benessere ed a migliorare la sinergia vita-lavoro, rappresentando un’occasione unica di crescita personale e professionale, attraverso il potenziamento di capacità relazionali, emozionali, organizzative spendibili anche in ambito lavorativo. Tutto questo perché…essere genitori è un master!” dichiara Paolo Tripodi, Chief Human Resources Officer e Chief Operating Officer di BCC Banca Iccrea.

“Siamo convinti che il vero cuore della scienza sia l’umanità: innovazione e progresso sono possibili solo se si rimane focalizzati sulle persone e sulle loro esigenze. E questo vale anche per i bisogni delle persone che lavorano con noi. – spiega  Cecilia Masserini, Head of HR e Chief Happiness Officer di Biogen Italia – Essere riconosciuti come Caring Company da Lifeed ci riempie di orgoglio ed è una testimonianza del nostro impegno quotidiano per creare un ambiente di lavoro stimolante, coinvolgente e flessibile, in cui le persone possano crescere, sia professionalmente sia umanamente. Abbiamo voluto offrire ai neogenitori che lavorano con noi la possibilità di formarsi attraverso il master  ‘Genitori che nascono’: un’occasione per imparare a sfruttare in modo trasversale alcune capacità utili sia in famiglia che sul lavoro. Si tratta di un percorso in linea con il nostro modello organizzativo innovativo, B-Positive, basato sulla convinzione che la felicità sia una competenza e che come tale possa essere allenata: energia, creatività e diversità sono valorizzate attraverso soluzioni altamente flessibili e personalizzate, per abbracciare le esigenze di tutte e tutti, genitori in primis”.

“Takeda è un’azienda che da sempre mette al centro le proprie persone. Il percorso Caregiver Lifeed si inserisce nel nostro impegno per tutelare e promuovere il benessere delle persone attraverso una cultura inclusiva, che favorisca sempre di più un’equilibrata integrazione tra vita personale  e professionale. Supportiamo i nostri dipendenti nel percorso di vita, personale, professionale e sociale, perché riteniamo che la valorizzazione delle diverse competenze possa essere di aiuto per le persone e per l’azienda stessa. Prendersi cura di altri è un prezioso gesto di altruismo, un incredibile esercizio di analisi introspettiva ed un’occasione di sviluppo delle proprie capacità che ci porta a trasformare una sfida in opportunità. Opportunità per apprendere qualcosa di nuovo, di necessario e per crescere” afferma Giovanna Nazzaro, Ethics & Compliance Head Takeda Italia.

“Happy Child affronta quotidianamente la sfida della maternità sia sul fronte dei dipendenti, che delle famiglie clienti – dice il CEO di Happy Child, AnnaChiara Zecchel -La popolazione prettamente femminile e giovane dell’azienda richiede un forte commitment sul supporto alle neo mamme e l’adesione al percorso Lifeed può essere un valido aiuto per chi sta affondando il delicato momento del rientro al lavoro. L’attenzione alle neo-mamme si propaga anche alle famiglie del network HC che, a oggi, conta oltre 25 asili nido bilingue con oltre 900 famiglie iscritte. I temi della conciliazione, del bilanciamento, dell’equilibrio sono argomenti di formazione continua e la grande sfida è trovare modi nuovi perché i valori diventino un percorso efficace per le persone coinvolte”.

L’empatia non è più una semplice competenza trasversale. Quando i leader la mettono in pratica attivamente, può trasformarsi in un potente strumento capace di guidare verso il raggiungimento di risultati di business. Il magazine Forbes ha proposto una panoramica degli studi scientifici più aggiornati sul tema dell’empatia, definendola “la più importante competenza di leadership”.

Portata alla ribalta da Daniel Goleman e dai suoi studi sull’intelligenza emotiva, l’empatia viene generalmente associata a una serie di benefici in termini relazionali, come il miglioramento delle capacità di lavorare in team e la consapevolezza sociale. Tuttavia, alcune ricerche recenti ne hanno dimostrato gli effetti positivi anche in aree strettamente legate alle performance aziendali, come l’innovazione, la retention e la produttività.

L’effetto domino dell’empatia

Per esempio, l’empatia può essere un importante motore dell’innovazione, in quanto promuove l’ascolto attivo e una comprensione approfondita dei punti di vista altrui. Non è un caso che la prima fase del design thinking, uno degli approcci più avanzati per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, consista proprio nel mostrare empatia verso i potenziali utenti. Metterci nei panni degli altri amplia infatti i nostri orizzonti e ci invita ad aprirci a nuove idee.

L’empatia è anche in grado di promuovere la diversità, contribuendo alla creazione di luoghi di lavoro più inclusivi. Stando a uno degli studi citati da Forbes, il 50% dei dipendenti guidati da leader empatici definisce il proprio luogo di lavoro come inclusivo, rispetto a soltanto il 17% da coloro che non godono di una leadership empatica. I leader dotati di questa competenza sono inoltre maggiormente in grado di aiutare i collaboratori a destreggiarsi tra le sfide dell’equilibrio tra vita lavorativa e professionale: l’86% dei collaboratori guidati da leader empatici ha dichiarato di sentirsi maggiormente in grado di gestire i propri obblighi professionali, personali e familiari, diventando così più produttivi.

Benefici per salute mentale e retention

Nello scenario post-pandemico, i benefici dell’empatia diventano ancora più rilevanti se considerati da altre due prospettive: la salute mentale e la retention. Per quanto riguarda la salute mentale, tristemente definita da Gallup come “la prossima pandemia globale”, l’empatia può diventare un potente antidoto allo stress e contribuire a creare esperienze collaborative favorevoli per i singoli lavoratori e i team. 

