L’iniziativa Caring Company continua a crescere. Le aziende che fanno parte della community investono nell’empowerment delle proprie persone e nella creazione di un ambiente lavorativo che favorisce la crescita professionale e il benessere individuale. I valori fondamentali che queste aziende condividono sono la sinergia tra vita e lavoro, una leadership incentrata sulla cura e la promozione di un ambiente inclusivo

Lifeed riconosce nel 2024 l’ingresso di 23 nuove aziende italiane nella community, tra cui: Bauli Group, Bcc Metauro, BCC Ravennate Forlivese e Imolese, Bureau Veritas Group, Deutsche Bank, DHL, Emerson, Emil Banca, Ferrari, stabilimento di Origgio di Grünenthal in Italia, IGT, Lundbeck, Nippon Gases, Novartis Farma, Telit, Vodafone Group.

Aziende protagoniste del futuro

Le aziende hanno sfide importanti da affrontare in un contesto lavorativo che vede le persone allontanarsi dai valori aziendali. Secondo il Report 2023 State of the Global Workplace di Gallup, solo il 5% degli italiani si sente coinvolto nel proprio lavoro. Un dato sconfortante che posiziona l’Italia all’ultimo posto in Europa insieme alle imprese italiane che nel contesto macroeconomico attuale, invece, hanno bisogno di crescere e di essere competitive all’insegna della Human Sustainability. 

Le Caring Company credono che la sostenibilità del futuro del lavoro dipenda dalle competenze umane. Le ricerche dell’Osservatorio Vita – Lavoro di Lifeed rivelano che mediamente nelle persone coesistono ogni giorno cinque ruoli e che solo 1,5 di questi appartengono alla sfera lavorativa. La leadership delle aziende è chiamata ad ampliare la mappa con cui guarda alle persone: ciò significa valorizzare tutti i ruoli di vita e di lavoro, tutti i talenti che rendono uniche le persone.

Riccarda Zezza, CEO & Founder di Lifeed

Le aziende che fanno parte della rete Caring Company stanno facendo un lavoro straordinario per dare una prospettiva nuova al mondo del lavoro. Sono aziende virtuose e lungimiranti che hanno scelto di investire sul benessere delle persone e di valorizzare la diversità. Se oggi queste aziende sono un esempio da seguire, è grazie al coraggio dei loro leader che hanno saputo mettere in luce il potenziale nascosto dei collaboratori, portando in azienda tutte quelle competenze sommerse, confinate nella vita privata

Lifeed promuove attivamente l’ampliamento della community di Caring Company che permette alle aziende di essere riconoscibili come realtà pronte per il futuro e capaci di mettere davvero le persone al centro, esprimendo un ruolo sociale con azioni concrete e misurabili.

L’iniziativa Caring Company di Lifeed cresce sempre di più grazie all’impegno delle numerose aziende protagoniste della community. Il progetto è nato nel 2022 come riconoscimento alle imprese che:


Oggi Caring Company è ancora di più: uno spazio di condivisione e confronto tra imprese che vogliono fare la differenza nella valorizzazione delle persone per guidare il cambiamento mettendo la cura al centro delle loro strategie.

Le Caring Company hanno sfide importanti da affrontare in un contesto lavorativo che vede le persone allontanarsi dai valori aziendali. Secondo il Report 2022 State of the Global Workplace di Gallup, solo il 4% degli italiani si sente coinvolto nel proprio lavoro. I dati dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, raccolti negli anni attraverso le riflessioni di 40 mila lavoratori in più di 100 aziende italiane e globali, invece, dimostrano che quando le imprese investono nello sviluppo delle persone grazie a percorsi di self-coaching aumentano l’engagement e le risorse disponibili.

Nello scenario particolarmente complesso di oggi, le aziende sono chiamate ad affrontare nuove sfide che vedono le persone al centro dello sviluppo e delle strategie di sostenibilità. Per questo motivo, Lifeed ha accolto con favore la crescita del numero delle Caring Company che con coraggio alimentano il progetto dando vita a una community di innovatori.

