La componente umana e sociale della sostenibilità è sempre più rilevante nel mondo del lavoro. Lo conferma il fatto che a fine 2022 il Consiglio dell’Unione europea abbia approvato definitivamente la Direttiva sulla comunicazione societaria sulla sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD). La norma impone alle grandi imprese di rendere pubblici i dati sulla loro impronta non solo ambientale, ma anche dal punto di vista sociale.
I nuovi obblighi si applicheranno, dal 1 gennaio 2025, alle grandi imprese con più di 500 dipendenti e a tutte le aziende con più di 250 persone e con un fatturato pari o superiore ai 40 milioni di euro, mentre per le Piccole e medie imprese (PMI) è prevista una deroga fino al 2028.
Oltre ad avere un impatto sulla reputazione delle aziende, la Direttiva è destinata a influenzare le decisioni degli investitori legate agli indicatori ESG (Environmental, Social and Governance) che rappresentano i criteri di scelta degli investimenti sostenibili in tutte quelle attività che tengono in considerazione aspetti di natura ambientale, sociale e di governance. Si tratta di un trend in continua crescita, come conferma un recente studio di Gallup, secondo cui già oggi il 48% degli investitori è interessato proprio ai fondi per gli investimenti sostenibili.
Ai fini della redazione del bilancio di sostenibilità, agli indicatori ESG si affiancano gli SDG (Sustainable Development Goals) gli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti dalle Nazioni Unite, conosciuti anche come Agenda 2030, per contribuire allo sviluppo globale, promuovere il benessere umano e proteggere l’ambiente.
L’aspetto sociale della sostenibilità deve quindi essere centrale nella strategia futura delle aziende. Non bisogna dimenticare che il primo utilizzo del termine ‘sostenibilità’ fa proprio riferimento alla componente umana. Risale al 1987, quando un gruppo di politici guidati dall’allora premier norvegese Gro Harlem Brundtland dichiarò – nel rapporto “Il nostro futuro comune” sotto l’egida delle Nazioni Unite – che lo sviluppo, per essere davvero sostenibile, deve soddisfare i bisogni del presente senza compromettere il benessere delle generazioni future.
Lasciare in eredità un mondo sostenibile è un’attività che riguarda anche le aziende, nelle quali la gestione quotidiana e la valorizzazione delle persone spettano alla Direzione HR, chiamata a favorire il benessere organizzativo e a garantire il futuro dell’impresa. Lo sviluppo organizzativo e quello personale, infatti, sono sempre interconnessi. Oltre al profitto, l’azienda può produrre valore sociale per la collettività e il territorio in un’ottica di comunità, come sosteneva l’imprenditore Adriano Olivetti.
Per realizzare questo tipo di sostenibilità, le aziende non possono più scegliere tra benessere e sviluppo. Solo smettendo di vedere un trade-off tra queste due componenti, la Direzione Risorse Umane potrà lasciare la sua ‘HR footprint’, l’impronta sul presente e sul futuro dell’azienda e della società.
Lifeed promuove la sostenibilità nel mondo del lavoro e, in questa direzione, contribuisce al raggiungimento degli obiettivi SDG e ESG delle imprese, in particolare riguardo agli indicatori di sviluppo del capitale umano utili per redigere il bilancio di sostenibilità. A conferma di questo, Lifeed è stata inserita in numerosi report di sostenibilità da parte delle aziende nel corso del tempo.
Nello specifico, a livello SDG Lifeed contribuisce con le proprie attività al raggiungimento degli obiettivi:
A livello ESG, Lifeed contribuisce con le proprie attività ad agire sugli indicatori:
OVS S.p.A., la società leader in Italia nel mercato dell’abbigliamento, fonda la sua strategia HR sulla sostenibilità umana, con l’obiettivo di valorizzare le diversità delle persone e creare un ambiente di lavoro inclusivo attraverso il programma #WeCare.
Per questo è entrata a far parte di Caring Company, la community di Lifeed dedicata alle aziende capaci di valorizzare le persone e di esprimere un ruolo sociale tramite azioni concrete e misurabili.