In termini di retention, molto è già stato detto riguardo alla Great Resignation innescata dal Covid-19 e alle conseguenti trasformazioni al nostro modo di lavorare. Anche in questo caso, l’empatia si è dimostrata un’arma estremamente efficace nel trattenere i dipendenti migliori: il 57% delle lavoratrici bianche e il 62% delle lavoratrici di colore intervistate in uno degli studi hanno affermato che non lascerebbero il loro posto di lavoro se le loro situazioni personali venissero rispettate e considerate come un valore dalle rispettive aziende.

Essere leader empatici non basta: è necessario agire

Cosa significa dunque essere leader empatici, e come fare per trarre il massimo vantaggio da questa competenza chiave? Come sottolinea Forbes, i leader non possono più limitarsi a prendere in considerazione i pensieri e le emozioni dei propri collaboratori usando un approccio cognitivo (“Se fossi nei suoi panni, cosa penserei in questo momento?”) o emozionale (“Se fossi nei suoi panni, come mi sentirei?”). I benefici più grandi derivano infatti dall’applicazione attiva dell’empatia, che può tradursi ad esempio nel manifestare la propria preoccupazione verso gli altri e le sfide che stanno affrontando.

Prestare ascolto alle vicende personali dei collaboratori e saper interpretare i segnali non verbali sono due competenze fondamentali per entrare completamente in sintonia con il vissuto delle persone. Ma non bastano. Per diventare davvero persone empatiche, i leader dovrebbero infatti prendere l’iniziativa a seguito delle informazioni raccolte, cercando attivamente dei modi per dare l’aiuto e il supporto necessario ai propri collaboratori. 

Scoprire che un dipendente ha difficoltà nel vivere il proprio ruolo di genitore o caregiver ci rende dei bravi ascoltatori. Trovare soluzioni condivise per alleggerire il peso di queste sfide e trasformarle in opportunità di crescita ci rende invece degli ottimi people leader. E può fare un’enorme differenza nelle performance dell’azienda per cui lavoriamo.

Di fronte all’evoluzione della Great Resignation (il “boom di dimissioni” post-pandemia) da fenomeno prettamente statunitense a realtà globale che tocca diversi Paesi industrializzati, tra cui l’Italia, come possono le aziende mettere al sicuro il proprio futuro e persino ottenere un margine competitivo in una situazione così turbolenta? 

Secondo Gallup, la risposta è partire dal reskilling delle persone, in modo particolare dei manager. Rifacendosi ad alcuni dati estratti dalla ricerca The American Upskilling Study, pubblicata nel giugno del 2021, l’azienda di sondaggi osserva come il 57% degli americani consideri una priorità l’aggiornamento delle proprie competenze, affermando inoltre che “una delle necessità dell’essere umano più resistenti alle crisi e al passare del tempo è il bisogno di evolvere. Le persone pretendono crescita e sviluppo”.

L’instabilità dell’ultimo anno e mezzo ha spinto molte persone a ripensare completamente i loro percorsi di vita professionale e personale. Molti di noi hanno attraversato cambiamenti profondi che hanno alterato il nostro equilibrio vita-lavoro: le sfide derivanti dalla combinazione dei doveri genitoriali con quelli professionali sono gradualmente (e fortunatamente) diventate argomenti degni di discussione in contesti ufficiali. 

Al contempo, in Paesi con contesti imprenditoriali più tradizionali come l’Italia, il lavoro da casa e altre modalità di lavoro flessibile sono diventate soluzioni più ampiamente accettate, e non soltanto risposte temporanee alla situazione di emergenza.

Eppure soltanto una manciata di aziende hanno colto l’opportunità di sfruttare al massimo queste trasformazioni e il loro potenziale in termini di sviluppo delle persone. Non stupisce, dunque, che queste rare eccezioni siano oggi le aziende più richieste dai candidati più forti intenzionati a rientrare nel mercato del lavoro. E non è forse questo un notevole vantaggio competitivo?

Il turnover in azienda dipende anche dai manager

Se gran parte delle persone ha vissuto transizioni significative con effetti profondi sulla propria situazione professionale, i ruoli e le responsabilità dei manager hanno attraversato una trasformazione possibilmente ancora più profonda. 

Non solo i leader si sono ritrovati ad affrontare situazioni al di fuori dell’ambito prettamente lavorativo, spesso cercando di trovare un equilibrio tra la vision dell’azienda, le esigenze dei dipendenti e le proprie responsabilità. In molti casi, i manager sono diventati il vero e proprio ago della bilancia nel determinare la volontà dei dipendenti di rimanere in azienda o di lasciarla.

Come ricorda Gallup, infatti, “i manager capaci sono in grado di ridurre il turnover dei dipendenti più efficacemente di qualsiasi altra mansione” all’interno di un’organizzazione, svolgendo un ruolo essenziale come ambasciatori della people strategy dell’azienda.

Tuttavia, nonostante i manager abbiano il potere di condizionare l’engagement del team fino al 70%, soltanto tre su 10 affermano di avere avuto la possibilità di crescere e imparare nell’ultimo anno, mentre la stessa percentuale (30%) si dichiara supportato nel proprio percorso di sviluppo. Come colmare questo gap?

La caring leadership è un fattore differenziante

In che modo le aziende possono dotare i propri manager degli strumenti necessari per gestire le loro nuove responsabilità?

Per affrontare al meglio la maggiore flessibilità e incertezza dell’attuale situazione, il reskilling dei manager dovrebbe partire dalle competenze trasversali. Ascoltare un collaboratore non è più un’attività relegata ai feedback meeting o alle valutazioni annuali.

Di fatto, con l’intrecciarsi delle linee di confine tra vita professionale e personale, la capacità di un manager di adottare una caring leadership è oggi diventata un fattore differenziante. Anche il ruolo del manager come coach si è ampliato, arrivando a includere un’ampia gamma di aspetti sui quali i dipendenti si aspettano di essere guidati: dalle capacità di gestione del tempo al saper stabilire dei limiti, dalla gestione dello stress all’autoconsapevolezza.