Nel 2023 Lifeed riconosce quindi 14 nuove aziende con il titolo di Caring Company tra cui: BCC Banca Iccrea e BCC Roma (Gruppo BCC Iccrea), Biogen Italia, Cassa Depositi e Prestiti (CDP), Gruppo Casillo, Happy Child, Leonardo, Liu Jo, Nespresso Italiana, Sperlari, Takeda Italia, Valore D.

Aziende pronte per il futuro

I valori di Caring Company sono sintetizzati nel Manifesto che accompagna le aziende nel percorso di innovazione intrapreso con Lifeed. Le Caring Company contribuiscono così alla crescita della loro comunità e a un cambiamento culturale necessario al Paese.

L’appartenenza alla community delle Caring Company permette alle aziende di essere riconoscibili come pronte per il futuro e capaci di mettere davvero le persone al centro, esprimendo un ruolo sociale con azioni concrete e misurabili in un’ottica di sostenibilità umana.

“L’attenzione verso le persone ripaga le aziende: la vita può diventare motore di risorse e innovazione, ma occorre avere il coraggio di cambiare alcune prospettive obsolete. Le Caring Company che lo fanno, e hanno voglia di fare sistema intorno a una nuova definizione di capitale umano, ne raccoglieranno i frutti”, dichiara Riccarda Zezza, CEO di Lifeed.

L’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed accompagna l’iniziativa Caring Company e rappresenta un punto di vista privilegiato sul rapporto tra aziende e persone, rilevando le emozioni, le aspettative, i bisogni e i talenti di chi è coinvolto nei percorsi Lifeed.

Celebrando l’ingresso di nuovi membri nella community, l’Osservatorio ha lanciato un’indagine per fotografare il mondo del lavoro attraverso la lente dei membri della community e il coinvolgimento degli esperti HR delle aziende.

Le testimonianze delle imprese

Barbara Falcomer, Direttrice Generale di Valore D ha commentato: “Per Valore D, in quanto associazione che si occupa dal 2009 di cultura e leadership inclusiva nelle organizzazioni, è un dato di fatto che l’innovazione scaturisce dalla diversità, dalla pluralità di punti di vista, e che la competitività di un impresa è legata alla valorizzazione del capitale umano. Come team di persone abbiamo l’ambizione di essere una Caring Company, capace di riconoscere il contributo individuale, prendersi cura delle persone  e del loro potenziale, per generare innovazione, benessere organizzativo e individuale. In questo siamo molto in sintonia con il lavoro di Lifeed”.

“La valorizzazione della genitorialità e delle competenze ad essa associate è stata al centro del progetto BCC Banca Iccrea dedicato a tutti dipendenti di Capogruppo e Società del Perimetro Diretto con figli da 0 a 18 anni. Il percorso “Genitori che nascono, genitori che crescono” è finalizzato a favorire il benessere ed a migliorare la sinergia vita-lavoro, rappresentando un’occasione unica di crescita personale e professionale, attraverso il potenziamento di capacità relazionali, emozionali, organizzative spendibili anche in ambito lavorativo. Tutto questo perché…essere genitori è un master!” dichiara Paolo Tripodi, Chief Human Resources Officer e Chief Operating Officer di BCC Banca Iccrea.

“Siamo convinti che il vero cuore della scienza sia l’umanità: innovazione e progresso sono possibili solo se si rimane focalizzati sulle persone e sulle loro esigenze. E questo vale anche per i bisogni delle persone che lavorano con noi. – spiega  Cecilia Masserini, Head of HR e Chief Happiness Officer di Biogen Italia – Essere riconosciuti come Caring Company da Lifeed ci riempie di orgoglio ed è una testimonianza del nostro impegno quotidiano per creare un ambiente di lavoro stimolante, coinvolgente e flessibile, in cui le persone possano crescere, sia professionalmente sia umanamente. Abbiamo voluto offrire ai neogenitori che lavorano con noi la possibilità di formarsi attraverso il master  ‘Genitori che nascono’: un’occasione per imparare a sfruttare in modo trasversale alcune capacità utili sia in famiglia che sul lavoro. Si tratta di un percorso in linea con il nostro modello organizzativo innovativo, B-Positive, basato sulla convinzione che la felicità sia una competenza e che come tale possa essere allenata: energia, creatività e diversità sono valorizzate attraverso soluzioni altamente flessibili e personalizzate, per abbracciare le esigenze di tutte e tutti, genitori in primis”.

