E.ON Italia (tra i principali operatori energetici presenti sul mercato) voleva supportare inizialmente i dipendenti genitori impattati dalle nuove modalità di lavoro da remoto, in particolare le mamme.

Negli anni successivi E.ON ha ritenuto necessario ampliare la popolazione aziendale a cui rivolgere le proprie azioni di caring, con l’obiettivo di far emergere tutti i loro talenti, creando anche in loro consapevolezza rispetto ai molteplici ruoli di vita che ognuno ricopre.

E.ON ha quindi scelto i percorsi Lifeed Genitori che nascono, genitori che crescono e Work-Life Synergy per accompagnare le persone nelle diverse transizioni di vita.

Inoltre, con lo strumento di people insight Lifeed Radar l’azienda ha voluto far emergere e valorizzare i talenti che le persone esprimono in tutti i ruoli di vita, personali e professionali.

“Grazie anche a Lifeed, la cultura della cura è entrata a tutto tondo nel modello di leadership aziendale che ha tra i suoi pilastri la valorizzazione della diversità. Siamo orgogliosi di essere riconosciuti come una Caring Company pronta per affrontare la sfida di costruire un futuro più sostenibile”, spiega Daniela Leotta, Chief Digital & Innovation Officer & Board Member di E.ON Italia.

La pandemia, un trasloco, un nuovo lavoro, un divorzio: sono tutte transizioni di vita che ci possono insegnare qualcosa, ma per vivere queste situazioni in modo positivo è necessario sviluppare la propria capacità di gestione del cambiamento. Come è possibile? L’auto-apprendimento è una competenza fondamentale in questo senso. Anzi, come spiega McKinsey, oggi l’intentional learning è la skill più importante per vivere le grandi trasformazioni della vita, comprese quelle lavorative.

Nella sfera professionale, il World Economic Forum ha riscontrato la necessità di riqualificare almeno un miliardo di posti di lavoro, che sono stati trasformati dal cambiamento tecnologico che stiamo vivendo. A ciò si è aggiunto l’impatto del covid-19 che ha accentuato la necessità di reskilling delle persone nelle nuove modalità di lavoro digitali e da remoto. Una strada che sembrerebbe in salita, ma tutto parte dal nostro approccio a questi grandi momenti di transizione.

Il nostro mindset fa la differenza

Se infatti il cambiamento è un dato di fatto, è la nostra risposta che fa la differenza. Tutto parte da noi stessi e dalla capacità di attingere dal bagaglio di risorse personali, perché non c’è sviluppo senza investimento e un periodo difficile come questo può essere una preziosa opportunità per innescare processi virtuosi.

Vivere momenti di difficoltà è naturale, ma questi possono diventare energia positiva solo se li sappiamo affrontare in maniera proattiva. Come affermava lo psichiatra Viktor Frankl, padre della logoterapia e sopravvissuto alla Shoah, non sono il contesto o le circostanze a determinarci, ma le nostre decisioni”.

In realtà il cambiamento fa parte della storia umana da sempre, ma è un processo che la nostra mente non affronta volentieri, perché vede la ‘novità’ come una minaccia e preferisce guardare a ciò che già conosce. Il segreto è saper affrontare i processi di transizione con realismo.

Ognuno può allenare l’auto-apprendimento

Cambiare non significa cancellare, perché noi siamo anche la nostra storia, i nostri valori, il bagaglio di idee e progetti che ci portiamo dietro nella sfera privata e lavorativa. Trasformarsi non significa annullarsi, ma sapersi adattare in un determinato contesto per progredire.

Ecco allora che l’auto-apprendimento diventa una competenza chiave per l’evoluzione lavorativa ed è una abilità che ognuno di noi può allenare affinché possa diventare uno fattore per il successo professionale a lungo termine. Quello che conta è come la nostra mente recepisce e affronta la novità.

Ce lo ricorda anche la psicologa americana Carol Dweck della Stanford University, che con i suoi studi su una mentalità rigida e una più aperta ha delineato limiti e opportunità di crescita verso un approccio diverso a se stessi, perché una mentalità rigida non consente alle persone il lusso di trasformarsi: devono già essere”.

Le esperienze e le interazioni quotidiane offrono enormi opportunità di apprendimento, ma solo se si tratta intenzionalmente ogni momento come un’opportunità di formazione. Durante l’apprendimento continuo, le riflessioni delle persone possono permettere di acquisire maggiore consapevolezza delle proprie capacità per gestire il cambiamento e affrontare le transizioni di vita.

Il segreto? Essere curiosi

L’apprendimento è come una vera e propria palestra e in quanto tale, come ogni allenamento, necessità di regolarità e di pianificazione. Non solo: servono una mentalità orientata alla crescita personale e molta curiosità, vero motore di ogni apprendimento, che può essere allenata anche in coloro che per natura non sono curiosi.