Quali sono dunque i benefici legati al reskilling dei manager? Una forza lavoro più coinvolta, determinata a restare e a non lasciare l’azienda. Un team manageriale che ritrova nuovo significato nello svolgimento del proprio ruolo e ha la possibilità di rendere la vita dei collaboratori più equilibrata e ricca di soddisfazione. E infine, un’attività con un Return on investment (ROI) notevole, specie se consideriamo i costi molto alti della sostituzione di un collaboratore che lascia l’azienda rispetto all’investimento sulla sua crescita.

La pandemia ha innescato una vera e propria rivoluzione nel sistema-lavoro, scardinando certezze manageriali sedimentate nel corso degli anni. Sono emerse così necessità nuove per i leader di oggi: come gestire questa transizione salvaguardando il business e senza tralasciare, allo stesso tempo, le esigenze delle persone?

A questa e ad altre domande si è cercato di trovare risposte attraverso la tavola rotonda La nuova flessibilità e le ricadute sulla leadership. Come guidare il team in una fase di incertezza e quali priorità per agire il cambiamento? organizzata da HRC, a cui hanno partecipato manager e direttori HR di diverse aziende.

Dopo l’arrivo della pandemia, le aziende si sono ritrovate a vivere un cambiamento forzato nei modi di lavorare e a cercare risposte senza seguire schemi prestabiliti. In questo contesto, secondo quanto emerso dall’osservatorio di Lifeed, i dipendenti hanno sviluppato caratteristiche come autoconsapevolezza, problem solving e altre competenze che riguardavano loro stesse, singolarmente, mentre sono calate le competenze legate al lavoro con gli altri. “All’opposto, però, abbiamo visto che collaborazione, supporto verso gli altri e delega sono le competenze più sviluppate nella vita privata”, spiega Emanuela Vignotti, Chief Revenue Officer di Lifeed. “Questo perché le transizioni di vita, compresa la pandemia, sono protagoniste dello sviluppo delle competenze”.

Lo sforzo più grande che dovrà affrontare il leader del futuro sarà quello di “essere flessibile e continuare a far lavorare in maniera produttiva le persone con modalità diverse, puntando proprio sulle competenze soft sviluppate nella vita privata”. Non bisogna infatti dimenticare che il fulcro dell’azienda è sempre la persona: conoscere i dipendenti a 360 gradi e valorizzarne le competenze è la chiave per raggiungere gli obiettivi aziendali nella ‘nuova normalità’.

Dal controllo alla fiducia

Un ruolo delicato, quello del leader, soprattutto in questo momento storico. “Empatia, necessità di ascoltare e di costruire rapporti sempre di più basati sulla fiducia, che va oltre la dimensione del controllo” sono le priorità secondo Francesca Fraulini di The Kraft Heinz Company. Quali sono, dunque, le caratteristiche del leader del futuro? La chiave, per Fraulini, è saper ispirare il proprio team e creare connessioni con l’esterno.

Gli HR manager si sono ritrovati ad affrontare una situazione inaspettata a causa della pandemia. La percezione della necessità di come agire sul cambiamento in atto, supportato da un sistema di valori e di cultura aziendale, sono gli spunti offerti da Gianpaolo Corti di The Kraft Heinz Company, che ribadisce come sia “necessario un sistema di soft skills veicolato attraverso network informali per cambiare l’approccio ‘command & control’, con cui spesso le aziende guidano il loro modo di lavorare e che oggi non è il modello più adatto”.

Un cambiamento che deve essere congruente con la propria identità aziendale, secondo Antonio Guarrera di Aboca, che sottolinea come il leader del futuro debba avere tre caratteristiche: competenza (essere tecnicamente preparato), virtù (essere un buon esempio), sollecitudine, ovvero essere al servizio degli altri “perché l’azienda è come un organismo vivente e in quanto tale la fiducia è fondamentale”.

Una leadership accogliente

Per Stefania Capelli di Cisco il momento che stiamo vivendo, seppur faticoso, è ricco di opportunità per “riportare in una nuova dimensione la cultura manageriale”. Nuove dimensioni che spingono Capelli a ragionare sul futuro come ‘open source’ in cui il vero leader punterà sull’inclusione per il raggiungimento degli obiettivi, lasciando spazio ad inventiva e iniziativa personale, perché “la carta vincente è la fiducia che si dà”.

Flessibilità e fiducia, concetti alla base di una nuova leadership e di un contesto in cui, secondo Fabio Comba di KPMG, “il network è un punto cardine per un team leader e bisogna creare le condizioni performative anche con il divertimento, perché ogni investimento sul benessere organizzativo è una ricaduta sulla soddisfazione del cliente”.

Dunque una leadership energica e accogliente, non solo per produrre migliori performance, ma anche per far sentire tutti “parte del team, indipendentemente da dove scelgano di lavorare”, sottolinea Massimiliano Sacco di Electronic Arts. Sacco pone l’accento sulla necessità di trovare un equilibrio in una fase ibrida in cui alcuni processi lavorativi, come quelli creativi, necessitano di una presenza e non possono svolgersi da remoto. Il leader dovrà calibrare bene queste fasi per valorizzare e rinforzare il team per centrare gli obiettivi.

Le relazioni contano sempre di più

Ugo Venier di Snam pone l’accento sulla necessità di creare consapevolezza nei leader su come gestire il team e sulla capacità di ascolto “fondamentale per una leadership in un contesto più incerto, perché se si ascoltano le persone e si capiscono le loro esigenze, si riesce ad essere più efficaci”.