“Takeda è un’azienda che da sempre mette al centro le proprie persone. Il percorso Caregiver Lifeed si inserisce nel nostro impegno per tutelare e promuovere il benessere delle persone attraverso una cultura inclusiva, che favorisca sempre di più un’equilibrata integrazione tra vita personale  e professionale. Supportiamo i nostri dipendenti nel percorso di vita, personale, professionale e sociale, perché riteniamo che la valorizzazione delle diverse competenze possa essere di aiuto per le persone e per l’azienda stessa. Prendersi cura di altri è un prezioso gesto di altruismo, un incredibile esercizio di analisi introspettiva ed un’occasione di sviluppo delle proprie capacità che ci porta a trasformare una sfida in opportunità. Opportunità per apprendere qualcosa di nuovo, di necessario e per crescere” afferma Giovanna Nazzaro, Ethics & Compliance Head Takeda Italia.

“Happy Child affronta quotidianamente la sfida della maternità sia sul fronte dei dipendenti, che delle famiglie clienti – dice il CEO di Happy Child, AnnaChiara Zecchel -La popolazione prettamente femminile e giovane dell’azienda richiede un forte commitment sul supporto alle neo mamme e l’adesione al percorso Lifeed può essere un valido aiuto per chi sta affondando il delicato momento del rientro al lavoro. L’attenzione alle neo-mamme si propaga anche alle famiglie del network HC che, a oggi, conta oltre 25 asili nido bilingue con oltre 900 famiglie iscritte. I temi della conciliazione, del bilanciamento, dell’equilibrio sono argomenti di formazione continua e la grande sfida è trovare modi nuovi perché i valori diventino un percorso efficace per le persone coinvolte”.

OVS S.p.A., la società leader in Italia nel mercato dell’abbigliamento, fonda la sua strategia HR sulla sostenibilità umana, con l’obiettivo di valorizzare le diversità delle persone e creare un ambiente di lavoro inclusivo attraverso il programma #WeCare.

Per questo è entrata a far parte di Caring Company, la community di Lifeed dedicata alle aziende capaci di valorizzare le persone e di esprimere un ruolo sociale tramite azioni concrete e misurabili.

Dal 2017 OVS ha introdotto inizialmente il percorso Lifeed per i dipendenti neogenitori con figli da zero a tre anni. Questa esperienza positiva ha convinto l’azienda ad ampliare nel corso degli anni successivi la collaborazione con i percorsi per genitori con figli fino a 18 anni e per i dipendenti caregiver.

“Le persone si sono sentite valorizzate in una fase in cui tipicamente avviene un distacco dall’azienda, alimentando il senso di appartenenza e la motivazione. Inoltre Lifeed ha contribuito alla consapevolezza che le qualità proprie di ognuno possono portare un fattivo contributo ai successi aziendali”, afferma Cristina Cocchetto, Responsabile Training, Sviluppo, Comunicazione & Direzioni Corporate di OVS.

La pandemia ha reso evidente ciò che già esisteva, ma che non veniva riconosciuto apertamente fino a quando la nostra quotidianità è stata resa visibile a tutti attraverso lo schermo del pc nelle riunioni da remoto a cui ci siamo abituati dal febbraio 2020 a oggi: vita e lavoro non sono due dimensioni separate, anzi, è dalla loro sinergia che dipende il benessere delle persone

Il fenomeno della Great resignation (l’ondata di dimissioni che nel 2021 ha interessato dapprima le imprese americane e poi quelle europee, comprese le italiane) rappresenta un indicatore in questo senso: le persone hanno messo il loro benessere al primo posto e lo stesso dovranno fare le aziende se non vorranno perdere talenti e competitività sul mercato.