Dal 2017 OVS ha introdotto inizialmente il percorso Lifeed per i dipendenti neogenitori con figli da zero a tre anni. Questa esperienza positiva ha convinto l’azienda ad ampliare nel corso degli anni successivi la collaborazione con i percorsi per genitori con figli fino a 18 anni e per i dipendenti caregiver.
“Le persone si sono sentite valorizzate in una fase in cui tipicamente avviene un distacco dall’azienda, alimentando il senso di appartenenza e la motivazione. Inoltre Lifeed ha contribuito alla consapevolezza che le qualità proprie di ognuno possono portare un fattivo contributo ai successi aziendali”, afferma Cristina Cocchetto, Responsabile Training, Sviluppo, Comunicazione & Direzioni Corporate di OVS.
La pandemia ha reso evidente ciò che già esisteva, ma che non veniva riconosciuto apertamente fino a quando la nostra quotidianità è stata resa visibile a tutti attraverso lo schermo del pc nelle riunioni da remoto a cui ci siamo abituati dal febbraio 2020 a oggi: vita e lavoro non sono due dimensioni separate, anzi, è dalla loro sinergia che dipende il benessere delle persone.
Il fenomeno della Great resignation (l’ondata di dimissioni che nel 2021 ha interessato dapprima le imprese americane e poi quelle europee, comprese le italiane) rappresenta un indicatore in questo senso: le persone hanno messo il loro benessere al primo posto e lo stesso dovranno fare le aziende se non vorranno perdere talenti e competitività sul mercato.
Anche le modalità di lavoro sono cambiate radicalmente: dal lavoro da remoto ‘forzato’ di inizio pandemia, oggi si è passati a un’organizzazione ibrida tra lavoro in ufficio e Smart working, dalla quale le aziende non potranno più tornare indietro. L’acronimo VUCA (volatility, uncertainty, complexity, ambiguity) introdotto dall’US Army War College dopo la Guerra Fredda oggi è tornato di grande attualità per descrivere lo scenario in cui stiamo vivendo.
Lo confermano i dati dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, secondo cui il 62% delle persone dichiara di provare preoccupazione all’idea di “tornare alla normalità”. Il 69% dei dipendenti si aspetta che, per favorire il rientro in ufficio, la propria azienda dia spazio ai pensieri e agli stati d’animo, mentre il 68% ritiene che il manager ideale debba avere la dote dell’ascolto.
Oggi più che mai, le aziende sono chiamate a rispondere ai bisogni delle loro persone in termini di conciliazione vita-lavoro, employee satisfaction ed engagement. La sostenibilità e la produttività delle imprese passano anche da azioni mirate di welfare con l’obiettivo di aumentare il benessere e il coinvolgimento dei dipendenti, i quali potranno scoprire nuovi modi di prendersi cura di sé.
Dunque, wellbeing ed engagement saranno sempre più centrali nelle strategie aziendali, soprattutto nella fase di rientro graduale in ufficio dopo il lungo periodo di pandemia che ha aumentato i livelli di stress e incertezza.
Solo sentendosi riconosciute come persone nella loro interezza, non parzialmente come professionisti, le persone possono stare meglio anche sul lavoro. D’altra parte, le esperienze della vita privata sono un’occasione di sviluppo di competenze trasferibili nella sfera professionale e rappresentano una vera e propria palestra per allenare quelle soft skill così utili in tutti i nostri ruoli di vita, compresi quelli lavorativi.
Per esempio, la genitorialità può essere una straordinaria leva di crescita professionale. La relazione quotidiana, sfidante e coinvolgente con i figli è una palestra unica per migliorare competenze relazionali, organizzative e dell’innovazione. Anche i dipendenti caregiver sono una risorsa preziosa per le aziende. Prendersi cura di una persona cara è un’occasione di sviluppo di competenze come capacità di ascolto, gestione dello stress e orientamento al risultato (solo per citarne alcune) trasferibili nella sfera lavorativa.