La leadership è stata messa alla prova da un evento inaspettato come la pandemia, da cui però nascono nuove opportunità di cambiamento e di equilibrio vita-lavoro, tassello imprescindibile nella vita delle persone. Lo evidenzia Monica Chiari di Cameo che delinea come la leadership futura si “esplica dentro il cambiamento. Al leader stanno a cuore più le relazioni piuttosto che le performance, la sua è una leadership che mostra la direzione e non è più controllante, nell’indicare la rotta si fa diffusore di fiducia”.

Una leadership della trasformazione per Maurizio Audizi di Ania, che include una ridefinizione dei valori che rispondono a nuovi bisogni “perché il contesto ci ha portato a dare più rilevanza a cose che prima erano meno rilevanti”.

Tante le parole chiave emerse, una tra tutte quella della fiducia, che torna come un mantra per il leader del futuro. Fiducia prima di tutto nei componenti del proprio team, nei valori dell’azienda e nel desiderio di costruire una leadership nuova per un futuro migliore.

Dopo l’arrivo della pandemia, nelle aziende si è parlato sempre più spesso di cambiamento nei modi di lavorare, comunicare e collaborare. Questa trasformazione coinvolge direttamente la funzione HR, chiamata ad ascoltare le persone in modo nuovo, di guidare i capi e di rendere più responsabili tutti i collaboratori (non solo i manager) nell’ambito di una transizione epocale.

Questa fase storica può essere il momento giusto per ‘fare la rivoluzione’ nella gestione delle persone nella nuova normalità. Ma il compito non è facile, perché il ‘sistema’ tende a resistere al cambiamento tornando al passato che già conosce (con una sorta di effetto-elastico) e il rischio è di non far evolvere realmente la gestione delle persone. Per questo motivo, “quella dell’HR è una funzione eroica”, ha spiegato Riccarda Zezza CEO di Lifeed nel corso dell’incontro dal titolo Abbiamo veramente cambiato il modo di fare HR? organizzato da HRC.

Nelle transizioni identitarie per le persone e le società (come la pandemia) l’ascolto non può essere parziale, perché in questo modo si riducono le risorse a disposizione. Servono invece diversi strumenti di ascolto, soprattutto digitali, che permettono di allargare le mappe. In questo senso, le domande aperte sono un elemento molto potente per ridefinire le cornici e scardinare vecchi stereotipi, perché hanno la potenza di autorizzare le persone a raccontare le loro dimensioni identitarie.

E gli HR manager? Possono far diventare questa complessità un’opportunità, attraverso l’uso dell’Intelligenza Artificiale che trasforma le informazioni a loro disposizione in dati azionabili a beneficio delle loro imprese.

Un’occasione per nuovi modelli di leadership

La funzione HR è cambiata in tutti i suoi processi, come hanno testimoniato Donatella De Vita, Global Head of Development, Learning, Engagement and Welfare di Pirelli e Miriam Spezzacatena, HR Business Partner di Pirelli. Con la pandemia, sono venute meno alcune dimensioni come il contatto visivo con gli spazi aziendali, ma dall’altro lato sono stati abbattuti i confini geografici ed è possibile acquisire competenze in tutto il mondo. “In questo cambiamento ci sono tante opportunità da cogliere e, nel complesso, abbiamo imparato a valorizzare di più le persone”.

A cambiare è stato anche il modo di fare il leader: per Annalisa Sala, Global Chief People Officer di Arcese, “i modelli di leadership tradizionali sono stati messi in discussione, abbiamo bisogno di leader con un nuovo mindset e diverse capacità di guidare le persone”, di conseguenza anche la funzione HR deve cambiare se stessa ed è chiamata a “guidare questo processo con iniziative che puntino alla formazione dei leader, al dialogo, all’ingaggio e all’interazione con le persone”.

Il mondo intorno a noi che è cambiato, ma ora l’HR ha un’occasione straordinaria di “uscire dalla ‘periferia’, di diventare fondamentale e di essere ‘un Napoleone’ al centro della scena”, sostiene Graziano Marcuccio, Chief HR Officer di De Nora, secondo cui “dal punto di vista professionale questa è la nostra Rivoluzione Francese”.

Una responsabilità più diffusa

Rispetto al passato, oggi l’HR ha un posto ai tavoli aziendali più importanti. Per Mauro Ghilardi, Direttore People & Transformation di A2A, è l’occasione di puntare sul “coinvolgimento di capi, sindacati e persone nel design del future work e sulla capacità di ascoltare grazie all’uso di strumenti digitali. Bisognerà anche trovare un valore per andare fisicamente in ufficio”. E soprattutto “sarà importante trattare tutti come adulti, non considerare l’azienda come una ‘mamma’, ma piuttosto come un club dove ognuno decide se partecipare”.

Fabrizio Tripodi, Regional HR Director, Emerging Markets Division-Europe & IMEA di Brown-Forman evidenzia come nel periodo della pandemia “siamo stati più agili nel prendere decisioni, anche più vulnerabili, ma più autentici” e sottolinea l’importanza dei concetti di care e active listening nei confronti delle persone. “Abbiamo imparato a sfruttare meglio il tempo per essere più produttivi e per dedicarci anche ai nostri affetti”.

Le organizzazioni sono diventati più flessibili, veloci e focalizzate sull’essenziale, più aperte alla sperimentazione e all’ascolto: “Si è aperta una finestra emotiva che coinvolge anche la funzione HR”, afferma Marina Capizzi, Co-founder di Primate. “Il purpose dell’HR può evolvere verso nuovi modelli di leadership con un allargamento delle autonomie, maggiore diffusione delle responsabilità, in modo sostenibile, facendo saltare le gerarchie che non funzionavano più”.

Nei prossimi mesi parteciperemo anche ad altri HRD Square: non perdere gli appuntamenti in agenda!

Lunedì 24 maggio 2021 – LA NUOVA FLESSIBILITÀ E LE RICADUTE SULLA LEADERSHIP. COME GUIDARE IL TEAM IN UNA FASE DI INCERTEZZA E QUALI PRIORITÀ PER AGIRE IL CAMBIAMENTO?