Anche le modalità di lavoro sono cambiate radicalmente: dal lavoro da remoto ‘forzato’ di inizio pandemia, oggi si è passati a un’organizzazione ibrida tra lavoro in ufficio e Smart working, dalla quale le aziende non potranno più tornare indietro. L’acronimo VUCA (volatility, uncertainty, complexity, ambiguity) introdotto dall’US Army War College dopo la Guerra Fredda oggi è tornato di grande attualità per descrivere lo scenario in cui stiamo vivendo.

Lo confermano i dati dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, secondo cui il 62% delle persone dichiara di provare preoccupazione all’idea di “tornare alla normalità”. Il 69% dei dipendenti si aspetta che, per favorire il rientro in ufficio, la propria azienda dia spazio ai pensieri e agli stati d’animo, mentre il 68% ritiene che il manager ideale debba avere la dote dell’ascolto.

Oggi più che mai, le aziende sono chiamate a rispondere ai bisogni delle loro persone in termini di conciliazione vita-lavoro, employee satisfaction ed engagement. La sostenibilità e la produttività delle imprese passano anche da azioni mirate di welfare con l’obiettivo di aumentare il benessere e il coinvolgimento dei dipendenti, i quali potranno scoprire nuovi modi di prendersi cura di sé.

Dunque, wellbeing ed engagement saranno sempre più centrali nelle strategie aziendali, soprattutto nella fase di rientro graduale in ufficio dopo il lungo periodo di pandemia che ha aumentato i livelli di stress e incertezza.

Tutte le esperienze di vita contano

Solo sentendosi riconosciute come persone nella loro interezza, non parzialmente come professionisti, le persone possono stare meglio anche sul lavoro. D’altra parte, le esperienze della vita privata sono un’occasione di sviluppo di competenze trasferibili nella sfera professionale e rappresentano una vera e propria palestra per allenare quelle soft skill così utili in tutti i nostri ruoli di vita, compresi quelli lavorativi. 

Per esempio, la genitorialità può essere una straordinaria leva di crescita professionale. La relazione quotidiana, sfidante e coinvolgente con i figli è una palestra unica per migliorare competenze relazionali, organizzative e dell’innovazione. Anche i dipendenti caregiver sono una risorsa preziosa per le aziende. Prendersi cura di una persona cara è un’occasione di sviluppo di competenze come capacità di ascolto, gestione dello stress e orientamento al risultato (solo per citarne alcune) trasferibili nella sfera lavorativa.

Investire sul benessere delle persone è quindi una grande sfida – ma anche una grande opportunità – per la Direzione HR delle aziende che può vincere tale sfida solo riuscendo a vedere le persone nella loro interezza. Non bisogna dimenticarsi che la vita è una maestra: le aziende che sapranno valorizzare le esperienze di vita delle persone, facendone delle palestre eccezionali di lifelong learning, saranno le protagoniste del futuro.

Quella del benessere è solo una delle sfide principali della Direzione Risorse Umane. Nel whitepaper Sfide e soluzioni per l’HR nel post pandemia realizzato da Lifeed, la funzione HR può trovare tutti gli spunti di riflessione per trasformare questa fase di incertezza in un’occasione di crescita per le persone e per l’azienda.

VUOI SCOPRIRE TUTTE LE ALTRE SFIDE HR? SCARICA IL WHITEPAPER

Le persone hanno vite complesse: questa può essere una fonte di stress e scarsa produttività, oppure un’occasione per avere più risorse a disposizione in azienda. I molteplici ruoli di ognuno, dalla vita privata a quella professionale, nascondono competenze e talenti utili al business. Ma come è possibile attivare questo potenziale?