Investire sul benessere delle persone è quindi una grande sfida – ma anche una grande opportunità – per la Direzione HR delle aziende che può vincere tale sfida solo riuscendo a vedere le persone nella loro interezza. Non bisogna dimenticarsi che la vita è una maestra: le aziende che sapranno valorizzare le esperienze di vita delle persone, facendone delle palestre eccezionali di lifelong learning, saranno le protagoniste del futuro.
Quella del benessere è solo una delle sfide principali della Direzione Risorse Umane. Nel whitepaper Sfide e soluzioni per l’HR nel post pandemia realizzato da Lifeed, la funzione HR può trovare tutti gli spunti di riflessione per trasformare questa fase di incertezza in un’occasione di crescita per le persone e per l’azienda.
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Nella delicata fase di ripresa post-emergenza covid, in cui l’economia del nostro Paese riscopre cifre che sembravano dimenticate (l’Istat stima un +4,7% del Pil nel 2021), le aziende affrontano una duplice sfida: mantenere alta la produttività dei dipendenti e, allo stesso tempo, garantire la sostenibilità dell’impresa che passa da azioni mirate di welfare.
Il benessere e il coinvolgimento delle persone sono sempre più centrali nelle strategie aziendali, soprattutto nella fase di rientro graduale in ufficio dopo il lungo periodo di pandemia che ha aumentato i livelli di stress e incertezza: questo significa, per i manager, rispondere in modo efficace ai bisogni dei dipendenti in termini di conciliazione vita-lavoro, Employee satisfaction ed engagement.
Secondo recenti ricerche, nel 2021, complici l’emergenza sanitaria e la crisi economica, gli italiani hanno fatto leva soprattutto sulla retribuzione e in particolare su un impiego fisso nella scelta di restare o abbandonare la propria azienda. Ma c’è un fattore che spesso non viene considerato prioritario: il wellbeing. La pandemia ha reso ancora più evidente la sinergia tra vita privata e lavoro delle persone, le quali oggi manifestano numerose necessità proprio in questo ambito.
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Altri aspetti come meritocrazia e gender gap si aggiungono a tutto questo con effetti (positivi o negativi a seconda dei casi) sulla motivazione dei dipendenti. Lo teorizzava, già nel 1968, lo psicologo americano Frederick Herzberg, che nel paper One more time: How do you motivate employees?, sottolineava come sia necessario poter distinguere tra azione e motivazione e come proprio l’aspetto motivazionale dei lavoratori diventi un fattore determinante per una azienda.
Secondo lo studioso americano, i dipendenti che si trovano maggiormente in sintonia con la vision dell’azienda e che si sentono coinvolti in un processo di sviluppo e crescita professionale, sono maggiormente motivati e aderiscono più facilmente agli obiettivi dell’impresa, lavorando con passione per far crescere la reputazione e produttività dell’azienda stessa.
Maggiore soddisfazione, dunque, genera maggiore produttività. D’altra parte, stiamo vivendo un grande processo di cambiamento sociale ed è per questo che, per far ‘stare bene’ le persone al lavoro, non possiamo più evitare di considerare le emozioni come parte integrante del modus vivendi all’interno di un’azienda. Vivere e condividere le proprie emozioni anche al lavoro (senza confinarle a spazi privati) può essere un fattore chiave per la retention, l’engagement e la produttività delle persone.
Per raggiungere questi obiettivi, gioca un ruolo fondamentale il dialogo interno al proprio team aziendale. La sfida per i manager, soprattutto i responsabili HR, è quella di mantenere vivo questo dialogo anche nelle nuove modalità di lavoro a distanza, mettendo sempre al centro le persone e i loro bisogni.
La Human sustainability avrà un’importanza sempre più strategica per le aziende: ciò significa prendersi cura dei dipendenti ogni giorno, uscendo dai confini professionali per supportare il loro benessere che è motore di innovazione e di produttività.
Ed è da qui che si può sviluppare il concetto di HR footprint, l’impronta che i manager delle Risorse Umane possono lasciare nel mondo del lavoro, per favorire una nuova visione del capitale umano.