Martedì 22 giugno 2021 –
 INCLUSIONE: VERSO UNA CULTURA DELL’APPARTENENZA

I modelli organizzativi in continua trasformazione e la cultura aziendale hanno un impatto sullo sviluppo delle persone che passa anche attraverso una nuova formazione dei leader. Oggi le modalità di apprendimento tradizionali non bastano più, nemmeno per i capi. Le aziende hanno l’occasione di passare dal concetto di ‘formare’ a quello di ‘essere’, maturando una consapevolezza del fatto che le dimensioni identitarie delle persone sono una risorsa, non un ostacolo.

Anche l’assessment può considerare lo spessore umano come se fosse un insieme di cerchi concentrici che rappresentano la complessità (positiva) delle persone, come è emerso nel corso dell’evento La sfida dello sviluppo parte dalla formazione dei capi organizzato da HRC, a cui ha partecipato anche Riccarda Zezza, CEO di Lifeed.

La funzione HR ha un ruolo determinante per dare ai manager i giusti strumenti in grado di valorizzare le dimensioni identitarie delle persone. Ma “valori e purpose devono essere incarnati innanzitutto dai leader, soprattutto quelli intermedi”, come spiegato da Laura Bruno, Head of HR di Sanofi.

Le relazioni capo-collaboratore sono state rese più complicate dalla distanza a cui ci ha costretti la pandemia. La Direzione HR “può essere facilitatrice e regista di questo rapporto, anche provocando il manager a ‘fare il capo’ con coraggio, gentilezza e generosità”, sostiene Tiziano Suprani, Corporate HR Officer di Ferroli. Per farlo, servono sia “uno stimolo dal basso da parte dei collaboratori, chiamati a puntare sull’autoapprendimento”, sia una proattività dei leader che “devono saper indirizzare le capacità delle persone”.

Gli allenatori devono scendere in campo

Non basta però essere allenatori: bisogna scendere in campo, dal momento che oggi le organizzazioni sono fluide e i modelli gerarchici del passato non funzionano più. “I capi operano in un terreno magmatico, essere leader è un processo di trasformazione continua che richiede flessibilità”, afferma Marina Collautti, Head of Employer Branding, Recruiting & Mobility di Generali Italia.

Un buon manager oggi deve essere “visionario e anticipatore, per comprendere l’effetto del cambiamento sulle persone”, puntando anche su una nuova cultura dell’errore, aperta alla sperimentazione, e sulla comunicazione per creare un clima di fiducia con i collaboratori.

Non c’è una ricetta unica per essere capi: dipende dal contesto e da tante variabili. Per questo, oggi servono leader empatici, sintonizzati con le persone nelle diverse situazioni, in grado di dialogare con loro in modo più autentico e capaci di creare relazioni basate sull’ascolto.

Come evidenziato da Lavinia Lenti, Direttrice HR di Sace, “il leader del futuro deve essere empatico, inclusivo, aperto al digitale e all’innovazione”. Per questo l’azienda, nella formazione dei capi, punta su tre leve principali: gestione collaboratori da remoto; valutazione e sviluppo dei collaboratori (con focus su diversità di genere); innovazione e digital con centralità del dato.

L’HR ha l’opportunità di lavorare a quattro mani con il capo per favorire l’ingaggio e l’elemento motivazionale, che può dare una spinta ulteriore agli stessi leader, dei quali “bisogna valorizzare il ruolo come guida per la crescita dei collaboratori. Come ci prendiamo cura dei nostri figli, così dovremmo fare anche con i nostri collaboratori”, aggiunge Lenti, secondo cui “servono più job rotation e mix generazionale e di genere ai livelli più alti dell’organizzazione”.

La formazione tradizionale non basta più

In questo contesto, la formazione tradizionale “non serve a niente”, afferma Fabio Nebbia, HR Director di Coopservice. “La cultura si traduce nel ‘saper essere’, cioè nel modo in cui si fanno le cose in azienda”. Per creare cultura, dunque, non bastano le classiche modalità di apprendimento: “Lo spessore umano va tenuto più in considerazione. E le competenze vanno tradotte in comportamenti agiti misurabili”.

D’altra parte, oggi non ci sono più silos divisivi tra casa e lavoro, è tutto interconnesso e in ambito professionale alcuni aspetti come flessibilità e welfare diventano più importanti dello stipendio o del ruolo. Per Nebbia, “il capo dovrebbe essere consapevole del ben-essere delle persone e del motivo per cui ogni mattina vengono al lavoro”.

Un nuovo tipo di formazione deve essere accompagnata anche da un nuovo ‘role modeling’ dei leader. “Ai manager è richiesto di rompere gli schemi e per farlo serve uno spessore culturale”, sostiene Fabio Colacicco, Group HR Director di Banca Sella, che indica tre leve su cui puntare: disruption, crescita e libertà.

La complessità delle persone porta più risorse, perché i tratti caratteriali fanno esprimere competenze che altrimenti restano inespresse sul lavoro. Scomporre le competenze in comportamenti permette di scoprire risorse trasferibili tra vita e lavoro. L’autoconsapevolezza legata alle esperienze di vita può dunque sostituire la formazione tradizionale, anche perché più le persone trovano coerenza in quello che fanno, più si comportano in modo etico. Per questo, ai capi è richiesto di avere uno sguardo in grado di catturare la complessità delle persone. E di farne tesoro.

Scopri come aumentare il senso di appartenenza e la motivazione tra le tue persone

Nei prossimi mesi parteciperemo anche ad altri HRD Square: non perdere gli appuntamenti in agenda!