Ma come è possibile allenare la curiosità e le competenze? Affrontando le proprie paure e facendo domande, ma anche vivendo appieno nuove esperienze da cui apprendere, come le nostre transizioni di vita. Fondamentale è concentrarsi su ciò che amiamo fare, provando e magari sbagliando, dando spazio a tutte le nostre dimensioni identitarie, non solo quelle lavorative.

Qualunque forma assuma la curiosità, ci aiuterà a mantenere una mentalità flessibile e consapevole, ampliando la nostra prospettiva e preparandoci a un nuovo apprendimento.

Tutti gli eventi della vita possono arricchire il curriculum. Perché invece le più intense esperienze di vita vengono trattate come un ‘vuoto’ nella carriera professionale? Due esempi: il congedo per la nascita di un figlio (il 20% delle donne in Italia dà le dimissioni dopo la maternità) e il tempo dedicato alla cura di una persona cara, come un genitore anziano (il 28% dei caregiver ammette di vivere questa condizione come uno stigma sul lavoro).

Eppure si tratta di motori di attività quotidiane che migliorano ben 63 competenze! È ora di cambiare radicalmente la cultura e iniziare a considerare queste esperienze come dei veri e propri master nel curriculum vitae delle persone.

Da questo presupposto è nata #MyRealCv, la campagna digital di Lifeed che promuove la consapevolezza delle competenze allenate attraverso le esperienze di vita (come diventare genitori, prendersi cura di una persona non autosufficiente, vivere un divorzio, un trasloco, un nuovo lavoro…), vedendole nella loro complessità come occasioni che arricchiscono il curriculum vitae e realizzando così una migliore sinergia tra vita e lavoro. 

Le competenze della vita meritano di essere valorizzate

La campagna, realizzata collaborazione con l’agenzia di comunicazione Cookies & Partners, vuole spingere un cambiamento culturale a partire dalla creazione di una community – canali social Facebook, Instagram e LinkedIn – e dai partner di Lifeed, per poi svilupparsi in maniera più ampia grazie al coinvolgimento di influencer scelti perché rappresentano quanto sia importante trovare una sinergia tra vita e lavoro, e quanto i cambiamenti di vita spingano in questa direzione. 

“Si chiama ‘curriculum vitae’, ma purtroppo spesso perde di vista la vita, con la conseguenza di sprecare risorse utili alla società e al mondo del lavoro – afferma Riccarda Zezza, CEO di Lifeed Con questa campagna proponiamo un cambio di paradigma che renda tutte le persone più consapevoli che gli eventi della vita producono competenze che meritano di essere valorizzate nella vita professionale perché ‘funzionano’ anche lì”.

La campagna è volutamente giocosa e aperta a tutti: un test composto da alcune domande individua i cambiamenti principali che le persone stanno attraversando, invitandole a scegliere quali competenze associarvi. La persona riceve quindi un report che indica le capacità sviluppate e da inserire nel CV. 

Lifeed, proprio per il suo approccio innovativo al mondo del lavoro, è la prima e unica impresa italiana tra le 16 aziende selezionate dal network internazionale Unreasonable Group che riunisce innovatori dirompenti e imprenditori per entrare nella community di Unreasonable Future, il programma creato con l’obiettivo di co-progettare il futuro del lavoro.

Fai il test #MyRealCV

I grandi cambiamenti vissuti all’interno delle organizzazioni dall’inizio della pandemia non riguardano solo la sfera aziendale, ma hanno una forte sinergia con la vita privata delle persone. Oggi è chiaro che i vecchi modelli di leadership non funzionano più. È necessario rompere le barriere e gli schemi del passato, cercando di rispondere a nuove domande, per far emergere la meraviglia di questa nuova realtà.

In questo senso, la paternità può rappresentare un nuovo modello di leadership: ascolto, empatia, gentilezza e cura sono le soft skill praticate dai padri nella vita quotidiana e sono le stesse caratteristiche della ‘caring leadership’ sempre più richiesta oggi all’interno delle aziende.

Ma in cosa consiste l’evoluzione degli stili di leadership e qual è il legame con la paternità? Se ne è discusso nel corso della Life Ready Conference del 17 marzo 2021 dal titolo L’era dei leader papà – Nuovi stili di leadership a un anno dalla pandemia, attraverso le testimonianze di alcuni top manager padri.

Valorizzare le diversità dei figli e dei collaboratori

Nell’ultimo anno abbiamo allenato ancora di più attenzione e alterità, capacità che si sviluppano in automatico durante tutto il percorso di paternità. Ne è convinto Isidoro Colluto, Customer Team Director Region Italy e co-leader ERG Balance Italia di Barilla: “Come è necessario dare ai figli tanta attenzione e ridurre lo spazio del proprio ego, per creare una relazione solida e profonda, così anche in azienda con i propri collaboratori è importante trasporre queste modalità: ne deriveranno gratitudine, autenticità e un maggiore livello di complicità tra le persone”.