La risposta è conoscere meglio le persone, mettendole al centro di percorsi formativi che permettono loro di scoprire i talenti nascosti che esprimono nei diversi ruoli di vita e di trasferirli in modo efficace anche sul lavoro.

L’esperienza dell’utente al centro

Per supportare le aziende nel raggiungimento di questo obiettivo, Lifeed ha lanciato MultiMe® Finder, il nuovo strumento di “self discovery” realizzato in collaborazione con la Kellogg School of Management della Northwestern University di Chicago che consente alle persone di costruire la mappa dei propri ruoli di vita, profili comportamentali e competenze associate.

Grazie a questo strumento, le aziende possono rafforzare la personalizzazione dei percorsi formativi, conoscere meglio le loro persone e mettere al centro l’esperienza dell’utente.

Ideale nei programmi di D&I, Talent e Wellbeing

MultiMe® Finder è una soluzione che le imprese possono utilizzare sia in modalità stand-alone, sia come tool complementare e integrato ai programmi Lifeed negli ambiti di Diversity & Inclusion, Talent e WellbeingLo strumento è infatti ideale per la “messa a terra” di azioni e programmi in diversi ambiti:

Sviluppo D&I
Mappatura dei profili comportamentali attraverso la lettura dei ruoli di vita e della diversità di ciascuna persona con l’obiettivo di far emergere l’unicità, i punti di forza e i talenti nascosti delle persone. Spesso l’utilizzo avviene come ice-breaker in occasione di eventi, per esempio il kick-off di avvio dei programmi Lifeed, oppure come strumento di indagine e di ascolto della popolazione aziendale.

Acquisizione di talenti e sviluppo delle persone
Lo strumento è molto adatto anche in fase di talent acquisition e development, perché consente all’azienda di vedere i talenti nascosti delle persone e di valorizzarli all’interno del percorso di crescita aziendale.

Sviluppo del benessere in azienda
Multime® Finder può essere usato come strumento di immediata applicazione di iniziative di welfare volte a migliorare il benessere psicologico perché la scoperta delle risorse nascoste e dei profili comportamentali favorisce la relazione tra l’azienda e le sue persone.

Per approfondire tutti i vantaggi di MultiMe® Finder per le aziende, in particolare in ambito Diversity & Inclusion, Lifeed ha promosso l’evento dal titolo D&I Finder: come far emergere la ricchezza e l’unicità delle persone per portare benessere e inclusione in azienda in programma il 22 febbraio 2022 alle ore 12.

Ogni persona è molto di più di quel che mostra

Attraverso questo percorso, i dipendenti scoprono: i propri super-talenti (quali caratteristiche positive li rendono più efficaci nel maggior numero di ruoli); i propri talenti nascosti (i talenti che esprimono in un solo ambito della loro vita e come possono usarli in altri ruoli); lo stile comportamentale (come si comportano in ognuno dei loro ruoli, l’essenza della loro efficacia).

Gli utenti ricevono un report che evidenzia il loro equilibrio tra i ruoli, i super-talenti, i talenti nascosti e il loro stile comportamentale prevalente. L’azienda riceve a sua volta un report con dati in forma anonima e aggregata sui ruoli e le caratteristiche che le persone esprimono, i loro talenti nascosti e i profili comportamentali. Il report indica inoltre il numero di competenze totali provenienti dalla vita che l’azienda aggiunge alle sue persone.

Tutto questo permette alle persone di stare meglio e lavorare meglio, aumentando la propria autoefficacia, mentre l’azienda trae vantaggio da un bacino più ampio di talenti nascosti e diversità già presenti al suo interno, basando le proprie scelte e facendo crescere la propria cultura su una conoscenza più profonda delle sue persone.

In un mercato sempre più competitivo, i temi di engagement, retention e benessere acquisiscono una rilevanza strategica per le aziende. Tuttavia, non sempre c’è piena consapevolezza di come si ottengano risultati ottimali in questi ambiti. Secondo quanto scrive l’Harvard Business Review, per trattenere i propri talenti, la maggior parte delle organizzazioni offre aumenti salariali, benefit economici o formativi e misure di welfare.