Lunedì 19 aprile 2021 – STRATEGIC WORK FORCE PLANNING: COME ANTICIPARE LE NUOVE COMPETENZE E COME SVILUPPARLE? (UP-SKILLING /RE –SKILLING)
Giovedì 6 maggio 2021 – ABBIAMO VERAMENTE CAMBIATO IL MODO DI FARE HR?
Lunedì 24 maggio 2021 – LA NUOVA FLESSIBILITÀ E LE RICADUTE SULLA LEADERSHIP. COME GUIDARE IL TEAM IN UNA FASE DI INCERTEZZA E QUALI PRIORITÀ PER AGIRE IL CAMBIAMENTO?
Martedì 22 giugno 2021 – INCLUSIONE: VERSO UNA CULTURA DELL’APPARTENENZA

I grandi cambiamenti vissuti all’interno delle organizzazioni dall’inizio della pandemia non riguardano solo la sfera aziendale, ma hanno una forte sinergia con la vita privata delle persone. Oggi è chiaro che i vecchi modelli di leadership non funzionano più. È necessario rompere le barriere e gli schemi del passato, cercando di rispondere a nuove domande, per far emergere la meraviglia di questa nuova realtà.

In questo senso, la paternità può rappresentare un nuovo modello di leadership: ascolto, empatia, gentilezza e cura sono le soft skill praticate dai padri nella vita quotidiana e sono le stesse caratteristiche della ‘caring leadership’ sempre più richiesta oggi all’interno delle aziende.

Ma in cosa consiste l’evoluzione degli stili di leadership e qual è il legame con la paternità? Se ne è discusso nel corso della Life Ready Conference del 17 marzo 2021 dal titolo L’era dei leader papà – Nuovi stili di leadership a un anno dalla pandemia, attraverso le testimonianze di alcuni top manager padri.

Valorizzare le diversità dei figli e dei collaboratori

Nell’ultimo anno abbiamo allenato ancora di più attenzione e alterità, capacità che si sviluppano in automatico durante tutto il percorso di paternità. Ne è convinto Isidoro Colluto, Customer Team Director Region Italy e co-leader ERG Balance Italia di Barilla: “Come è necessario dare ai figli tanta attenzione e ridurre lo spazio del proprio ego, per creare una relazione solida e profonda, così anche in azienda con i propri collaboratori è importante trasporre queste modalità: ne deriveranno gratitudine, autenticità e un maggiore livello di complicità tra le persone”.

Oggi è finita l’era della leadership autoritaria ed è chiaro che i protocolli non valorizzano la diversità e non aiutano la sopravvivenza delle organizzazioni. “Dobbiamo ampliare la nostra visione e capire chi sono i nostri collaboratori per muovere le loro corde e far emergere le loro potenzialità, come faremmo con i nostri figli”, aggiunge Colluto. “La diversità nelle aziende e nella vita riguarda ognuno di noi, per questo è necessario scoprire ogni diversità e creare un mosaico più ampio e colorato, dove ogni singola tessera è unica e fondamentale”.

L’importanza di comprendere le emozioni

Essere genitori insegna tantissimo. “Ho imparato che la gentilezza è  il motore del mondo. Con i figli, ma anche nelle organizzazioni, è importante la capacità di aiutarli a scoprire ed esprimere il proprio potenziale, è un rapporto di co-costruzione, che passa appunto dalla gentilezza”, afferma Vittorio Ratto, Deputy General Manager di Crédit Agricole.

L’ultimo anno e tutto quello che è successo in questi mesi mi ha fatto rimettere al centro nel mio ruolo di responsabilità l’importanza di comprendere le emozioni che attraversano l’organizzazione, spiegarle ed integrarle”. Gestire l’incertezza e la parzialità delle cose è una lezione che si impara con i figli, quando “siamo chiamati come genitori a dare senso e certezze, a spiegare e decifrare le loro paure“.

Il tema dell’emozionalità non è sempre stato all’ordine del giorno nelle aziende, ma la pandemia ci ha spinti a capire che si tratta di un fattore centrale per gestire le situazioni più complesse e passare con energia alla fase della costruzione e del ‘fare’.

La condivisione porta maggiore sicurezza

La comunicazione e la capacità di creare una relazione diretta ed empatica con le persone sono aspetti fondamentali sia nella vita familiare, sia in quella lavorativa. “Se vogliamo che i nostri collaboratori, come i nostri figli, riconoscano il nostro ruolo di leader e guida, dobbiamo capire che si sono evoluti sia lo stile di paternità che i modelli di leadership: occorre essere aperti al dialogo e capaci di metterci in discussione”, sostiene Davide Viale, Rolling Stock Site Managing Director / Diversity & Inclusion Champion di Alstom. “Le persone devono poter percepire che il loro contributo è importante perché parte di un progetto più grande e questo è fondamentale soprattutto in periodi difficili come quello che stiamo vivendo, in cui tutti abbiamo bisogno di sicurezza”.

Per Eraldo Federici, Automotive, LifeScience, Manufacturing, Aerospace and Defence Italy Market Head di Capgemini, essere genitori allena a sviluppare la capacità relazionale, perché “ogni figlio pretende una relazione unica e puntuale con il genitore, che si inserisce all’interno di una più ampia relazione di famiglia, che si evolve nel tempo. Questa relazione, nel pensiero di Federici, si può vedere come una danza tra tutti i membri della famiglia in un contesto dinamico.

Per questo è necessario essere quanto più presenti, per dare ai propri figli la consapevolezza di essere amati: “In una situazione come quella pandemica, dove si sono persi molti punti di riferimento, la consapevolezza degli affetti permette di trovare tranquillità per affrontare lo stato di incertezza“. Ciò si riflette anche nelle aziende, dove la leadership gerarchica non funziona più. Serve invece “un approccio interattivo, autocorrettivo ed evolutivo, nel quale i vari elementi contribuiscono secondo nessi di relazione e scambio reciproci“. I bambini, come i collaboratori, “devono fare da soli senza mai sentirsi soli, devono poter contare su riferimenti costanti. Quando si diventa genitori si impara da soli, crescendo insieme ai ragazzi, e così deve essere con i nostri team“.