Oggi è finita l’era della leadership autoritaria ed è chiaro che i protocolli non valorizzano la diversità e non aiutano la sopravvivenza delle organizzazioni. “Dobbiamo ampliare la nostra visione e capire chi sono i nostri collaboratori per muovere le loro corde e far emergere le loro potenzialità, come faremmo con i nostri figli”, aggiunge Colluto. “La diversità nelle aziende e nella vita riguarda ognuno di noi, per questo è necessario scoprire ogni diversità e creare un mosaico più ampio e colorato, dove ogni singola tessera è unica e fondamentale”.

L’importanza di comprendere le emozioni

Essere genitori insegna tantissimo. “Ho imparato che la gentilezza è  il motore del mondo. Con i figli, ma anche nelle organizzazioni, è importante la capacità di aiutarli a scoprire ed esprimere il proprio potenziale, è un rapporto di co-costruzione, che passa appunto dalla gentilezza”, afferma Vittorio Ratto, Deputy General Manager di Crédit Agricole.

L’ultimo anno e tutto quello che è successo in questi mesi mi ha fatto rimettere al centro nel mio ruolo di responsabilità l’importanza di comprendere le emozioni che attraversano l’organizzazione, spiegarle ed integrarle”. Gestire l’incertezza e la parzialità delle cose è una lezione che si impara con i figli, quando “siamo chiamati come genitori a dare senso e certezze, a spiegare e decifrare le loro paure“.

Il tema dell’emozionalità non è sempre stato all’ordine del giorno nelle aziende, ma la pandemia ci ha spinti a capire che si tratta di un fattore centrale per gestire le situazioni più complesse e passare con energia alla fase della costruzione e del ‘fare’.

La condivisione porta maggiore sicurezza

La comunicazione e la capacità di creare una relazione diretta ed empatica con le persone sono aspetti fondamentali sia nella vita familiare, sia in quella lavorativa. “Se vogliamo che i nostri collaboratori, come i nostri figli, riconoscano il nostro ruolo di leader e guida, dobbiamo capire che si sono evoluti sia lo stile di paternità che i modelli di leadership: occorre essere aperti al dialogo e capaci di metterci in discussione”, sostiene Davide Viale, Rolling Stock Site Managing Director / Diversity & Inclusion Champion di Alstom. “Le persone devono poter percepire che il loro contributo è importante perché parte di un progetto più grande e questo è fondamentale soprattutto in periodi difficili come quello che stiamo vivendo, in cui tutti abbiamo bisogno di sicurezza”.

Per Eraldo Federici, Automotive, LifeScience, Manufacturing, Aerospace and Defence Italy Market Head di Capgemini, essere genitori allena a sviluppare la capacità relazionale, perché “ogni figlio pretende una relazione unica e puntuale con il genitore, che si inserisce all’interno di una più ampia relazione di famiglia, che si evolve nel tempo. Questa relazione, nel pensiero di Federici, si può vedere come una danza tra tutti i membri della famiglia in un contesto dinamico.

Per questo è necessario essere quanto più presenti, per dare ai propri figli la consapevolezza di essere amati: “In una situazione come quella pandemica, dove si sono persi molti punti di riferimento, la consapevolezza degli affetti permette di trovare tranquillità per affrontare lo stato di incertezza“. Ciò si riflette anche nelle aziende, dove la leadership gerarchica non funziona più. Serve invece “un approccio interattivo, autocorrettivo ed evolutivo, nel quale i vari elementi contribuiscono secondo nessi di relazione e scambio reciproci“. I bambini, come i collaboratori, “devono fare da soli senza mai sentirsi soli, devono poter contare su riferimenti costanti. Quando si diventa genitori si impara da soli, crescendo insieme ai ragazzi, e così deve essere con i nostri team“.

Umiltà e libertà di sperimentare

Concetti come umiltà ed emozionalità, sia nella relazione con i figli sia in quella con i collaboratori in azienda, permettono di instaurare un rapporto costruttivo relazionandosi alla pari, senza pretendere qualcosa solo perché si è genitori o capi. Ne è convinto Giuseppe Donagemma, Presidente di Lifeed, secondo cui è sempre più importante “imparare a non aver paura di mostrare i propri punti deboli, far capire alla propria squadra che tutti devono tentare, possono sbagliare e devono ritentare. L’unico modo per portare innovazione in azienda è dare alle persone la libertà di fallire: a tal scopo la genitorialità è un grande allenamento”.

È risultato evidente poi che ci sia molto da fare per cambiare lo spirito manageriale italiano che, secondo Donagemma, si basa su un modello datato: “Ci si deve dimenticare dell’organizzazione gerarchica e favorire rapporti più diretti, umani e pragmatici. Lo stesso capita con i figli: bisogna costruire rapporti umani emotivi ed empatici, ma dare obiettivi da perseguire e limiti da rispettare”. Nei momenti di crisi, come quello che stiamo vivendo, è necessaria “grande assertività e resilienza da parte dei manager, perché le persone hanno bisogno di un riferimento che infonda loro confidenza nel superare le difficoltà, che mostri loro da direzione da intraprendere e che trasmetta un alto livello di energia e motivazione”.