Sono aspetti certamente importanti, ma è dimostrato come niente di tutto questo basti per un dipendente che non si sente a suo agio nell’ambiente di lavoro. Il primo e fondamentale elemento per essere competitivi è il riconoscimento di tutte le dimensioni identitarie dei lavoratori. Non solo come professionisti, ma anche (e prima di tutto) come persone a 360 gradi.

Conoscere i propri dipendenti per generare ricchezza

I dipendenti che differiscono dalla maggior parte dei loro colleghi per religione, genere, background socio-economico o età spesso nascondono aspetti importanti di se stessi, per paura di conseguenze negative. Ciò rende difficile per le aziende essere veramente attrattive, con quanto ne consegue in termini di reputazione, produttività e vantaggio competitivo. Per i dipendenti, risulta pressoché impossibile sentirsi effettivamente legati all’impresa per cui operano. La chiave per un vera inclusione è capire chi sono veramente i propri dipendenti.

Molte organizzazioni conducono sondaggi sul coinvolgimento delle loro persone, ma la maggior parte trascura di analizzare in maniera profonda i dati raccolti attraverso l’ascolto delle persone, perdendo così molte opportunità di identificare eventuali problemi alla base di un’inefficace strategia di Diversity&Inclusion.

 

La diversità è una ricchezza solo se gestita

Per questa ragione, la Diversity è un’opportunità che diventa una ricchezza solo se gestita, altrimenti rischia di sfociare in conflitto. In un team, essa è un valore aggiunto solo quando c’è consapevolezza: in questo senso, le aziende non possono più limitarsi ad agire con la logica delle quote sui temi di gender equality e work-life balance.

Non è sufficiente inserire elementi differenziali al proprio interno (per esempio assumere più donne o persone di etnie diverse) senza far seguire un’opportuna elaborazione, altrimenti la D&I rischia di diventare una ‘moda’, qualcosa che non stimola più ricerca, domande, attenzione, ma una sorta di ‘dovere da adempiere’. È fondamentale, dunque, che le aziende investano su una vera valorizzazione delle differenze, agendo sulla formazione dei manager in un’ottica di caring leadership e lavorando sul riconoscimento delle competenze trasversali dei collaboratori, partendo da quelle acquisite grazie alle loro esperienze di vita.

 

Le contraddizioni del curriculum vitae

Basti pensare quanto sia contraddittorio basare le valutazioni di carriera su un classico curriculum vitae’ che, a dispetto del nome stesso, contiene indicazioni solo sulla vita lavorativa della persona. Se ne è accorto anche LinkedIn, che, fino alla ‘denuncia’ di una giovane madre, Heather Bolan, non permetteva di scegliere, dal menù a tendina, altre professioni che non fossero quelle codificate. Così, coloro che avevano ‘preso una pausa’ dal lavoro, tradizionalmente inteso, magari per viaggiare, per assistere un famigliare, per curarsi, si ritrovavano con imbarazzanti ‘buchi’ nel proprio CV, generando sospetto e diffidenza tra i recruiter.

Eppure, durante le transizioni di vita e le attività di cura sono tante le competenze soft che si apprendono e che possono essere valorizzate in termini professionali. Persino LinkedIn, dunque, è diventato più flessibile e ora consente di  esplicitare scelte di vita che, sebbene non strettamente lavorative, evidenziano fortemente il valore anche professionale di una persona.

 

I People Analytics come strumento chiave

Riconoscere la diversità e valorizzarla è la chiave, dunque, per renderla ricchezza: perché ciò avvenga, bisogna essere in grado, in primo luogo, di leggere i dati che vengono raccolti in azienda. Occorre imparare a fare le domande giuste, rivolgendosi alle persone nella propria interezza, per scongiurare il rischio di generalizzazione. L’attività di People Analytics non deve fermarsi alla punta dell’iceberg, ma deve estendersi a tutte le dimensioni della persona.