Umiltà e libertà di sperimentare

Concetti come umiltà ed emozionalità, sia nella relazione con i figli sia in quella con i collaboratori in azienda, permettono di instaurare un rapporto costruttivo relazionandosi alla pari, senza pretendere qualcosa solo perché si è genitori o capi. Ne è convinto Giuseppe Donagemma, Presidente di Lifeed, secondo cui è sempre più importante “imparare a non aver paura di mostrare i propri punti deboli, far capire alla propria squadra che tutti devono tentare, possono sbagliare e devono ritentare. L’unico modo per portare innovazione in azienda è dare alle persone la libertà di fallire: a tal scopo la genitorialità è un grande allenamento”.

È risultato evidente poi che ci sia molto da fare per cambiare lo spirito manageriale italiano che, secondo Donagemma, si basa su un modello datato: “Ci si deve dimenticare dell’organizzazione gerarchica e favorire rapporti più diretti, umani e pragmatici. Lo stesso capita con i figli: bisogna costruire rapporti umani emotivi ed empatici, ma dare obiettivi da perseguire e limiti da rispettare”. Nei momenti di crisi, come quello che stiamo vivendo, è necessaria “grande assertività e resilienza da parte dei manager, perché le persone hanno bisogno di un riferimento che infonda loro confidenza nel superare le difficoltà, che mostri loro da direzione da intraprendere e che trasmetta un alto livello di energia e motivazione”.

Un anno dopo l’inizio della pandemia, le nostre vite non sono più le stesse. I più grandi cambiamenti hanno impattato la dimensione privata e quella lavorativa, che non si possono più considerare separate tra loro.

L’esperienza vissuta nel corso dell’emergenza covid ha infatti creato una nuova sinergia tra la sfera quotidiana e quella professionale. Questo cambiamento ha coinvolto direttamente i papà, i quali hanno avuto occasione di sviluppare nuove competenze trasversali tra vita e lavoro, unite a una leadership diversa dal passato.

Il concetto stesso di leadership si è trasformato radicalmente: oggi la gestione del cambiamento passa da caratteristiche come ascolto, empatia, gentilezza e cura. Tutte soft skills praticate nella vita quotidiana come padri e caregiver, che si rivelano efficaci anche sul lavoro. Infatti la ‘caring leadership’ (autentica, presente e attenta ai bisogni delle persone) è sempre più richiesta nelle aziende.

A un anno dall’inizio della pandemia, come sono cambiate le vite dei papà? Quali caratteristiche hanno oggi gli stili di leadership e come emergono dalla paternità? E perché ciò farà la differenza anche domani?

Se ne parla nella Life Ready Conference del 17 marzo 2021 (ore 9.30-11) dal titolo L’era dei leader papà – Nuovi stili di leadership a un anno dalla pandemia, attraverso le testimonianze di alcuni top manager padri.

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LRC speaker

Ne parliamo con:

Alstom – Davide Viale, Rolling Stock Site Managing Director / Diversity & Inclusion Champion

Barilla – Isidoro Colluto, Customer Team Director Region Italy e co-leader ERG Balance Italia

Capgemini – Eraldo Federici, Automotive, LifeScience, Manufacturing, Aerospace and Defence Italy Market Head

Credit Agricole – Vittorio Ratto, Deputy General Manager

Lifeed – Giuseppe Donagemma, Presidente

Modera:
Monica D’Ascenzo, giornalista de Il Sole 24 Ore

“Never let a good crisis go to waste”. Dalla citazione di Wiston Churchill possiamo imparare molto per definire oggi nuovi approcci e nuovi modi di disegnare il futuro.

Si è tenuta il 28 maggio scorso la nostra quinta Life Ready Conference, il ciclo di eventi in live streaming che intende raccogliere idee, riflessioni e buone prassi per attraversare la crisi e affrontare il new normal che ci aspetta dopo il Covid-19. Cosa dobbiamo imparare di nuovo per affrontare il mondo del lavoro che ci aspetterà nei prossimi mesi? Quali sono le competenze soft che ci serviranno per operare con efficacia in una situazione di incertezza e continuo cambiamento? Come possiamo imparare a dis-imparare con flessibilità e rapidità?

“Bisogna disimparare per poter vedere il modello esistente come una sola delle tante possibilità, invece che come l’unica verità possibile”, spiega la nostra CEO Riccarda Zezza. “Dalle nostre survey, il 91% dei dipendenti si aspetta dalle proprie aziende un miglioramento dei processi grazie a quello che abbiamo appreso in questo periodo”.

Abbiamo affrontato questi temi con 6 rappresentanti di grandi associazioni imprenditoriali e manageriali, che oggi più che mai hanno il compito di influenzare la cultura d’impresa e accompagnare le organizzazioni nella transizione. 

Video dell’intero live streaming

Nicola Spagnuolo, Direttore del Centro di Formazione Management del Terziario (CFMT)

Rimuovere i retaggi per ‘reinstallare’ le competenze

“Le esigenze di cambiamento non nascono con la crisi”, puntualizza Nicola Spagnuolo, Direttore del Centro di Formazione Management del Terziario (CFMT), associazione in cui confluiscono novemila aziende del settore e circa 24mila manager. “Le aziende che affronteranno in modo più brillante il prossimo futuro sono le realtà che avevano già abbracciato il cambiamento.

La capacità di cambiare va, infatti, allenata nel tempo. Non basta una crisi per decidere di rivoluzionare l’assetto di un’azienda. Il momento attuale richiede non tanto di acquisire nuove competenze, ma di rivederne l’ordine di priorità. “Affinché il nostro approccio possa essere nuovo rispetto al passato, dobbiamo prima rimuovere i retaggi su cui sono fondate e poi ‘reinstallare’ le competenze”.

Elena David, presidente di Aiceo

Velocità di adattamento e sguardo rivolto al futuro

“Bisogna evitare che ciò che oggi viene chiamato new normal diventi invece un nuovo passato”, dice Elena David, presidente di Aiceo, l’Associazione italiana dei CEO. “Occorre disimparare la falsa retorica che pone l’uomo al centro solo per ragioni di fragilità: al contrario, dev’essere una forma di ricerca per ampliare i propri spazi cognitivi e di relazione. E occorre disimparare anche il potere dell’improvvisazione per ridare valore alle competenze”.

“Dobbiamo disimparare un mondo in cui il potere è affidato a uomini che scelgono altri uomini: come donna, vorrei che si imparasse un sistema basato sul merito e sulle pari competenze. Serve il coraggio di fare cose che non siano solo una reazione al momento di emergenza, ma che consentano un cambiamento vero”.

Isabella Falautano, componente del Board of Directors di Valore D e Chief Communication&Stakeholder Engagement Officer di Illimity

Sfruttare l’attesa come tempo della progettualità

“Le imprese devono prendersi cura delle persone, non soltanto ascoltarle ma ingaggiarle”, sottolinea Isabella Falautano, componente del Board of Directors di Valore D e Chief Communication&Stakeholder Engagement Officer di Illimity.

“Nelle fasi Vuca, il CEO dev’essere anche un Chief Emotional Officer e saper stare vicino alle persone in maniera autentica. Tra il momento della crisi e quello in cui scatta il cambiamento, non bisogna dimenticarsi di valorizzare l’attesa. Aspettare aiuta a grattare via il superfluo e riscoprire l’essenza dell’organizzazione. Ciò a cui rimanere ancorati quando tutto sembra incerto. Quando si è in una fase di attesa, è importante utilizzare il tempo per la progettualità”. 

Alessandra Pilia, Responsabile Comunicazione Api

Collaborazione e innovazione: oltre i confini del capannone

Ad aver affrontato la sfida più grande sono state forse proprio le piccole organizzazioni. Chiamate a scardinare l’idea che la strada battuta sia la sola percorribile e che l’imprenditore debba prendere le sue decisioni in solitudine. “Le persone per natura si adattano ed evolvono, e le aziende sono fatte da persone. Le Pmi non sono altro che famiglie allargate”. Alessandra Pilia è Responsabile della Comunicazione di Api, l’Associazione Piccole e Medie Industrie che rappresenta circa duemila piccole imprese lombarde, per un totale di 38mila lavoratori. Secondo un’indagine condotta dalla stessa Api, in tempi di crisi sanitaria ed economica il 68% degli associati è preoccupato per il futuro dei propri collaboratori e delle loro famiglie.

“I piccoli imprenditori si sono trovati a essere community manager delle loro organizzazioni, usando chat e strumenti che non erano abituati a utilizzare per dare informazioni che rassicurassero i dipendenti”. Il focus, ancora una volta, è la persona. “L’azienda non nasce e muore con l’imprenditore, ma vive e va oltre le mura e il capannone. Il primo innovation manager dell’azienda è colui che accetta di non sapere e disimpara la cultura che lo ha portato fino a lì, per ingaggiare collaboratori che abbiano il coraggio di dirgli ‘ora facciamo in un altro modo’”.

Paola Previdi, CEO di SFC, Sistemi Formativi Confindustria 

Normalità come gestione di situazioni eccezionali

La crisi degli ultimi mesi ha rallentato molti aspetti della vita personale e lavorativa, ma ne ha anche accelerati tanti altri. A partire dalla decisione di abbandonare schemi e comportamenti non più attuali. “In una situazione di ambiguità non hai conoscenze interpretative da portare avanti e hai bisogno continuamente di formulare domande”, sostiene Paola Previdi, CEO di SFC, Sistemi Formativi Confindustria.

“Oggi ci viene richiesto di reinquadrare i problemi e per farlo servono team misti, che uniscano competenze verticali e orizzontali. Chi gestisce un’azienda deve saper coordinare e tenere a bordo i collaboratori. Alcune imprese hanno attivato in maniera stabile lo smart working, molte hanno usato questo tempo sospeso per formare i loro dipendenti e per riscoprire la capacità di essere resilienti. La normalità in futuro sarà la gestione di situazioni eccezionali e complesse: ci saranno altri possibili cigni neri e bisognerà essere in grado di trarne vantaggio, stuzzicando il nostro cervello con l’innovazione”.

Paolo Ravà, Presidente dell’Ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili di Genova

Un patto tra generazioni per un’economia nuova

“Si ha la percezione che molti oggi stiano cercando di fare tutto il possibile per tornare al mondo che conoscevano prima, riproponendo schemi del passato che però saranno ancora più indeboliti di prima. Noi professionisti, invece, abbiamo l’obbligo di riflettere sulle chiavi del futuro”, dice Paolo Ravà, Presidente dell’Ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili di Genova. “Dobbiamo abituarci a guardare al tema con occhi nuovi: se i gestori dell’impresa continueranno a dover operare nel sistema organizzativo, legale, finanziario e di governance a cui sono abituati, sarà un fallimento. Il modello di creazione del profitto dev’essere sempre prioritario, ma va inserito in un sistema più allargato”.

“È necessario raccontare ai giovani una professione diversa, anche se a immaginarla non sarà la generazione di mezzo. Dobbiamo arrivare a un patto tra generazioni: essere d’aiuto a chi sa prendere rischi, ma anche imparare a prendere i nostri. E mettersi in gioco per un’economia che si basi sulle competenze e non sulle relazioni”.