Accanto ai cosiddetti Big Data (prendendo in prestito dal Marketing questa espressione), a cui i più si limitano, troviamo tutto un mondo sommerso di Small Data. L’autonarrazione delle persone può essere uno strumento di emersione della parte sottostante dell’iceberg: occorre, però, che i manager siamo formati nel modo giusto per ascoltare ‘mentre’ le persone si formano.

L’importanza della caring leadership per la D&I

La diversità è innovazione se le aziende (a partire dai leader) sono capaci di mettere in luce l’elemento di diversità che c’è in ognuno e la sua portata positiva in termini di capacità di visione laterale, creatività e azione.

Anche la pratica del feedback deve tenere conto dell’insieme delle caratteristiche della persona che si ha di fronte. Altrimenti, questo sistema di valutazione, invece che essere di stimolo al miglioramento, può far precipitare la produttività dei dipendenti e, con essa, la brand reputation (che parte proprio dall’interno delle aziende).

L’ascolto richiede impegno ed è faticoso, certo. Ma è un investimento: i manager possono dedicare tempo all’ascolto per vederne i benefici futuri. Non si deve temere il cambiamento che questo può generare in azienda: ogni transizione, di vita o professionale, porta con sé una ricchezza, se gestita. Occorre solo imparare a farlo.

La cultura delle pari opportunità e dell’inclusione guida la corporate governance di Accenture, tra le principali società della consulenza aziendale con una presenza globale sintetizzata dai numeri: 505mila dipendenti, 6mila clienti in oltre 120 Paesi, 200 sedi e uffici operativi in 51 Paesi, 185 partner, 7.400 brevetti e richieste di brevetto in tutto il mondo. Dal 2001 è quotata alla Borsa di New York.

Accenture aveva l’obiettivo di rafforzare la costruzione di una cultura inclusiva su cui lavora da tempo affinché a tutte le sue persone siano garantite pari opportunità di avanzamento e progressione.

La genitorialità rappresenta una straordinaria occasione di crescita, secondo la visione di Accenture, per sviluppare nuove energie, competenze e abilità indispensabili anche nella vita professionale e costituisce un valore aggiunto per l’individuo, il team e tutta l’organizzazione.

Affiancata da Lifeed e attraverso il progetto Your child your master per neo-genitori, l’azienda ha quindi deciso di supportare chi vive il doppio ruolo di professionista e di genitore.

“Le soluzioni offerte da Lifeed si sono dimostrate in linea con la nostra vision che investe per migliorare il benessere e di conseguenza la produttività delle nostre persone”, spiega Accenture Italia.

Ogni viaggiatore sa che la diversità è una ricchezza. Lo sanno anche i genitori, che nel loro ‘viaggio’ quotidiano colgono i diversi tratti caratteriali dei figli. Lo sa chi ha fratelli o sorelle, chi si prende cura di genitori anziani, chi vive in società multietniche o ha rapporti con generazioni differenti.
Ma nelle aziende come è possibile trasformare la Diversity&Inclusion in un’occasione di crescita?

Lifeed lo ha chiesto ai partecipanti del suo workshop Conosci la D&I attitude della tua azienda? Scoprilo con gli HR Analytics organizzato nell’ambito del 50esimo Congresso Nazionale di Aidp, l’Associazione Italiana per la Direzione del Personale.

La logica delle quote non basta

La Diversity è un’opportunità che diventa una ricchezza solo se gestita, altrimenti rischia di sfociare in conflitto o di non avere gli effetti sperati. In un team, è un valore aggiunto solo quando c’è consapevolezza di essa: in questo senso, le aziende non possono più limitarsi ad agire con la logica delle quote sui temi di gender equality e work-life balance. Non è sufficiente inserire elementi differenziali al proprio interno (per esempio assumere più donne o persone di etnie diverse) senza far seguire un’opportuna elaborazione, altrimenti la D&I rischia di diventare una ‘moda’. Come osserva l’Harvard Business Review, quando qualcosa diventa di moda, cessiamo di farci domande, arriviamo ad approcci semplicistici e smettiamo di cercare. Ma la D&I è molto di più.

Per il 60% dei manager intervistati nel workshop di Lifeed, la strategia di Diversity&Inclusion è utile per favorire l’attrazione di talenti, ricevere idee diverse e far sentire accolti i collaboratori, ma anche per la brand reputation, per la responsabilità sociale e infine per stimolare l’innovazione. Tuttavia, spesso i manager sono portati ad assumere collaboratori in cui ravvisano similitudini. L’omologazione è, nell’immediato, la via più semplice. Ma solo investire e lavorare sulle differenze porta a cambiamenti culturali significativi e “ricchezza”.

Le competenze vanno allenate

Per conseguire questo importante risultato serve allenamento. Tutte le competenze, anche quelle trasversali, vanno allenate: talvolta, quando pensiamo di non possederne alcune, le stiamo semplicemente cercando nel ruolo sbagliato.

Pensiamo alle numerose transizioni che attraversiamo nell’arco della nostra vita (come la pandemia) che ci rendono diversi persino da noi stessi, anche nel giro di poche settimane. Secondo le analisi di Lifeed, ognuno di noi affronta almeno una transizione ogni 14 mesi. Ciascuna è un’esplosione di energia e un arricchimento di competenze soft che, per essere messe a frutto, vanno guidate. Ciò che ci caratterizza come partner, figli, genitori può essere portato con successo in altri ruoli di vita, come quelli professionali, perché sono caratteristiche che già abbiamo, che già manifestiamo.

Queste caratteristiche vanno però riconosciute consapevolmente e adattate alla propria professionalità: si chiama transilienza, una parola che ci ricorda che non siamo blocchi monolitici, persone che, tornando a casa dal lavoro, dismettono i panni dell’impiegato, del manager, dell’insegnante e diventano madri, padri, figli, fratelli, amici. Siamo le stesse persone, nella propria complessità e interezza: dobbiamo solo imparare a trasferire le caratteristiche di un ruolo a un altro, dai contesti personali a quelli professionali e viceversa.

La diversità è una ricchezza solo per le organizzazioni che imparano da essa. La parola chiave è, dunque, ‘apprendimento’:  occorre lavorare sulle diversità, senza negarle, omologarle ed appiattirle, per renderle ricchezza. La diversità va vista, riconosciuta, sottolineata e ripensata: non impariamo dall’esperienza in sé, ma dalla riflessione sull’esperienza.

Ripensare la D&I con i People Analytics

Storicamente, nelle aziende la dimensione HR è quella approcciata in modo meno analitico. Ma partire da dati reali è importante quando si vuole analizzare la situazione aziendale, per apportare cambiamenti migliorativi. L’aspetto più delicato è fare le domande giuste, perché la raccolta e l’analisi dei dati non diventino limitative e controproducenti. La People Analytics di Lifeed, a partire dalle domande poste, si rivolge alle persone nella propria interezza, non solo come dipendenti. Promuove l’autonarrazione, che sostituisce stringati questionari strutturati con contenuti top-down, e analizza i dati in modo continuativo, non in momenti predefiniti della vita aziendale.

Accanto ai cosiddetti “Big data”, quelli oggettivi solitamente preferiti dalle aziende, la People Analytics di Lifeed indaga anche i dati soggettivi, detti “Small data”. Immaginiamo un iceberg, in cui i Big data sono la punta, quello che emerge. Ma, sotto il pelo dell’acqua, c’è tutto il mondo personale del professionista, tutte le competenze soft, le aspirazioni, i talenti, le dimensioni identitarie, i valori, le emozioni. Produttività, engagement, benessere aziendale, persino i comportamenti adottati sul lavoro non possono prescindere da questi aspetti. Solo prendendo consapevolezza di tutto questo è possibile valorizzare la Diversity come ricchezza, che conduce al benessere delle persone e al successo delle loro aziende.